Mei resuscitato

Mei resuscitato SIENA: SALVATAGGIO E MOSTRA Mei resuscitato Si è in molti ad aver la sensazione che la grande, splendida Mostra del Seicento Fiorentino, allestita tra il dicembre e il maggio scorsi in Palazzo Strozzi a Firenze, abbia segnato la fine di un'epoca, quella cioè delle rassegne gigantesche, con centinaia di opere e dedicate ad un'intera scuola, ad uno stile, ad un secolo. Si avverte infatti che manifestazioni del tipo che comporta più di una visita, e che necessita di cataloghi costosissimi e pesantissimi, anche in più volumi, stiano cedendo il campo a piccole mostre monografiche che, se bene concepite e realizzate, consentono al visitatore di venir lette e ricordate senza il faticoso sforzo che comporta un percorso attraverso decine di sale, tra una miriade di nomi, tele, tavole, soggetti e problemi. Di piccole mostre monografiche ce n'è stata una, stupenda, a Genova, tra aprile e luglio, dedicata a Giovanni Pisano; .corredata da un eccellente catalogo,' assai alta come livello" scientifico e qualitativo, delimitata nell'argomento (anche se ne è discutibile la dedica ad un accademico travestito da moderno, come Henry Moore) la manifestazione genovese (promossa dal ministero dei Beni Culturali e dal Comune di Genova, accanto a vari sponsor! tra cui le Società Ansaldo, Bruschettini, la Sagep e l'Italia Assicurazioni) è seguita ora dalla Mostra dedicata a Bernardino Mei, che si è aperta il 18 ottobre a Siena, nel Palazzo Chigi Saracìni. Organizzata dal locale Monte dei Paschi (che è proprietario della sede e dei dipinti esposti) la Mostra, corredata da un catalogo edito in modo eccellente dàlia fyes, i presentata senza sfarzo e sen za fronzoli, e propone tutta una serie di problemi e di letture a vari livelli. Il Mei (che ha costituito un'autentica rivelazione di recente data, anche per gli specialisti) è un pittore senese che visse tra il 1612 e il 1676: il primo quesito che pone la lettura dei suoi dipinti (generalmente in ottime condizioni) è quello della sua formazione. Cosa vide' e cosa studiò? Sono domande alle quali non è stata sin qui fornita una risposta convincente; ma c'è da credere che le sue radici culturali affondino parte a Hren zc e pane nella Roma del primo barocco, con risultati assai personali e, una volta visti, inconfondibili. La domanda che si pone il visitatore non specializzato è però un'altra: perché è stato scelto il Mei per questa Mostra? E come mai il Monte dei Paschi possiede un tal numero delle sue opere? Rispondere a tali quesiti significa ripercorrere uno dei più straordinari episodi del ruolo che, nell'Italia d'oggi, svolgono gli Istitu ti di Credito e le Banche, ri spetto al lamentevole assenteismo dello Stato e dei suoi pletorici organismi. Tra la fine del Settecento i primi del secolo successivo si formò a Siena una grande Collezione d'arte, in gran par te raccolta da Galgano Saraci ni, e conservata nel Palazzo Chigi Saracini, Rimasta prati camente intatta sino al primo decennio del Novecento, la magnifica collezione venne poi privata, a più riprese, daini capolavori di alta epoca, specie del Quattrocento senese, tra cui almeno cinque tavole di Giovanni di Paolo di cui quattro emigrate a Baltimora, una in California. Se la passione per i primitivi e la frenetica ricerca dei loro prodotti provocò perdite di tale entità, non esisteva, a quei tempi, alcuna considerazione per la cultura figurativa senese di epoche più tarde, per le quali la Collezione Chigi Saracini era particolarmente ricca, di una ricchezza irci prodigiosa. Tutto fa pensare che, con l'estinzione della Famiglia, anche questa imponente raccolta sarebbe andata dispersa; l'indifferente incuria dello Stato per questioni del genere è ben nota, e (senza tinvangare la vergognosa transazione che portò negli Anni 30 alla scomparsa della Galleria Barberini) ci vorrebbe un volume per elencare quel che è accaduto dal 1945 a oggi, in piena luce e senza suscitare alcuna reazione da parte delle Autorità, a celeberrime Collezioni, uniche e irrepetibili, di Forlì, MiVCMta^Roraa, Gcnou va; Napoli, Palermo, per- citare soltanto ì luoghi dove si sono verificati i casi più macroscopici. rirsi di una identità culturale che, giudicata superficialmente, può apparire campanilistica, ma che invece va sostenue caldeggiata: non fosse che come benefica spinta, in chiave autonoma, locale, al tristissimo processo di acculturazione semicoloniale di cui sono responsabili i mass media, a cominciare dalla tv e da certa stampa a grande tiratura il cui proposito è, si direbbe, la corruzione del linguaggio, dal vocabolario alla sintassi. In una cultura come quella italiana, e specialmente toscana, in cui l'espressione figurativa ha da secoli avuto un ruolo predominante, la scoperta del Seicento senese accerta la vitalità di Siena durante un secolo che, se fu assai tetro per l'intera Penisola (almeno a partire dal quarto decennio), fu addirittura tragico per la città che aveva perso l'indipendenza con l'annessione al Granducato Mediceo, ma senza mai rassegnate si, arai; difendendo le propine^ tradizioni. , sino a portarle, spesso intatte;-sino ai nostri giorni. Il Palio non è, infatti, la bella trovata ad uso e consumo dei turisti escogitata dalla Pro Loco, né panforte, ricciarelli copate riflettono l'ingegnosità di un qualche speculatore dolciario: oggi industrializzati e massificati, sono però prodotti di ininterrotta genealogia. Cè da aggiungere che la Mostra del Mei conferma l'importanza che, per l'adeguata lettura delle opere d'arte, è implicita nell'incontrarle entro il loro genuino contesto storico e ambientale: la ricchezza di spunti, richiami e connotati che rivelano va persa quando esse sono esiliate in ambienti alieni, come certi musei degli Stati Uniti che fanno pensare alle Cattedrali nel deseno, ai paesi del Far West ricostruiti per Gnecittà, a certi alberi che, trapiantati a migliaia di chilometri dal luogo di nascita, vengono su rachitici, mosci e desolati, con i fiori che non prorumano. Federico Zeri r Bernardino Mei: «Betsabea» (Siena, Collezione Chigi Saracìni, particolare)