«La sposa dello Zar» a Roma Rostropovic grande direttore

«La sposa dolio Zar» a Roma RosfropoyU arando direttore Rimski Korsakov ha inaugurato la stagione lirica dell'Opera «La sposa dolio Zar» a Roma RosfropoyU arando direttore La moglie, Galina Visnevskaja, ha curato la regìa dello spettacolo - Ottimo il cast ROMA — Festosa serata d'inaugurazione al Teatro dell'Opera con La sposa dello Zar di Rimski Korsakov: lavoro amatissimo in Russia ma poco rappresentato in occidente dove la fama di Rimski operista è affidata, piuttosto, al Gallo d'oro la più nota delle sue quindici opere teatrali. Qui non ci sono elementi fantastici, come nella Fanciulla di Neve, scene pittoresche di genere contadino come in Notte di Maggio e nel Racconto di Natale, né gli spunti epici di Sadko: La sposa dello Zar appartiene al dramma di costume d'ambientazione storica, si svolge nel 1572 e mette in scena la lacrimevole vicenda di una ragazza, Marfa, innamorata e promessa sposa al boiaro Lykov ma ostacolata, nel suo amore candido e puro, prima dalle mira del maturo libertino Grjaznoj, poi dalla decisione dello Zar Ivan 11 terribile di prenderla per moglie, scegliendola tra duemila ragazze. L'esito è tragico: Marfa morirà avvelenata dalla gelosa Liubasja, amante tradita di Grjaznoj che ha fatto uccidere il giovane Lykov e alla fine trafigge in scena l'amante, offertasi spontaneamente al suo pugnale per espiazione. n libretto dello stesso Rimski e di Ilja Fedorovic TJumenev procede un po' a balzelloni, con un'azione concentrata e sommaria, frequentemente interrotto da inni, canzoni, danze e diversivi ameni. Nel primo atto si va avanti cosi a linea spezzato; negli altri la vicenda scorre mag¬ giormente in un seguito di reazione un po' schematiche e burattinesche del personaggi dinanzi agli eventi che li travolgono. L'imbarazzo di fondo che si avverte dal punto di vista teatrale dipende forse proprio dalla sottigliezza della musica di Rimski: nel pezzi chiusi, arie, canzoni, concertati, cori, tutto bene; dove Invece l'azione marcia con puerile semplicità e rìgidi trapassi, le calligrafie orchestrali in stile Eugenio Onieghin, la sottile elasticità di un declamato intimista, accompagnato da un'orchestra levi¬ gato, suonano sovente estraniate e artificiose. Resta il piacere di ascoltare musica sempre, costantemente «ben scritta»: timbri profumati e soffici, melodie espanse, un flusso armonico che scorre senza intoppi o esperita; e quello d'incontrare, come rocce immerse in un fiume, singoli momenti di vero teatro musicale. Nel panorama un po' sbiadito del personaggi, almeno due lo sono a pieno titolo: l'appassionata, tormentata Ljubasa che sin dal primo atto si staglia con la stupenda canzone per voce sola, e i i , l é E o i e a è la candida Marfa che matura progressivamente, da un atto all'altro, e sboccia, letteralmente, alla fine nella poetica scena della pazzia. Nel primo atto che è il più monotono, le scene corali e la bella canzone del luppolo giungono particolarmente gradite; il secondo ha un delizioso quartetto e suadenti duetti femminili, il terzo un'aria assai bella del tenore e un finale con un magistrale colpo di scena. Quando si giunge alla fine del quarto, l'impressione globale è di una perfetta tenuta di stile, magari un po' gratuita, senza cogenti moti' vazioni, ma sempre pregevole per la sua alta civiltà. L'esecuzione presentata dal Teatro dell'Opera rispecchiava esattamente la levatura artistica del lavoro di Rimski. La direzione di Rostropovic non si lascia sfuggire nulla: il gioco dei colori, l'inseguimento reciproco dei disegni orchestrali, il rapporto equilibrato con il pai coscenlco sono messi a fuoco con naturalezza istintiva. E l'orchestra, sotto la sua bacchetta, suona in modo egre gio. Molto a fuoco è parso pure il cast: voci naturali e ben timbrate che sì espandono senza sforzo, rilevano plasticamente vocali e consonanti (fonetica piacevolis sima anche per chi non capi sce un'acca di russo) e dan no sfogo accorato e sentito alla melodia. Sono: Stefka Mine va (Ljubasa) Vyaceslav Polozov (Lykov) Dimiter Pe tkov (Sobakìn) Lajos Miller, imponente Grjaznoj e Sylvie Valayre deliziosa nel perso naggio di Marfa. Perfetto il tenore di carattere Misha Raitzin nel per sonaggio dell'intrigante medico dello zar e valoroso il gruppo di cantanti italiani capeggiato da Francesca Franci nella parte di Dunja sa. Lo spettacolo, proveniente dall'Opera di Washington, si avvale della regia tradizionale ma sciolta e funzionale di Galina Visnevskaja con i costumi e le scene un po' banalmente illustrative di Zack Brown. Buono 11 successo della serata che ha coinvolto tutti gli interpreti, compreso il maestro del coro Gianni Lazzari e la coreografa Margarita Trayanova: applausi calorosi, anche se non entu siastici, come d'altronde difficile che quest'opera risca a suscitare, almeno qui da noi. Paolo Gallarati

Persone citate: Buono, Francesca Franci, Gianni Lazzari, Lajos Miller, Misha Raitzin, Paolo Gallarati, Rimski Korsakov, Sylvie Valayre, Zack Brown

Luoghi citati: Roma, Russia, Washington