Polveriera d'Europa

Polveriera d'Europa Il rìschio jugoslavo Polveriera d'Europa La Jugoslavia come la Polonia e come l'Argentina insieme? Vediamo infatti estendersi da tempo un movimento di contestazione operaia che ora raggiunge la lontana Macedonia, la meno sviluppata delle Repubbliche jugoslave, mentre l'inflazione galoppa oltre il 170 per cento e il debito estero sfiora i 21 miliardi di dollari. Tenendo conto per di più che la Jugoslavia è composta di sei Repubbliche conflittuali, due Regioni autonome di cui una 6 il Kosovo, otto partiti comunisti più tre confessioni ufficiali e almeno nove nazionalità, non sarebbe il caso di parlare ancora una volta della «polveriera d'Europa»? E' da sette anni che i mali combinati di un socialismo confuso e di un capitalismo monco sembrano rincorrersi disordinatamente verso un traguardo di rottura. Ora, dopo tanti progetti e conati di «stabilizzazione», il primo ministro Branko Mikulic dà l'impressione di voler afferrare sul serio il toro della crisi per le due corna: prezzi e salari. Egli è riuscito a far approvare da un Parlamento discorde i 126 articoli di un pacchetto stabilizzatore che prevede, infatti, un blocco totale dèi prezzi e uno parziale dei salari. Ma il primo è stato preceduto da un dispositivo di legge duro e astuto* centrato sullo scatto vertiginoso dei prezzi di numerosi generi e servizi di prima necessità; poi l'aumento è stato congelato nel cellophane dei decreti, che, fra l'altro, infliggeranno al dinaro un'ulteriore svalutazione del 24,6 per cento. La risposta alla stangata di Mikulic non s'è fatta aspettare. Tutti, .governi locali, cittadini responsabili, giornali e televisione andavano dicendo, da un pezzo, che soltanto un insieme di draconiane misure antinflattive avrebbe potuto far uscire la Jugoslavia dal tunnel. Ma, ora che Mikulic ha presentato il conto, sia i ricchi della «Jugoslavia A» (sloveni e croati) sia i poveri della «Jugoslavia B» (serbi, macedoni, bosniaci) hanno reagito secondo i divergenti interessi economici e nazionali delle rispettive Repubbliche: i deputati sloveni alla Skupstina hanno votato contro il pacchetto del rigore, metà dei deputati croati ha votato anch'essa contro, mentre cinquemila operai siderurgici a Skopje e a Prilep, in Macedonia, scendevano nel le strade e assediavano la sede del governo locale. Ogni più stretta analogia con la Polonia sarebbe tuttavia per ora forzata e pre matura. Gli scioperi e le proteste in Jugoslavia stanno mostrando un carattere alquanto spontaneo, slegato, prettamente salariale. Nes¬ suna saldatura antigovemauva fra operai, intellettuali e studenti. Niente, insomma, che possa in qualche modo evocare meccanicamente il movimento di Solidarnosc, nel quale la rivendicazione economica era ed è un segmento di una più ampia protesta politica e ideologica, puntata al rinnovamento o ribaltamento strutturale del sistema. Quello che nella sostanza sta avvenendo in Jugoslavia è la crisi del primo socialismo di mercato, già varato da Tito con l'autogestione e la convertibilità del dinaro nella metà degli Anni Sessanta, una crisi in cui i due termini da ossimoro hanno sempre continuato a interferire e a contraddirsi l'uno nell'altro: nel socialismo s'annidava un mercato troppo brado e nel mercato sopravviveva sempre un socialismo troppo rigoroso e ideologizzato. Mancavano la sintesi e l'autodisciplina di una vera democrazia pluralistica, accennata nei fatti ma mai nelle istituzioni, che avrebbe dovuto liberalizzare da un lato il socialismo e regolamentare dall'altro il mercato. Al pluralismo si è sostituito il particolarismo in certi casi mercantilistico e selvaggio delle Repubbliche, le quali, rivaleggiando fra loro, hanno finito con l'indebolire l'autorità del governo federale. S'aggiunge oggi, a tutto 3uesto, l'incomprensione ell'Occidente, che alia Jugoslavia s'interessa scio quando immagina il diluvio alle porte di Belgrado. L'elenco dei dinieghi occidentali inflitti alla Jugoslavia in cerca d'aiuto è ormai lungo. Le banche svizzere hanno ristretto al minimo il fido. Il Fondo monetario intemazionale continua a protestare e a fare le pulci al debito estero jugoslavo. La Comunità europea, tutta presa a scialare miliardi nel Terzo Mondo ma attentissima a penalizzare i prodotti jugoslavi alla frontiera triestina, rispetta sempre più fiaccamente gli accordi che, sottoscritti da Belgrado nel 1980, avrebbero dovuto favorirne ampiamente le esportazioni sui nostri mercati. Nel giro di pochi anni il volume degli scambi tra la Jugoslavia e la Cee è sceso dal 38 al 3 " per cento, mentre nello stes so periodo quello della Jugoslavia col Comecon saliva dal 30 a oltre il 40 per cento. Che potrà avvenire giorno in cui la crisi, che per il momento è soprattutto economica, dovesse farsi anche politica? Fra l'indolenza europea la paralisi jugoslava s'è stabilita cosi una sorta di com plicità negativa. Per sbloccare lo stallo ci vorrebbe più iniziativa politica da una parte e più audacia «cinese» dall'altra. Prima che l'ora faccia troppo buia per tutti Enzo Bettlza

Persone citate: Branko Mikulic, Enzo Bettlza