Gli spettri del Cechov americano

sDettri del Cechov americano SI RISCOPRE JOHN CHEEVER, SCRITTORE TRA LUSSURIA E PUREZZA sDettri del Cechov americano E' ormai un mito negli Stati Uniti, dove morì cinque anni fa - Ora desta l'attenzione di autori ed editori anche in Italia - Racconta umili eroi che rispecchiano la sua vita (alcolismo, ossessioni, amorì irregolari) in altalena tra male quotidiano e magiche redenzioni - «Da Hemingway ho imparato a non spararmi in testa» •A volte queste storte sembrano le storto di un tempo remoto, quando la citta di New York si riempiva ancora di luce dal fiume, quando potevi ascoltare quartetti di Benny Goodman dalla radio alla cartoleria d'angolo, e quando pressoché chiunque portava 11 cappello. Eccomi, l'ultimo di quella generazione di accaniti fumatori, che al mattino svegliava il mondo a colpi di tosse, che si sborniava ai cocktail parties danzando sul ritmo di vecchi balli come il Cleveland Chicken, partiva per l'Europa in nave, aveva davvero nostalgia per l'amore e la felicità, e i cui Del erano antichi proprio come i miei e i tuoi, chiunque tu sia»; cosi, con la consueta grazia, lo scrittore John Cheever introduce, chiacchierando, il Iettare ai suoi racconti. Ormai un mito negli Stati Uniti, Cheever, scomparso cinque anni fa, non è altrettanto popolare nel nostro Paese, pur ingordo di ogni volantino minimalista. Malgrado il suo romanzo Lo scandalo Wapshot sia apparso in Italia già nel 1966, bizzarramente, Cheever, che il New York Times definiva •11 Cechov americano» e Time «l'Ovidio del quartieri residenziali» non ha mai attratto i nostri lettori, ieri i dotti dal macho Hemingway, oggi dagli efebici Leavitt e Minot. Finalmente, però, il silenzio sembra schiudersi: Oreste del Buono fa tradurre per la sua nuora rivista Dolce Vita il bellissimo racconta Mene, Mene, Tekel, TJphar sin e Oareanti sceglie dalla raccolta stampata negli Usa da Ballantine sedici racconti, tradotti da Marco Papi col titolo Addio, fratello mio e amorosamente presentati da una Fernanda Pivano in grande forma. ' UaUpneionAiedMoriale*, segna.forse un gusto più maturo,- ■ sia del pubblico che dei nostri autori: nelle recenti Quattro novelle sull'apparenza di Gianni Celati (Feltrinelli) risuona ormai un'atmosfera consonante a certe pagine di Cheever. Il lettore che si avventurerà per i racconti ora tradotti riceverà dapprima un grande senso di pace, consolato da quello che Cheever chiamava «11 privilegio di vi vere, di essere vivi». Poi, poco a poco, fin dal primo racconto, Addio fratello mio, questa stabilità si disintegra e il quieto mondo del New England americano, con le sue cose di -mattoni rossi, le Buefeste.ie giacche di tweed, le borse di studiò peti college» bon l'edera sulle btbliotó-1 che, l campi da tennis, le piscine e i treni di pendolari verso le città si anima di orrendi spettri. Tutta la vita di Cheever era stata un sommesso e sorridente attraversare angosce. Nel 1984 sua figlia, Susan Cheever, anche lei scrittrice di romanzi, ha pubblicata una biografia del padre, Home before dark (Houghton Mifflin editore) ed è un peccata che non sia ancora stata tradotta, perché è un testo formidabile e terribile. L'omino che amava farsi fotografare mentre girellava per la campagna sulla sua bici, cori' un. pullover Shetland addosso, era un atcolizéàto'che litigava "con la' moglie, uno scrittore che impiegò decenni prima di riuscire a finire un romanzo, un insicuro che né le classifiche dei best-seller, né il suo volta sulle copertine di Time e Newsweek potevano rasserenare. Turbato dalla vita del padre e dagli atteggiamenti della madre, Cheever ebbe sempre un nascosto versante omosessuale. Lo combatté dapprima, vergognandosene da yankee puritano, poi, durante la rivoluzione sessuale degli Anni 60 lo accettò, si innamorò di un militare del¬ l'accademia di West Paint ed ebbe twt amante,Hip, fedele fin sui letto ai mòrte. Itsesso to'tormentava, corteggiò con successo l'attrice Hope Lange, moglie di Alan Pakula, e quando insegnava in un college del Midwest, idolo delle studentesse, «non era mai solo a letto» ricorda Susan Cheever. Piccolo di statura, col volta rotondo, gli occhi dolci e i capelli lisci Cheever si gonfia e copre di rughe per l'alcol Spia moglie e figli per poter rubare un po' di whisky dalla credenza. Durante un soggiorno a Boston lo scrittore John Updike va a visitarlo, e lo trova fuori dalla porta, nudo come un verme, ubriaco e incosciente. I personaggi di Cheever vivono in altalena tra il male quotidiano e una possibile redenzione da raggiungere magicamente. Nel racconta The housebreaker of Shady Hills (non incluso nella raccolta di Garzanti), un uomo, disoccupata, ridotto a rubare, capace di ringhiare contro i figli anche durante la festa di compleanno, recupera se stesso e ricomincia daccapo perché bagnata da una strana pioggerella. In un'altra novella non tradotta, The angel of the bridge, un automobilista, che non può più viaggiare paralizzata dal terrore che lo coglie se deve attraversare un ponte, è redento da un'angelica