I cervelli vogliono tornare

I cervelli vogliono tornare In un convegno a Milano 28 scienziati «fuggiti» all'estero I cervelli vogliono tornare Chiedono di essere messi in condizione di lavorare senza mortificazioni - D prof. Terzuolo è rientrato per dirigere un istituto del Cnr ma ha uno stipendio di un milione e mezzo - C'è anche chi viene bocciato ai concorsi - Così cresce il ritardo nella ricerca - Domani rincontro con tre ministri MILANO — Bono tornati in ventotto, ma solo per pochi giorni. Ventotto medici italiani emigrati nel mondo a far fortuna scientifica. E l'hanno fatta. Oggi sono celebri, sono dei capiscuola. E* la prima volta che avviene un slmile appuntamento. Strette di mano, abbracci, commozione.. Sono tutti neurologi chiamati a Milano nell'ambito del Progetto Cultura della Montedlson. C'è per esempio Anthony Raimondi, che è nato a Chicago ma è voluto sempre restare italiano: è il più importante neurochirurgo infantile degU Stati Uniti C'è Joseph Toglia, nato poverissimo a Pescopagano, vicino a Potenza: è un'autorità scientifica a Philadelphla. E c'è Carlo Terzuolo, che ha una storia tutta sua. Piemontese, se ne andò a 27 anni negli Usa. A Minneapolis (Minnesota) ha creato un centro all'avanguardia, ma sei anni fa la grande decisione, «/imo il rischio: sono tornato in Italia.. Ora dirige l'Istituto di tisiologia dei centri nervosi del Cnr a Milano. «Afa bisogna dire qual è il suo stipendio — interviene Renato Boeri, ex direttore dell'Istituto neurologico Besta, ideatore di questo convegno —. E' di un milione e messo. Vive in una torretta del suo istituto. Due volte all'anno se ne torna in Usa a proseguire altre ricerche: Terzuolo dice che il suo gesto ha un solo scopo: formare qui da noi un gruppo di scienziati che possano competere a livello internazionale. 'Per ora viviamo dei soli fondi del Cnr — dichiara —. Ma presto concorreremo per meritare fondi internazionali». Le sue ricerche mirano a scoprire le leggi con cui il sistema nervoso centrale organizza e controlla il movimento della persona. «Sono restato cittadino statunitense —■ conclude Terzuolo — ma-mi constdero italiano: n caso di Terzuolo mette in evidenza il vero obbiettivo di quest'iniziativa. Certo, si vuole avviare un migliore scambio di informazioni fra tutti 1 neurologi italiani che svolgono all'estero la loro attività. Inoltre è opportuno dare del punti di riferimento al nostri giovani ricercatori che vogliano avere esperienza scientifica in altri Paesi. Ma soprattutto si vuole premere su ministri, direttori di centri di ricerca, rettori di università, su chiunque Insomma abbia responsabilità politica o amministrativa o scientifica, affinché sia facilitato il rientro di tanti nostri scienziati attivi all'estero. Perché e inutile illudersi — dice Boeri —. Oggi il gap scientifico, fra noi e i Paesi all'avanguardia, aumenta, non diminuisce. Un Rubbia, una Levi Montalcinl non fanno primavera. Sono eccezioni. La Levi Montalcinl comunque ha avuto un effetto "alla Pertinl": come l'ex Presidente, si suol dire, ha riavvicinato gli italiani alle istituzioni politiche, cosi lei ha reso popolari certi problemi della ricerca e della politica scientifica». n «clou» politico di questo raduno è domani. Dovrebbero esserci Donat-Cattin, Galloni e Ruberti, ministri rispettivamente della Sanità, della Pubblica Istruzione e della Ricerca scientifica. La comunità del neurologi («e in questo siamo un po' dei battistrada», dice Boeri. •Ci seguiranno gli altri ambiti scientifici») fa presente le possibilità reali che a tutt'oggi hanno i cervelli italiani all'estero di rientrare nel nostro Paese. CI sono quattro possibilità, come chiarisce Lodovico Bergamini, direttore della Clinica neurologica dell'Università di Torino. La prima. Un giovane ricercatore italiano fa esperienza all'estero e vuol tornare: quest'esperienza gli vale come titolo. La seconda: un professore straniero può essere assunto a contratto (la cui validità è a termine) da una Facoltà, con stipendio a discrezione («per esempio a Torino abbiamo chiamato il Nobel John Eccles», ricorda Bergamini). Terza possibilità: è previsto che il ministero conceda cattedre In soprannumero per cittadini stranieri, quindi anche di origine italiana; in questo caso la carriera comincia da zero, non valgono gli anni di attività all'estero. Quarta e ultima possibilità: che uno straniero partecipi a un concorso normale. •La verità è — dice Hrayr Terziari, ex rettore dell'Università di Verona—che queste "chances" sono il più delle volte solo sulla carta. Ben raramente si da spazio a chi non è stato allevato nei nostri orticelli baronali». E ricorda ad esempio che è rimasto lettera morta quel famoso 5% dei posti per ricercatore ed associato, un 5% riservato a giovani studiosi che abbiano passato almeno tre anni in istituti all'estero. Eppure lo prevedeva la legge 705. «La stessa Falcucci — dice Hrayr — mi ha detto che tutti i partiti le si rivolgevano cosi: "Ma che t'importa? Lasciali là dove si trovano". In queste cose i professori danno la colpa ai politici, i politici ai professori: C'è poi la vicenda di Rodolfo Saraci, direttore del Centro di epidemiologia dei tumori a Lione. .Per due volte è stato bocciato in concorsi italiani — dice Hrayr — Immeritevole, inadeguato. Mentre Luigi Rossi Bernardi, presidente del Cnr, aveva già assicurato che, dovunque fosse andato da noi Saraci, il Cnr avrebbe fondato un centro di epidemiologia». Secondo Boeri e Hrayr, che poi esprimono l'animo del convegno, il principale ostacolo da superare non sono dunque le difficoltà burocratiche, ma la mentalità «miope e antistorica» che ancora prevale nelle nostre Università. Se si liberalizzasse davvero la ricerca — dicono in sostanza — le nostre strutture si adeguerebbero finalmente alle più progredite società e comunità scientifiche, soprattutto a queUa degli Stati Uniti. Claudio Al tarocca