Il miracolo degli occhiali sui monti del Cadore

Il miracolo degli occhiali sui monti del Cadore PIONIERI, SEGRETI CARPITI, UN VECCHIO MULINO, UNA PRODUZIONE MONDIALE Il miracolo degli occhiali sui monti del Cadore Quanti saranno i lettori di questo articolo che usano gli occhiali? E quanti lavorano, guidano l'automobile, o fanno attività che comportano l'uso di lenti per rafforzare o correggere la vista? Dicono le cronache di Plinio che Nerone usasse uno smeraldo per osservare le gladiatorum pugnas, e Seneca ha lasciato scritto che i calzolai romani usavano una bottiglia di vetro piena d'acqua per esaminare e scegliere le pelli. E questo fu, forse, il primo strumento usato per ingrandire gli oggetti. In quei tempi non c'erano conoscenze relative all'ottica; dobbiamo arrivare all'anno Mille perché il fisico arabo Alhazen scrìva un celebre trattato dove dice anche che mediante un pezzo di vetro curvo si possono ingrandire le immagini degli oggetti. Ma non siamo ancora agli occhiali, ed è documentato che la prima raffigurazione di persona con lenti davanti agli occhi sostenute dal naso è fra Ugone da Provenza, dipinto nel 1352 da Tommaso da Modena nell'affresco del Capitolo della Chiesa di San Nicolò a Treviso (e qui, a San Nicolò, vengono da ogni parte gli oculisti per ammirare l'antica figura). Già prima del Trecento si conosceva l'uso degli specchi concavi e delle lenti d'ingrandimento; sembra certo, però, che le prime occhialerie siano sorte a Venezia poiché in un documento del 1284 si parla di Crìstalleri, artigiani che lavorano il cristallo di rocca, e in un documento del 2 aprile 1300 si scrìve di nidi da ogli, ossia proprio di lenti per occhiali. A Murano L'anno dopo si concede a chiunque appartenga all'arte dei cristallai di fare vitreos ab oculis ad legendum e viene emanato un Capitolare che dice tra l'altro «...Segondo come per li segnori giustitieri se ordina a zaschedun.de questa arte lo qua! lavar de vero, zoè dople et rodali da lezer de ogli sia tegnù e debbia vender lo lavorer de chiistallo per christallo e lo lavorer de ver per ver solo pena...». In quel secolo tutti i vetrai vengono trasferiti nell'isola di Murano perché si temono "li incendi eventuali provocati dalle fornaci; ma forse questa era solo una scusa, e la vera ragione era perché nell'isola è più facile la sorveglianza: non si voleva che il segreto della lavorazione venisse esportato in Paesi stranieri Nei dipinti del Quattrocento le figure con occhiali sono abbastanza frequenti e Carlo Crivelli, pittore veneziano, mette gli occhiali persino sul naso di San Pietro. Dalle due lenti unite insieme alle due estremità da un perno, si passa via via allo stringinaso; l'armatura viene modellata; il perno viene sostituito con una molla; le lenti da rotonde diventano ovali. Soltanto nel Seicento si arriva all'invenzione delle stanghette di metallo o di robusto cuoio. Si imparò a pulire e molare le lenti sfregandole con terra tripolina e cenere di stagno. Ma certamente i Veneziani non potevano custodire in eterno il monopolio degli occhiali; in Toscana, in Germania e persino in Cina, dove li hanno fatti conoscere i missionari, si fabbricano lenti per vedere da vicino e da lontano; come é documentato in una lettera che Arduino de Biase scrive a Piero di Cosimo dei Medici nel 1451: «... Io si ò ricevuto vostra tetra e quatto paia di ochiali per le mani dì Pisello vostro fattore. Io vorrei che fossero vetri che si vedesse da presso imperò che quelli che m'avete mandati sono ochiali da la dilonga salvo un paio che sono da presso...». Se con il tempo l'uso degli occhiali diventa anche un vez¬ zo, tanto che le damine lo accompagnano al ventaglio, la fisica dell'ottica diventa branca importante della scienza e Beniamino Franklin, alla fine del Settecento, inventa le lenti bifocali. Altri fisici studiano lenti periscopiche, lenti per astigmatici, loriche, prismatiche, colorate per confortar la vista. Ma oggi? Sempre siamo in continua evoluzione, la tecnica e la scienza camminano molto in fretta e con il computer si fa tutto. O quasi. Le applicazioni degli occhiali sembra non abbiano limiti nelle attività umane: dai conquistatori degli Ottomila ai pescatori subacquei, dai piloti di formula uno agli astronauti, dai radiologi ai saldatori; persino per i sordi perché negli occhiali vengono inserite centinaia di parti per fame un apparecchio acustico. Sono, inoltre, oggetto ornamentale nella moda. Noi, lettori di libri, se restiamo senza occhiali ci sentiamo uomini persi: ne abbiamo sul tavolo dello studio, sulla credenza in cucina, sul comodino accanto al letto, appesi attorno al collo con una stringa quando viaggiamo; se poi li dimentichiamo in qualche parte e non li ritroviamo andiamo subito a comperarne un altro paio con l'ultima prescrizione dell'oculista. Ma lo sanno i lettori che quasi tutti gli occhiali che noi usiamo vengono fabbricati in Cadore? E che tra quelle montagne dolomitiche abbiamo la concentrazione massima della produzione mondiale? Proprio come era per Venezia alcuni secoli fa. I cadorini avevano incominciato con una fabbrica artigiana nel 1878 a opera dei fratelli Frescura, ambulanti che giravano per le contrade del nord Italia a vendere pettini d'osso di loro fabbricazione e occhiali importati dalla Francia e dalla Germania. Ai Frescura si uni Giovanni Lazza. Con la loro piccola e prima produzione aprirono negozi d'occhiali gestiti da parenti nelle città del Veneto. Tra i baschi La modesta fabbrica era sulle rive del Molina, schiumoso torrente tra i boschi del fondovalle, e le macchine per la lavorazione delle lenti e delle montature erano state ideate e costruite da Giovanni Lozza. Nel 1882 un'alluvione quasi divelse l'edificio e trasportò via il materiale che avevano predisposto per costruire una fabbrica più grande. Ma non si persero d'animo i Frescura e il Lozza e l'anno dopo comperarono un vecchio molino che trasformarono in laboratorio. Fu questo il primo nucleo della Salilo che oggi è dovunque conosciuta. Sull'esempio di questi pionieri altri cadorini iniziarono questa attività e oggi sono circa una sessantina le fabbriche del Cadore, del Comelico della Valle del Boite che producono ed esportano occhiali in tutto il mondo, e qualche centinaio le botteghe artigiane collegate a questa industria. Se fino a qualche anno fa erano gli abitanti delle montagne che in ogni stagione e con qualsiasi tempo si spostavano dalle frazioni più discoste per lavorare a Tai, Calalzo, Domegge, Pi> ve, Lorenzago, ora sono le fabbriche che aprono laboratori in ogni nucleo abitato, vicino alle antiche case che ancora conservano lo strutture in travi. Ma quello che più importa è che tra queste bellissime montagne non si conoscono miseria ed emigrazione, al contrario della maggior parte delle Alpi: sono montagne vive, dove ancora si nasce e si aprono belle biblioteche pubbliche, come a Calalzo. Mario Rigoni Sterri