Bolet sfoglia il suo album di ricordi musicali

Bolet sfoglia il suo album di ricordi musicali Torino: il pianista per l'Unione Musicale, per la stagione Rai il direttore Zagrosek Bolet sfoglia il suo album di ricordi musicali TORINO — Probabilmente della carriera di Jorge Bolet ci slamo persi 11 meglio, ma è sempre un piacere riascoltare questo pianista americano nato a Cuba che a settant'anni, notissimo In Usa, ha deciso di mettersi a girare per l'Europa e mercoledì sera ha suonato all'Auditorium per l'Unione Musicale. La compattezza e lo slancio dei testi classici, come YAppassionata di Beethoven, non risultano oggi molto a fuoco: si sente dietro le dita la concezione di grande respiro, ma il risultato sonoro arriva qua e là appannato. Ma dove il nostro pianista brilla di luce particolare è nel pezzo singolo, nella fantasia, nel foglio d'album: qui 11 Bolet, come dicono a Firenze, è .ne' su' centri» e ha una quantità di cosa da raccontarci. Lo ha dimostrato già nella mutevolezza di tocco del Preludio e fuga in mi minore e nel florido capriccioso di Mendelssohn, e poi sempre con più morden¬ te nel Preludio, corale e fuga di Franck, nelle Reminiscenze sulla Norma di Llszt e ancora In alcune pagine fuori programma, di misterioso circuito; la prima era una trascrizione del delizioso mélodrame 'Dieu voui giarde, Renaude. dall'Artesiana di Blzet, la seconda mi è suonata ignota: provando ad azzardare, lo direi un allievo di Scriabln rifugiato In America e influenzato dal maestro nella fase di transizione fra la seconda e la terza maniera. Bolet estrae questi pezzi da un vecchio comò, una soffiata alla polvere, una lucldatina con lì fondo della manica ad eccoli 11 sul pianoforte come fossero nuovi. Anche Preludio corale e fuga di Franck sta ormai addormentandosi fra le memorie: appare sempre meno; faceva furore quando Debussy e Ravel erano sentiti come temute novità, oggi rughe, gromme e affanni sono innegabili. La cimmeria melanconia dell'esordio (che tanto era piaciuta a Visconti In uno del suol ultimi film) ci tocca sempre, ma il corale, con la pappolata del suol accordi, vola ormai basso. Assuefatti al kitsch e ai ripescaggi oggi ci pare più nuovo Llszt che gioca con la Norma (ma la combinazione, verso la fine, di «Meco all'aitar» con «Padre, tu piangi» produce un momento che è puro Poulenc & soci): Bolet, grande llsztiano, ne ha dato una versione brillantissima, aerando con canore melodie le armoniche ragnatele franckiane. g. p. * * TORINO — Nella produzione mozartiana dell'ultimo anno il Requiem Introduce un elemento di sconcertante anomalia: la sublime «semplicità» del Flauto magico e dei capolavori coevi lascia spazio, infatti, ad un lavoro roccioso, brunito e severo: per alcuni uno dei massimi capolavori del demoniaco mozartiano, per altri un'opera d'occasione che impedirebbe di cogliere l'autentica religiosità dell'autore, da ricercarsi, con più successo, altrove. Non dimentichiamo che il Requiem fu commissionato al musicista In gran segreto da un nobile viennese che voleva farlo passare per proprio; e che, soprattutto, la partitura è rimasta incompiuta: Mozart si interruppe all'inizio del Lacrimosa, alla sublime idea melodica che nella sua trasfigurata dolcezza sembra condurre ad una svolta, dopo la severità espressiva e la prodigiosa fattura in stile severo del primi brani. Ma nessuno potrà mai sapere quale sarebbe stato l'esito di questo capolavoro, una volta finito: e qui sta il fascino enigmatico, sfingeo, della composizione che Lothar Zagrosek ha diretto l'altra sera all'Auditorium conducendo ad esiti ragguardevoli l'orchestra e 11 coro istruito da Mino Bordlgnon (qualche Immissione di voci fresche, tuttavia, non guasterebbe). Tra 1 quattro solisti si è apprezzato so¬ prattutto il soprano Elizabeth Norberg-Schulz, dalla voce argentina e dolcemente modulata, mentre gli altri (Penelope Walker, mezzosoprano, Werner Krenn, tenore e Thomas Toomaschke, basso) hanno decorosamente disimpegnato le loro parti. In apertura del programma si è ascoltata Aura di Maderna, capolavoro dell'ultimo periodo (1972) dominato dall'Idea poetica e anche «tecnica», deU'«Irradiazlone>: tutta l'orchestra, gigantesca, impegnata a registrare e amplificare l'aureola sonora che si allarga intorno agli oggetti musicali e vibra, e trascolora con rinnovata magia, sino a cogliere «l'essenza delle cose». Giustissimo, nell'Impiego che Maderna fa della gran de orchestra, vedere l'eredità di Mahler: ma ora il corpo sonoro viene trapassato da parte a parte, come da un fascio di raggi gamma, ed espande intorno la sua «aura», fosforescente e misteriosa, p. gal.

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