I nostri soldi di Mario Salvatorelli

Wall Street si studia nelle scuole r I nostri soldi di Mario Salvatorelli Wall Street si studia nelle scuole «l fatti di Wall Street che . in questi giorni hanno sconvolto l'andamento delle Borse sono al centro di una ricerca delle scuole di questa Direzione didattica. Il giornale La Stampa, che entra tutti i giorni nelle scuole dipendenti da questo Ufficio, confronta il fenomeno finanziario in questione con quello verificatosi nel 1929 e parla di quota 90. Ci siamo rivolti a diversi uffici per avere chiarimenti onde conoscere in che cosa consistette l'operazione "quota". Tra le ipotesi di spiegazione figura quella che tale quota rappresenta la rivalutazione della lira rispetto alla sterlina. E' giusta tale asserzione?». La lettera è del direttore didattico di Marcheno (Brescia), prof. Giuliano Porteli, ed è datata 21 ottobre, appena due giorni dopo il «lunedi nero» di Wall Street (e di tante Borse mondiali). Come si vede, a Marcheno. sono attenti all'attualità, ma anche, ed è questo il compito della scuola che riteniamo più importante, a spiegarsela e a inserirla nella storia. Personalmente, non ritengo che tra gli avvenimenti del 1929 e anni seguenti e quelli di oggi (non vorrei scrivere, un giorno: e anni seguenti) ci siano molti punti in comune, salvo quello, ma non è poco, del crollo delle Borse. Per limitarmi, però, al quesito postomi dal prof. Porteli, in esso è già contenuta la risposta. Effettivamente, l'operazione «quota 90» significò che l'Italia, e per essa Benito Mussolini, allora capo del governo, nonché «duce» del fascismo, riportò a quella quota il cambio lira-sterlina, inoltre il cambio con il dollaro a 19 lire, e successivamente il prezzo-cambio dell'oro a 12,64 lire il grammo, contro le precedenti 17,09 lire. In sostanza, come annunciò nel suo famoso discorso di Pesaro del 1926, Mussolini decise la rivalutazione della lira sui mercati dei cambi, spinto da quel . concetto di moneta come simbolo della fona di un Paese che ancor oggi, ogni tanto, fa capolino (si pensi alla grandeur di De Gaulle), ma che da tempo è stato abbandonato. Lo yen del Giappone, seconda potenza economica del mondo non comunista e più grande creditore mondiale, vale sui mercati dei cambi poco più di 9 lire, qualche centesimo meno della dracma della Grecia, Paese in discreto sviluppo, ma che proprio una «potenza» non è, con un prodotto interno lordo che è circa un quarantesimo di quello del Giappone e un reddito per abitante pari a un terzo, in cifre (ma quasi alla metà in potere d'acquisto intemo), del reddito per abitante del Giappone. Per tornare alla quota 90 di Mussolini, fu, quello, un errore di valutazione, anzi di «rivalutazione» che ebbe conseguenze depressive sull'economia italiana e anticipò la grande crisi del 1929, di cui, allora, il crollo di Wall Street fu la sirena d'allarme. Si può ricordare, tanto per aiutare la «ricerca» delle scuole di Marcheno, che quella crisi portò, oltre a un'estesa e prolungata disoccupazione (in parte assorbita nel nostro Paese con la guerra di Abissinia e l'intervento in Spagna), an¬ che a un lento ribasso dei prezzi. Infatti, per tutto il periodo che va dal 1930 al 1937 compresi, il costo della vita oscillò a livelli tra il 10 e il 20 per cento inferiori a quelli del 1929. Questo per dire che una crisi economico-finanziaria non porta necessariamente a un'inflazione, ma può provocare, al contrario, come avvenne appunto allora, una deflazione. Spero, e ritengo, comunque, che questa volta il crollo di Wall Street e delle altre Borse, se pur sarà, indubbiamente, carico di conseguenze, in buona parte negative, anche per le economie occidentali, non sia stato l'annuncio di una depressione mondiale, e possa essere l'inizio di un periodo di più ordinato benessere. Debito pubblico «Per sanare il deficit pubblico, almeno in parte, piuttosto che ricorrere alle solite lasse (casa e auto), o all'emissione di Boi, Cct, eccetera, che comportano interessi, restituzioni di capitale e nuovi buchi, non sarebbe più semplice, oltre alla riforma della burocrazia, stanare gli evasori fiscali, ricuperando in tal modo i crediti e attuando una migliore giustizia fiscale?». Alla signora Romana Fassola, che mi scrive da Pont Canavese (Torino), rispondo che il far pagare le tasse a tutti, in proporzione ai redditi di ciascuno, sarebbe, certamente, il modo migliore per alleggerire il deficit annuale e il debito passato, presente e futuro delle amministrazioni pubbliche, ma non il più semplice. Tanto è vero che, almeno finora, non ci sono riuscite. Auguriamoci che siano, quanto meno, sulla buona strada. Intanto, unica soluzione per far fronte agli impegni, è quella di stampare titoli del Tesoro. Sempre meglio che stampare carta moneta: quelli rastrellano risparmio, questa imr ette denaro, e inflazione, sui mercati.

Persone citate: Benito Mussolini, De Gaulle, Giuliano Porteli, Mussolini, Romana Fassola