Gorbaciov, una speranza per gli ebrei

Gorbaciov, una speranza per gli ebrei Dopo anni d'immobilismo, il Cremlino sembra cambiar linea: parla Arthur Hertzberg, vicepresidente del Consiglio ebraico Gorbaciov, una speranza per gli ebrei «Le autorità sovietiche mi hanno concesso d'incontrare anche i dissidenti» - «Sacharov ha ragione: la glasnost non è soltanto maquillage» - «Mosca giocherà le sue carte migliori sui diritti umani in occasione del supervertice con Reagan» Arthur Hertzberg, vicepresidente del Consiglio mondiale ebraico, si occupa da anni della situazione degli ebrei nell'Uria. Riportiamo, nei suoi passaggi più significativi, un suo intervento sulle ripercussioni del nuovo corso sovietico in questo campo. L'invito a visitare Mosca mi parve già di per sé una vera e i propria manifestazione di giàsnost. Parlai per la prima volta , di una mia eventuale visita in . | Urss nel dicembre '85 a Parigi, ad una conferenza Unesco su . Maimonide. Là, infatti, avevo incontrato Vitaly Naumkin, . che dirigeva la Sezione Stati , Arabi presso l'Istituto di .'. Orientalistica dell'Accademia '. sovietica delle Scienze. In quel, l'occasione, mi chiese se volevo v recarmi a Mosca a tenere una t conferenza e ad organizzare . per l'Istituto alcuni incontri , con il pubblico. I termini del;j l'invito, che mi giunse formal,e mente un anno e mezzo più ... tardi, nel giugno scorso, si rivelarono particolarmente genero,.: si: sarei stato ospite dell'Istituto di Orientalistica e, per quanto riguardava la conferen1 za, avrei potuto scegliere un argomento a piacere. "f Quando arrivai a Mosca, '] alla fine di agosto, chiarii subi- • to che avrei cercato di incon' trare il maggior numero possi' \ bile di refuznik ebrei e di mili- ' tanti in organizzazioni per la " difesa dei diritti umani. Nessu- j no fece obiezioni: l'Istituto di '. Orientalistica mi aveva invitato come accademico, ma tutti era '* no al corrente del fatto che io sono anche il vicepresidente "\ del Congresso Mondiale ebraico e che sono stato per parec- * chi anni membro dell'esecutivo dell'Organizzazione sionista internazionale. I miei ospiti russi ,. mi avevano combinato in anti,' cipo una serie di incontri con " funzionari politici, la cui lista ; crebbe poi di parecchio nel ' corso della mia visita, perché, ' in fin dei conti, i sovietici di' scutono del loro problema ebraico con la stessa passione ' che contraddistingue il loro in teresse per la politica medio' dentale. Le autorità sovietiche non , nascondono una profonda ini ' fazione per tutta una serie di . pressioni provenienti dall'este. ro. In Occidente, non passa giorno in cui non si ripeta che, " se solo volessero, esse potreb.bejo. permettere agli ebrei di emigrare; gli alleati arabi, dal canto loro, hanno da ridire sul benché minimo cenno di apertura nei confronti di Israele. Nel Paese, inoltre, il fatto di tenere in speciale considerazione gli ebrei rischia di alimentare pericolosamente le speranze delle altre minoranze dissidenti. Questi problemi si sono riacutizzati proprio ora, in concomitanza con l'imminente summit fra il segretario generale Gorbaciov e il presidente Reagan. Gorbaciov sa che dovrà affrontare dimostrazioni contro le restrizioni all'emigrazione ebraica e a favore del rispetto dei diritti umani in genere. Sia Gheorghij Arbatov, il capo dell'Istituto di studi sul Nord America, sia Karyn Brutens, l'incaricata di Anatoly Dobrinin al Dipartimento esteri del Comitato centrale del pcus, mi hanno energicamente ripetuto che a Mosca niente mai é stato fatto, né mai lo sarà, per venire incontro alle pressanti richieste occidentali di concessioni circa la questione ebraica. E questo è ovviamente quanto ci si può attendere di udire dalle fonti ufficiali. Tuttavia, alcune altre conversazioni che ho avuto a Mosca mi hanno fatto capire che le autorità stavano cercando di trovare il modo di ammorbidire le proteste che Gorbaciov dovrà affrontare negli Usa. Nei confronti dell'opinione pubblica occidentale, insom ma, stavano per giocare le loro carte migliori, mentre contem poraneamente ci tenevano a chiarire il modo in cui, sul lungo periodo, concepivano il