«Ho visto rapire mio fratello»
«Ho visto rapire mio fratello» Un tecnico italiano racconta l'agguato dei guerriglieri etiopici «Ho visto rapire mio fratello» «Erano in divìsa, sparavano come pazzi» - La jeep di Paolo Bellini e Salvatore Baroni bloccata con dei massi sulla pista - Responsabile del sequestro probabilmente un gruppo marxista ostile a Menghistu - Primi passi della Farnesina per una trattativa DALLA REDAZIONE ROMANA ROMA — «Guidavo la prima delle tre jeep che formavano il convoglio. Mio fratello Salvatore si trovava sulla seconda, quella che poi hanno fermato. Improvvisamente da un cespuglio sulla sinistra sono sbucati degli uomini in divisa grigio-verde, sembravano dei militari. L'africano che stava con noi sulla jeep ha cominciato a gridare "sono ribelli, sono ribelli". Ho visto immediatamente i mitra e per istinto ho accelerato al massimo. Hanno cominciato a sparare come passi alle gomme, ma c'era molta polvere e ci hanno mancato. Così ci siamo salvati». Il sequestro di Paolo Bellini e di Salvatore Baroni, presi in ostaggio da una formazione di ribelli nei pressi del lago Tana in Etiopia viene cosi in parte ricostruito dal fratello di quest'ultimo, Maurizio, anch'egli dipendente della «Sorige perforazioni», una società di Parma che in Etiopia, grazie agli aiuti italiani, sta lavorando ad un ambizioso progetto per irrigare e rendere fertile la valle del Beles. «La sfortuna ha voluto racconta ancora Maurizio Baroni — che la campagnola sulla quale si trovava mio fratello si fosse attardata di alcuni minuti, forse una de¬ cina, perché si erano fermati nel viaggio da Bahrdar a Rumila, dove sorge il cantiere, a raccogliere un altro tecnico locale. I ribelli hanno cosi avuto il tempo di piazzare sulla pista dei grossi massi che li hanno costretti a fermarsi. E' stata solo sfortuna, ripeto: se Salvatore fosse stato dietro di noi si sarebbe salvato anche lui». La jeep di Paolo Bellini e Salvatore Baroni sulla quale' viaggiavano altri tre dipendenti etiopi era seguita ad un'altra decina di minuti da una terza vettura. Gli occupanti dell'ultima macchina sono riusciti però ad evitare il sequestro appena in tempo e a dare, attraverso la radio di bordo, l'allarme e fornire le prime testimonianze. Quando sono giunti sul posto l'auto dei loro compagni era ormai carbonizzata: un pastore che era stato testimone dell'agguato ha raccontato che i ribelli erano una ventina, armati di fucili e bombe a mano. Nessuna indicazione certa però sulla loro identità. Sia la Farnesina sia i responsabili della «Sorige perforazioni» e dello studio romano dell'ingegner Giorgio Pietrangell che ha appaltato alcuni lavori alla ditta di Parma, sembrano però convinti che gli autori del sequestro siano i ribelli del PRPE. 11 Partito rivoluzionario del popolo etiopico, un partito di ispirazione marxista ostile al regime del colonnello Menghistu che giudica «fascista». È non a caso: 1 militanti del PRPE, che hanno basi in Sudan, hanno infatti già compiuto operazioni come quella* di domenica. Il 27 dicembre dello scorso anno, dopo una strage che provocò quaranta morti, presero in ostaggio altri due tecnici italiani, dipendenti dalla ditta romana «Saline» operante nella stessa zona, allo stesso progetto. Giorgio Marchiò (che da tre mesi è tornato a lavorare in Africa per la stessa ditta, questa volta in Gabon) e Dino Marteddu vennero rilasciati dopo quarantadue giorni di trattative condotte sia sul piano diplomatico sìa direttamente dai dirigenti della società Saline. A distanza di un anno, la scena si ripete: l'ambascia"tore italiano ad Addis Abeba, Sergio Angeletti, dopo aver preso i primi contatti nella capitale africana con le autorità diplomatiche etiopi si è già trasferito in aereo nella regione del Goggiam, dove è avvenuto il sequestro. A Bahrdar è volato ieri anche Romano Costoncelli, titolare della «Sorige perforazioni» per mettersi personalmente in contatto con Fran¬ cesco Zoppini, geologo dello studio Pietrangell, responsabile del cantiere sul lago Tana. Ma ogni azione, fanno sapere i portavoce del ministero degli Esteri, è per il momento prematura. Prima di intraprendere qualsiasi iniziativa, dicono, occorre attendere la rivendicazione. E passeranno, come è già successo la volta scorsa, almeno due o tre giorni. I ribelli devono infatti prima riguadagnare i campi-base attraverso sentieri secondari che solo loro conoscono e poi organizzare la protesta affinché abbia la massima pubblicità possibile. La bonifica della valle del Beles da parte dei tecnici italiani non è ben vista infatti dai militanti del PRPE che — preoccupati per le deportazioni in massa di cittadini dalle zone afflitte dalla siccità alla regione del lago Tana e per la costruzione di strade, viadotti e gallerie che potrebbero essere usati invece dalle forze militari governative — cercano di ostacolare i lavori In attesa della rivendicazione, e dell'inizio quindi di una trattativa, la madre di Paolo Bellini e la moglie di . Salvatore Baroni hanno inviato intanto un appello al presidente della Repubblica Cossiga ed al ministro degli Esteri Andreotti.
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