Un manager a base zero di Alberto Papuzzi

Un manager a base zero VIAGGIO NEI NUOVI SCENARI DELLA CULTURA INDUSTRIALE Un manager a base zero Vigilia di rivoluzione nei laboratori dove si forma la classe dirigente - Saltano i parametri che hanno segnato la storia della cultura manageriale in Italia - Luigi Guatri, rettore della Bocconi: «Un progetto di rinnovamento per costruire i manager degli Anni Novanta» • Actis Grosso, direttore dell'Isper. «Dovranno gestire l'incertezza e il mutamento» DAL NOSTRO INVIATO MILANO — Perché il manager è diventato un leader, una figura vincente? •Perché si è caratterizzato come la persona che decide e che si assume responsabilità, n che è cultura industriale ed è anche un valore sociale», risponde Luigi Guatri, rettore dell'Università Bocconi, la fabbrica dei manager, ottantacinque anni di storia accademica, ventimila laureati, tra i quali Paolo Baffi, governatore della Banca d'Italia, Piero Bassetti, Alberto Falck, Giuseppe Luraghi, Pasquale Saraceno. Ma quanto durerà il successo dei manager? Che cosà dovrà fare il manager degli Annt Novanta per mantenere il suo ruolo e difendere la sua leadership? «Dovrà gestire l'incertezza e il mutamenta n buon manager sarti quello in grado di navigare in un mare costantemente in tempesta», risponde Carlo Actis Grosso, fondatore e direttore generale dell'Isper, istituto per la formazione e direzione del personale, costituito nel 1965, quattro sedi, a Milano, Torino, Venezia e Roma. La Bocconi, che nel palazzo di via Sarfatti ospita oltre cinquecento docenti e diecimila studenti (l'ottanta per cento dei quali destinati alle carriere aziendali), e l'Isper, che distribuisce in abbonamento i suoi servizi a un migliaio di aziende e organizza in un anno centoquaranta corsi o seminari di formazione, rappresentano in ambiti ovviamente diversi due ingranaggi fondamentali della nostra cultura industriale. Fanno parte con le migliori facoltà di Economia e commercio, con la Scuola di amministrazione aziendale di Torino, il rinato Ipsoa, il Coa di Potatoi, con altri istituti, con gli eritt di formazione delle grandi aziende (IsvorFiat o VElea'Uella Olivetti), con alcune sedi editoriali specializzate, di un laboratorio di cultura e formazione manageriale, che l'industria italiana si è gradualmente costruito, colmando un gap con l'estero che fino a trentanni fa sembrava abissale. Non bisogna dimenticare che The Principles of Sdentine Management," il celebre testo dell'ingegner Fredrick Winslow Taylor sull'organizzazione scientifica del lavoro nelle fabbriche, edito negli Stati Uniti nel 1911, fu tradotto in Italia, dalle Edizioni di Comunità di Adriano Olivetti, soltanto nel 1956. In tale contesto, l'Università Commerciale Luigi Bocconi, fondata il 10 novembre 1902 in memoria del figlio dall'industriale milanese Ferdinando Bocconi, ideatore di quei magazzini di vendita al minuto che divennero la Rinascente, è stata la Harvard italiana, una vera officina della ricerca e della didattica attorno ai valori dell'impresa. •Quando mi sono seduto qui, come studente, negli Anni Quaranta, spiega Guatri, il messaggio era il medesimo di oggi: credere nell'azienda come motore dell'economia, credere nell'azienda come immagine di efficienza. Essere bocconiani significa la consapevolezza di questa solida cultura economica, aperta al pluralismo, alla tolleranza e all'autonomia di giudizio, che sono valori per noi irrinunciabili.. . Fino' alia metà degli Anni Cinquanta' l'elaborazione teorica di cultura manageriale non è molto più di questo rivolo. Cultura politica, si, cultura economica anche, cultura manageriale poca. Nel 1954 nasce a Torino l'Ipsoa, primo esempio di business school italiana, voluta da Adriano Olivetti e Vittorio Valletta; su quel-modello, dieci anni più tardi Actis Grosso, ex allievo, assistente e docente dell'Ipsoa, realizza l'Isper. La formula associativa registra la partecipazione del gran mondo economico e finanziario, da Fiat a Pirelli, dalle banche nazionali alle industrie di Stato. •Ma la formazione degli Anni Cinquanta e Sessanta era ancora quella del lubrificante», dice Actis Grosso per spiegare che serviva soprattutto a far passare le decisioni prese al vertice. «Negli Anni Settanta, durante la crisi del modello aziendale, quando non si sapeva più quali fossero 1 valori a cui fare riferimento, la formazione imbocca due strade: quella tecnicistica, affinando le conoscenze su budget, marketing, controllo di gestione e altre problematiche della vita aziendale, e quella sociologica, rivolta soprattutto alle relazioni sindacali, una linea che svilupperà la tematica della gestione delle risorse umane». Oggi a che punto siamo? In quale scenario ci muoviamo? Guardando, il futuro della cultura manageriale attraverso-gli specchi delia-Bocconi e- dell'Isper che cosa scopriamo? Scopriamo che la Bocconi soffre di atrofia. Tre