Il palazzo dei sogni infranti di Furio Colombo

Bpalazzo dei sogni infranti DECLINO E RIPRESA DELLE NAZIONI UNITE Bpalazzo dei sogni infranti Cresce la disputa suD'Onu, sui suoi passati silenzi e parzialità - Ma il segretario de Cuéllar cerca di far dimenticare Waldheim e torna ad animare con un po' di idealismo le vecchie strutture - E il dibattito, cui contribuiscono due nuovi libri, prova che siamo all'estremo della crisi o all'inizio di una nuova stagione NEW YORK — Non serve, una struttura finita: è la tesi dei molti che, delusi o contenti, annunciano la fine delle Nazioni Unite. Lo dice Ernest Van Den Haag, professore di diritto internazionale alla Fordham University, amico di Reagan e della signora Kirkpatrick che all'Onu è stata la prima rappresentante del governo reaganiano. «Ma quando si parla del costi enormi dell'inutile organizzazione., risponde John Conrad, esperto in prevenzione del crimine, che ha spesso lavorato per l'Onu, «bisogna ricordare che il bilancio totale dell'Organizzazione, in un anno, è pari a un giorno di spese del Pentagono». n dibattito può facilmente avvitarsi in una disputa sema fine: l'immenso bilancio del Pentagono non è forse il presso del deterrente che impedisce la guerra? L'atteggiamento aggressivo dell'Onu verso alcuni suoi membri (Israele), verso la cultura occidentale (il progetto Unesco che avrebbe voluto imporre un «controllo delle notizie»; non sparge semi di guerra? Poi c'è llnefficiensa dell'Onu, burocrate goffo che arriva male, tardi, e non è stato capace d'offrire aiuto in nessuna delle disgrazie che hanno colpito la parte povera del mondo: fame, mortalità dei bambini, moltiplicarsi dei campi di profughi, sterminio delle minoranze. Bisogna tenere conto del nobile articolo che ha pubblicato su La Stampa Norberto Bobbio. Era un'invocazione a non perdere di vista il senso per cui l'Onu è nata ed è sopravvissuta a mille ragioni di crisi. C'è un'idea di tolleranza e di cooperazione, al centro del grande sogno, cui non possibile rinunciare. Bobbio ci ricorda che il dibattito intorno all'Onu è prima di tutto un dibattito di principi. £ infatti una certa America, dopo IW, ha mostrato un atteggia,mento di disprezzo verso l'organizsazione" intemazionale non tanto per le inefficienze e gli errori quanto perché la nuova epoca inaugurata nell'SO non intendeva investire nessuno del compito di mantenere la pace. In quella visione il confronto si restringeva alle grandi potenze, divise da un abisso di concezioni del mondo. Tutti gli altri erano chiamati a prendere posizione di fronte alla disputa fondamentale. I difetti Per fortuna anche allora, nel momento più aspro del rigetto della cultura americana verso l'Onu, ha prevalso la saggezza politica, esercitata silenziosamente proprio dal gruppo che si era fatto carico di spingere indietro l'immagine del Palazzo di Vetro e di contestarlo. Jean Kirkpatrick non è mai stata tenera con. i colleghi durante l'incarico di' ambasciatrice americana dll'Onpi.^Marla nomina d'una persona 'di'cosi alto profi\6(e d'indiscussa abilità) era in sé una contraddizione alla ripulsa dell'organiszazione internazionale. Ora l'ambasciatore Vernon non è persona di rango inferiore. Dall'interno dell'Intelligence e della diplomazia americana Vernon ha servito molti presidenti, da Kennedy a Reagan, e al suo singolare talento (corredato dalla conoscenza di molte lingue) fanno omaggio anche coloro che usano l'Onu come tribuna anti-americana. Certo la spinta anti-Nazioni Unite dell'amministrazione reaganiana ha segnato un decennio, e se adesso si torna a discuterne (Conrad e Van Haag hanno pubblicato in un libro le loro opposte visioni) vuol dire che siamo all'estremo della crisi o all'inizio di una nuova stagione. Un inventario imparziale del comportamento dell'Onu negli ultimi vent'anntnon offre una lista incoraggiante di risultati. I difetti ' peggiori sembrano essere conformismo, viltà e incapacità di chi guida l'organizzazione di riaffermare i valori che dovrebbero unire contro le spinte aggressive che lacerano dall'interno. Il peggio, convengono in molti, è avvenuto durante il segretariato di Waldheim, «personaggio di alto profilo personale e di modesta statura morale», come dice l'ex collaboratore Brian Urquhart, già sottosegretario generale dell'Onu. Waldheim aveva un'ossessione per la sua immagine, la sua fotografia. Il suo nome, le notizie che lo riguardavano. Ma i boat people del Vietnam non hanno sentito la sua presenza, sulle stragi della Cambogia non si sono levate voci, durante il suo periodo eserciti regolari e irregolari dell'Etiopia e della Somalia da un lato, e dell'Etiopia e dell'Eritrea dall'altro — tutti marxisti e tutti nemici — si sono decimati a vicenda in guerre selvagge che hanno colpito soprattutto le popolazioni civili, hanno sradicato villaggi e insediamenti agricoli, eliminato raccolti, dato inizio al processo di carestia di quella parte di Africa. Ma la bandiera dell'Onu, la sua voce, il suo segno di presenza non c'è mai stato. Gli errori L'Onu di Waldheim era assente nelle Falkland e nelle prigioni argentine, ha taciuto quando si sono iniziate le stragi dei Tamil a Sri Lanka ed è