ruolo della minoranza ebraica e non ebraica all'interno del progetto globale di Gorbaciov. E non é stato certo casuale l'improvviso rilascio, in settembre, di alcuni fra i più noti refuznik ebrei, come Yosif Begun, Victor Brailowsky e altri ancora, mentre venivano - rinnovati aspri attacchi al sionismo e si addossava agli ebrei la responsabilità dell'esistenza dell'antisemitismo in Urss. Questo modo di agire appa- rentemente contraddittorio é l'effetto di una netta ridefinizione della politica nei confronti della minoranza ebraica da parte del Cremlino nell'era della glasnost Gorbaciov e i suoi più stretti collaboratori paiono persuasi che la loro nuova politica possa esplicarsi, ed essere difesa, in patria come all'estero. E' stato significativo, a questo proposito, che un' ente ufficiale sovietico, l'Istituto di Orientalistica, abbia invitato un ebreo americano liberal come me, e che gli abbia permesso di muoversi liberamente. Sia gli accademici che i funzionari da me incontrati parevano essere avidi di scambiare opinioni, e sembravano contenti quando io prendevo appunti. Eppure dovevano aver capito che io non ero d'accordo con loro, e che ero ben intenzionato a sollevare in detta¬ glio il trattamento da loro riservato ad Andrei Sacharov, Yosif Begun e agli altri dissidenti. Nondimeno, continuavano a volere che io scrivessi sui rapporti fra ebrei e glasnost. Al giorno d'oggi, ci sono più di due milioni di ebrei in Unione Sovietica (i calcoli ufficiali danno una cifra variabile fra un milione e settecentoventimila e un milione e ottocentomila). La maggior parte di loro vive nelle città della Russia europea, benché sia possibile trovare ebrei un po' dovunque in Urss. Come succede in Occidente, sono per lo più professionisti o impiegati. Dopo la Rivoluzione, gli ebrei avevano occupato posti di rilievo nella nuova burocrazia sovietica; Stalin, invece, li odiava, e negli ultimi giorni della sua vita li perseguitò con sanguinaria ferocia. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1953, divenne sem¬ pre più difficile per i giovani ebrei entrare all'Università e trovare lavoro in professioni qualificate. Questo sistema di contingentamento non ufficiale fu in effetti un attacco alla maggior parte degli ebrei, in quanto le opportunità che erano esistite per i loro genitori gli venivano invece negate. La maggioranza degli ebrei che vivono in Urss pare essere in larga parte assimilata. Ma una considerevole minoranza — nessuno sa quanto estesa — continua a conservare forti legami con la religione ebraica ed è convinta che gli ebrei siano un vero e proprio gruppo nazionale. Questo attaccamento è divenuto più forte dopo la creazione dello Stato di Israele e specialmente dopo la sua vittoria durante la Guerra dei Sei Giornijnel 1967. mini A posteriori, possiamo sup¬ porre che in Urss esistesse una minoranza di ebrei sionisti, ideologicamente e culturalmente impegnati, formata da circa 500 mila persone, a metà delle quali è stato concesso di emigrare. Circa 250-300 mila ebrei Con un forte senso dell'identità ebraica desiderano pertanto, con ogni probabilità, partire per Israele o per altri Paesi dove sia loro possibile vivere come ebrei alla luce del sole. Circa un terzo dei refuznik cui è stato concesso di emigrare ha scelto di vivere in Israele; il resto si è stabilito in Europa o negli Usa. Un terzo elemento della questione ebraica ci è fornito dall'esistenza di intellettuali ebrei che prendono parte attiva alla resistenza politica e morale al regime. Intellettuali come David Markish, figlio dello scrittore yiddish Peretz Markish, ucciso sotto Stalin, sono stati 'mandati all'estero; altri, come il matematico Naum Meiman, sono rimasti, e continuano ad essere fonte di fermento sociale. Sono in pochi, ma hanno l'abitudine di scrivere petizioni e di tenere conferenze stampa. Meiman, ad esempio, è una figura particolarmente tragica: la moglie è recentemente morta di cancro in un ospedale di Washington, tre settimane dopo che le era stato concesso di espatriare, da sola, in Occidente. Il giorno in cui ho lasciato Mosca, è venuto a trovarmi, come aveva fatto già per molti altri