corsi di laurea che sono tre sigle, Clea (economia aziendale), Clep (economia politica) e Des (discipline economiche sociali), dodici specializzazioni, sette istituti di ricerca e venti centri collegati, un'altra sigla illustre, Sda, cioè la Scuola di direzione aziendale, con quattrocento corsi e un diploma di master, da quest'anno a livello internazionale, scambi di esperienze e stages con una ventina di università straniere, non sono sufficienti di fronte alle esigenze del mondo manageriale d'oggi e soprattutto di domani: «Un'università moderna non può rinunciare alla varietà dei prodotti culturali che le sono richiesti, dichiara Guatri. Rispetto ai livelli degli americani e dei giapponesi, non abbiamo nulla da Invidiare a nessuno sotto 11 profilo del contenuti didattici, ma per quanto riguarda la docenza dobbiamo arrivare a fornire più prodotti a più studenti, cioè a fornire un prodotto sempre di eccellenza per un'università ormal di massa. Sul piano pratico, ciò significa articolare in tanti corsi quello principale, di economia aziendale, approfondendo le problematiche di materie che oggi entrano sempre di più nel management, come .per esempio informatica, diritto, internazionalizzazione delle imprese. Inoltre, la laurea non basta più: è necessario organizzare un aggiornamento permanente». Cosi da settembre è nato alla Bocconi un Progetto Duemila, con un ufficio programmazione, per definire l'ampliamento delle infrastrutture e dei corsi, puntando forse al raddoppio, con un investimento di cento miliardi. Dal Comune di Milano sono state acquisite, presso la sede attuale, le aree per nuovi edifici dell'università, tra cui una grande aula magna. A disposizione della Sda, è stato messo in piedi anche un ufficio laureati, incaricato di redigere una mappa con la collocazione di tutti i quindicimila bocconiani in attività, base di partenza per i programmi di aggiornamento permanente post laurea. Se il compito dell'università è «la creazione del futuro», come ha scritto il filosofo delle scienze Alfred N. Whitehead, citato da Guatri nella relazione d'apertura all'anno accademico, il futuro del manager sarà dunque, visti i piani della Bocconi, un bagaglio di conoscenze molto più articolate, speculare a un sistema economico e tecnologico caratterizzato dalla complessità. •La cultura del manager degli Anni Novanta sarà organizzata su molte cose e Incerte anziché su poche e certe», dice Actis Grosso. Già oggi nessuna azienda si sogna più i business plans quinquennali, al massimo disegna delle ipotesi sul futuro. Secondo Actis, «1 Buoni programmi sono quelli che non vanno rispettati». D'altra parte, il più recente best¬ seller della letteratura manageriale è un titolo degli americani Peters e Waterman, che in italiano suona «Avere successo nel caos». Nell'ultimo quinquennio la formazione manageriale si è sviluppata attorno ad alcuni concetti chiave: imprenditorialità, nel senso di trasformare manager e capi in imprenditori interni, qualità, secondo la regola giapponese per cui la non qualità è pari al 15 per cento dei costi, innovazione, nel senso che le aziende che hanno rinnovato la produzione e U prodotto sono quelle che dominano il mercato, flessibilità, nell'utilizzazione delle risorse sia tecnologiche che umane. Ma negli Anni Novanta tutte queste categorie saranno rimesse in discussione, perché economisti, sociologi, futurologi annunciano un quadro caratterizzato da fenomeni di depressione mondiale, aumento della competitività sui mercati, digestione dell'Innovazione tecnologica, aggregazioni sindacali orizzontali. Quanto ai valori sociali, come reagirà la gente a una caduta di benessere? «B manager e alla viglila di una rivoluzione culturale dice Actis Grosso, perché dovrà fare 1 conti con un fatto assolutamente nuovo: 11 concetto di base zero, dove ogni evento, ogni realtà aziendale non sono di per sé positivi né negativi. Sono opportunità che bisogna sfruttare. Non ci saranno più parametri fissi, perché 11 parametro è per definizione autoplafonante, Il che vuol dire, per fare un caso, l'abbandono dell'estrapolazione di curve storiche, metodo con cui negli Anni Settanta l'Industria di Stato programmò il buco di Gioia Tauro o l'industria privata prevedeva due milioni di auto». Un esempio di cosa lignifichi fare i manager r,.-Wincertezza sono le nuou. figure professionali. Il conduttore di impianti che abbiamo incontrato nelle officine della Fiat o il progettista informatico che abbiamo incontrato negli uffici della Olivetti, personalità aziendali contraddittorie, né sindacalizzate né aziendalistc, forti di responsabilità e potere di mercato, sono un vantaggio o un handicap per il manager? «Base zero», risponde Actis. Ai manager trasformarli in vere risorse. Alberto Papuzzi Milano. Al lavoro nella biblioteca dell'Università Bocconi, considerata la Harvard italiana (Foto Daniele Bonecchi)