autostoppista. E' solo una delle tante storie autobiografiche narrate da Cheever che fu davvero colto a lungo dalla fobia dei ponti. La sua avventura nell'alcolismo punteggia molti racconti e un tossicodipendente che ha ucciso il fratello è l'eroe del romanzo II prigioniero di Falconer (Gar zanti 1978). II fratricida si chiama Ezekiel Farragut, il nome biblico era adorata da Cheever e il cognome è preso in prestito da uno svincolo autostradale nei pressi di New York. Anche Cheever aveva spesso avuta ossessioni omicide per il fratello Fred. Si amavano, Fred aveva pagata un fisso mensile a John da ragazzo e da vecchio, rimasta senza lavoro, era stata aiutato dal fratello ricco e famoso, ma c'era una sotterranea ambiguità. «Mio padre voleva uccidere Fred e voleva vivere con lui, racconto Susan Cheever, e per questo fini col fuggire di casa». Una notte Susan bambina si sveglia, ha paura che sotto il letta ci sia una tiare. Cheever la consola, ma condivide i suoi terrori. «Il buio fa paura ad entrambi. Non ci sono fantasmi né tigri ma il buio è duro da sopportare. E ci sarà molto dolore e travaglio prima che sia possibile vedere questa oscurità trasformarsi nel dolce mattino» scrive John Cheever nei suoi diari ancora inediti. Nel 1957, fatti un po' di soldi, lo scrittore carica moglie e tre figli su una nave e li porta in Italia, a vivere a Roma per un anno. L'Italia di quel risveglio dopo la guerra ricorrerà spesso nelle pagine di Cheever, per esemplo in Un altro racconto, protagonista Marcantonio Parlapiano, detta Buoi, maltrattato dalla famiglia della moglie Grace, proprio perché italiano. Del nostro modo di fare a Cheever piacevano calore e forza, gli sembrava che potessero dissipare il suo dubbio, le sue angosce. Alla figlia che lo incoraggia a vedere uno psichiatra ribatte: •Ma se quello 11 non ha nemmeno letto II Gattopardo cosa vado a fard?». L'Italia era un luogo magico, dove si poteva venir derubati, oltraggiati dai carabinieri, perseguitati dai portieri o dai malfidi padroni di casa, ma dove * fantasmi del New England si smarrivano a loro volta nei polverosi palazzi romani. Tornata a casa, Cheever conosce il successo: «Dopo il National Book nel 1958 per il romanzo The Wapshot chronicle uscito l'anno prima», scrive Fernanda Pivano nella post fazione a Addio fratello mio, «i premi ricominciarono ad onorarlo nel 1979 in seguito alla comparsa della sua raccolta di racconti The stories of John Cheever uscita nel 1978 e acclamata col Premio Pulltzer, il National Book Critica Circle Award e la Edward MacDowell Medal; riconoscimenti che nella sua ritrosia lo lasciarono abbastanza lndlf f erentè" mentre .lo r^'se^èUce vedere le sue storie diventate best-seller sulla lista del New York Times con una circolazione che pare abbia raggiunto le ottocentomila copie». Quando viene il turno delle, figlia Susan di aspettare le recensioni dei critici, John Cheever è fermissimo: «Ricordati che la letteratura non è uno sport agonistico». Se mai avesse avuta a sua volta gelosie o rivalità per i colleghi non lo diede mal a vedere. Con Saul Bellow, Bernard Malamud, John Updike e John Irvtng divenne amico. «Che cosa ha imparato da Hemingway?», gli chiesero. «A non spararmi in testa», rispose. Lui si autodistruggeva con i Martini cocktail», il bourbon doppio e la vodka liscia. Finché, come uno dei suoi umili eroi, non conobbe l'illuminazione. Purgatorio di un mese in una clinica per disintossicarsi e dal 1975 alla morte non toccò più liquori, assiduo alle riunioni degli Alcolisti Anonimi. Oli spettri non erano scomparsi, i ponti da attraversare restavano lunghi e sospesi su abissi, ma, come scrive un giorno d'ottobre del 1978 nel diario: «MI ricordo che, da giovane, decisi di andare fuori con i boscaloli per abbattere alberi. La penso ancora cosi e prego che la mia scelta non sia perversa. Non voglio guardare la scena dalla finestre lurida della stanza di una prostituta dove ho esaurito la mia voglia di cose proibite e mi sono massacrato. Mio figlio Ben ha corso la maratona In due ore e 59, Suste ha finito il suo romanzo. Nessuno di noi, io In particolare, é un asso, ma, cosi voglio sperare, teniamo duro». Con quest'animo aperta tra lussuria e purezza va in ospedale, nel giugno del 1982 a morire di cancro, a settantanni. Lasciava i racconti, i romanzi The Wapshot chronicle e Lo scandalo Wapshot, Chiodi e martello, Il prigioniero di Falconer e Un vero paradiso. Due mesi prima, preparandosi a ricevere la massima onorificenza concessa a uno scrittore americano, aveva annotata sul diario il discorso di ringraziamento: -Quel che scrivo è la fine dì quel che ho da dire. Dirò che la letteratura è l'unica coscienza che possediamo e che il suo ruolo di coscienza ci deve informare dei tremendi pericoli nascosti nell'era nucleare. La letteratura è stata la salvezza del dannati, la letteratura ha ispirato e guidato gli amanti, mettendo in fuga la disperazione: può forse, adesso, salvare 11 mondo». Gianni Biotta Lo scrittore John Cheever (da «Home beibre dark», ed. Houghton Mifflin Company)