arrivata male e tardi ai confini della Thailandia e mai nel Vietnam dei profughi. Sull'Uganda di Idi Amin mal una parola. Il silenzio di Waldheim era uno strumento cattivante di benevolenza, il pensiero fisso verso la rielezione (ottenuta infatti due volte). Era tolleranza calcolata per le assurdità culturali (quando l'Assemblea generale ha dichiarato «uguali» sionismo e razzismo) e per quelle politichegLa più clamorosa è avvenuta alla fine del congresso Onu di Mexico City dell'M, convocato sul grave problema del controllo delle nascite. Quel congresso si è concluso con due risoluzioni, una che condannava ogni forma di prevenzione anticoncezionale, a nome d'una coalizione di fondamentalisti cattolici e protestanti, l'altra che condannava Israele, per ?asioni radicalmente sconnesse sia col convegno sia con la condizione dei Paesi poveri, stremati però politicamente estremisti, che hanno guidato quello strano colpo di mano. Neppure le guerriglie hanno visto il segno di una presenza pacificatrice dell'Onu. 17 Guatemala ha diminuito la morte con un suo miracolo interno, il Salvador trascina la sua radicalizsazione sanguinosa e il suo doppio sistema di squadre sterminatrici. Il Nicaragua è stato dimenticato dalla burocrazia dell'Onu fino a quando il presidente Arias del Costa Rica ha mostrato che un plano di pace non era impossibile. L'Onu di Perez de Cuéllar, il segretario generale attuale, non è quella di Waldheim. Il diplomatico che viene dal Perù non è leader carismatico come Dog HammarskjOd: Invece d'essere ossessionato da se stesso, è impegnato con i problemi difficili che lo circondano. E' probabile che la sua fatica nel conflitto IranIraq non possa portare frutti, che la sua mediazione sia stata caricata di ottimismo eccessivo e non realistico. Ma un respiro di vita torna a circolare nell'organizzazione che era stata creata per mantenere la pace. Ora che ti segno ideale di cui aveva parlato Bobbio (e che non è rinunciabile; se o e e a e ò e l'Onu crollasse bisognerebbe tentare di costruirne un'altra) toma a rianimare con un po' di idealismo le vecchie strutture e il loro modo imperfetto di funzionare, anche il dibattito prende una piega diversa. Una serie di circostanze sembrano favorire un ritomo dell'immagine e il ripristino della funzione. Perez de Cuéllar al posto di Waldheim, la fine del periodo più rigido e dottrinario del reagantsmo, e, all'Interno dell'Onu e dell'Assemblea generale, il declino dei dittatori demagoghi, leader di Stati di polizia che si ergevano a decidere del giusto e dell'ingiusto degli altri mentre nessuno si sognava di far notare l'orrore della vita nei loro Paesi, e ansi ne accettava ti camuffamento e ne ignorava le vittime. 17 profilo dell'Onu resta grigio, però la sopravvivenza è un buon segno. E un buon segno sono anche i libri che giungono sempre più spesso a darci notizie di questa organizzazione disastrata sulla cui vita dobbiamo scommettere. Per esempio A lif e In pesce and war di Brian Urquhart che per quasi tre decenni ha avuto la responsabilità dt formare e comandare l corpi di pace dell'Onu, dai giorni oscuri degli stermini nel Congo, del misterioso abbattimento dell'aereo di Dog Hammarskjóld. Culturalmente, moralmente, Urquhart è un uomo di quell'epoca, sicuro che la pace è il bene da difendere a Qualunque costo. A differenza del leader che ha amato di più, Urquhart ha sempre avuto una visione più pratica e meno mistica della vita, ed è sempre stato capace di tenere il polso del possibile, di realizzare quel poco che l'Onu poteva realizzare. Nel suo libro, Urquhart ricorda che l •grandi' (Usa e Urss) hanno avuto un ruolo importante nel destabilizzare, umiliare e spingere sul sentiero non nobile di Waldheim la grande organizzazione, attraverso il duello dei veti, giustificati più dal bisogno di affermare potenza che da quello di impedire un errore. Per Waldheim, «uomo deliberatamente bugiardo per un decennio», Urquhart non ha tenerezze né rimpianti. L'ha servito fedelmente, come aveva fatto con U Thant e Hammarskjòld, come avrebbe fatto con de Cuéllar, fino al giorno del ritiro. Ma non l'ha mai stimato. E leggendo il libro si capisce che quelli di Waldheim sono stati gli anni in cui si è Incrinato un sogno. L'Onu ha ricevuto colpi duri, manifestazioni di rigetto e di deliberata ostilità. Ma il male peggiore l'organizzazione l'ha fatto a se stessa, abbandonandosi a un assemblearismo fuori controllo, al gioco di governi che hanno usato l'arena internazionale per distrarre il mondo dalle loro responsabilità Interne, e dalla compiacenza di un Segretario generale disposto a tutto pur di piacere, sempre lontano da ogni area di conflitto, da ogni impegno di mediare e risolvere. Scrive Arthur Hertzberg sulla New York Review of Books, parlando di Urquhart, dell'Onu e del futuro del mondo: «Ai realisti bisogna dire che i principi morali contano negli affari internazionali e che un comportamento decente favorisce gli interessi di tutti compresi 1 potenti», L'Onu, ferita e sopravvissuta, sta forse ritrovando una voce. Furio Colombo lttdtdtUblfpprtbdSnln New York. Il palazzo dell'Onu che, ferita e sopravvissuta, sta forse ritrovando una voce