visitatori provenienti dall'Occidente nel corso degli anni. Mi ha detto che potrà anche esserci glasnost, ma che comunque non è arrivata fino a lui. Dissente da Andrei Sacharov, perché quest'ultimo ritiene che sotto Gorbaciov siano avvenuti cambiamenti reali; secondo Meiman, invece, si trat¬ ta soltanto di semplici operazioni di maquillage. Ho provato molta simpatia per Meiman,' ma concordo con l'opinione di Sacharov, e cioè che la nuova realtà dell'Unione Sovietica ha accresciuto piuttosto che diminuito le speranze legate alla lotta per i diritti umani, benché l'avvenire delle libertà personali sia ancora incerto. Quando partii, mi era ormai chiaro che la glasnost era qualcosa di più di un'operazione di facciata, ma non ero del tutto certo che fosse qualcosa di incondizionatamente positivo per la causa ebraica. Prima che si affermasse la glasnost, le autorità sovietiche non riuscivano a raccapezzarsi tra i vari aspetti della questione ebraica, e non avevano neppure incominc/ato a risolverla Non avevano neanche ricevuto i ringraziamenti che si aspettavano per la loro generosità, avendo permesso a più di 250 mila ebrei di lasciare l'Unione Sovietica durante gli Anni Settanta ed Ottanta: un'eccezione rilevante nel quadro della loro ben nota politica restrittiva verso l'emigrazione. La questione ebraica andava ripensata, e questo è precisamente ciò che Gorbaciov ha fatto. Gorbaciov ha formulalo le premesse di base della sua nuova politica nel discorso del gennaio 1987 al Comitato cen trale del pcus. In quell'occasione, manifestò una chiara preoccupazione per il problema delle nazionalità. L'Unione Sovietica può essere distrutta dai nazionalismi, dalle rivendi cazioni di etnie quali l'ucraina e la lettone. Ha poi insistito sul fatto che le varie nazionalità devono comportarsi come membri a tutti gli effetti del sistema sovietico. A tal fine. Gorbaciov si è dichiarato di sponibile a soddisfare alcune delle richieste avanzate dai gruppi etnici, volte ad ottenere il riconoscimento della loro cultura e una maggiore autonomia. Ma —.e questo non poteva certo dirlo — l'elemen¬ to dominante deve rimanere quello russo. Gorbaciov ha di che preoccuparsi. I russi non resteranno ancora per molto la maggioranza della popolazione. Nell'ultimo censimento, quello del 1979, costituivano il 51-52* della popolazione, ma tale percentuale è in declino. Per contro aumentano in seno alle varie nazionalità le tensioni e le richieste di autonomia e di un riconoscimento ufficiale. Yosif Begun, convinto sionista, le cui opinioni gli sono valse tre anni e mezzo di prigione, mi ha detto che più della metà dei prigionieri politici con i quali era venuto in contatto erano nazionalisti appartenenti a questo o quel gruppo etnico. Gli ebrei, invece, rimangono un problema, e le richieste che salgono da Mosca, New York, Gerusalemme, assumono spesso toni biblici, di protesta contro qualcosa che sembra una nuova cattività d'Egitto. A parte !e espulsioni, ed indipendentemente dal numero di ebrei che emigrerà, una considerevole minoranza rimarrà all'interno dell'Unione Sovietica, mal adattandosi all'idea sovietica di nazionalità. Hanno dimenticato lo yiddish: meno di diecimila ebrei vivono infatti nell'enclave voluta da Stalin, situata nel lontano Birogigian. al confine con la Cina, e destinata agli ebrei di lingua yiddish. E' stato loro impedito di imparare l'ebraico, benché le vessazioni cui veniva sottoposto chi cercava ugualmente di farlo siano recentemente diminuite. Non hanno un territorio all'interno dell'Unione Sovietica, e molli di loro hanno la sensazione che la loro patria non sia l'Urss, ma si trovi "di fuori. Nel suo discorso di gennaio al Comitato centrale del pcus, Gorbaciov ha condannalo in un colpo solo «sionismo e antisemitismo». Associare i due concetti fa parte di un cliché sovietico ben consolidato, ma l'osservazione di Gorbaciov non è stata soltanto di maniera. Spera infatti di mettere la parola fine a tutto quanto tende a fare degli ebrei un caso a parte, sia in quanto sionisti che come bersaglio di antisemitismo. Arthur Hertzberg; Copyright «The New York ReviewA e per l'Italia «La Stampa»