La gabbia di Gorbaciov

La gabbia di Gorbaciov Perché è tanto più prudente di Deng La gabbia di Gorbaciov Mentre Deng stravince il tredicesimo Congresso, facendo ruzzolare tutti i Grandi Vecchi sulle loro sedie a rotelle lungo la scalinata dell'Assemblea Nazionale di Pechino, Gorbaciov dà l'impressione di segnare il passo a Mosca. La perestroika cinese è giunta ormai al suo più alto livello di rottura storica col passato. Non solo i coriacei gerenti della conservazione maoleninista vengono allontanati; non solo la marea dei riformatori cinquantenni allaga il Comitato Centrale stravolgendone gli equilibri biologici oltreché ideologici e politici. Ma lo stesso Deng Xiaoping, il cervello della svolta, fingendo di capeggiare la ritirata dei mandanni ottuagenari dimissionando pure lui dal Politbjwo, in realtà conserva nelle sue mani la sola chiave di potere che veramente conti nella Cina postmaoista: la presidenza della Commissione Militare del Comitato Centrale, che significa il controllo e il comando supremo sulle tre anni dell'esercito. Di fronte a questo imponente successo dengbista, la presenza ai vertici di qualche conservatore più giovane e più flessibile non sposta di molto né il significato del manifesto riformista, né la robusta struttura dengbista dell'organi' gramma usciti vincenti dal Congresso. I conservatori rimasti appaiono ormai ostaggi di un meccanismo irreversibile. Non altrettanto si può ancora dire di Gorbaciov e della perestroika con cui questo audace Stolypin del bolscevismo russo si sforza di modernizzare il sistema sovietico. Se il comunismo cinese ha alle spalle l'elusiva impalpabilità della precettistica confuciana, che consente molte deviazioni dentro la continuità, il comunismo russo, gorbaciovismo incluso, ha dietro di sé una cultura europea assai meno elastica e più dogmatica. Hegelista, marxista p'.echanovista, la gabbia culturale del bolscevismo russo, poi semplificatasi nella subcultura populista e giacobina del leninismo, non é mai riuscita a spalancarsi all'idea della deviazione e della rottura neanche in un quadro di continuità. Al fluttuante esprit de continuile del confucianesimo, che non esclude l'infrazione alla regola e che i comunisti cinesi, da Mao a Deng, hanno in maniera diversa cercato di onorare, i comunisti russi hanno invece contrapposto sempre il continuismo gius tifi cazionista derivato da Hegel e da Marx (Gramsci e Lukàcs ripercorreranno più modernamente la medesima strategia filosofica). Il più celebre slogan ideologico di Engels, secondo cui il proletariato rivoluzionario sarebbe stato «l'erede della filosofìa classica tedesca», sembrava, all'epoca, niente più che la brillante battuta di un pubbli¬ cista d'ingegno paradossale. . Invece no. H discorso pronunciato da Gorbaciov per il settantesimo anniversario della Rivoluzione d'ottobre è anch'esso, nella sua impeccabile struttura continuista e ghistificazionista, un frammento ereditario della ferrea cultura hegeliano-marxista di cui, il comunismo russo resta nonostante tutto intriso fino al midollo. Intendiamoci: non che all'orazione celebrativa gorbatioviana siano mancati spunti d'audacia o di novità. Gli orrori di Stalin, seppur definiti «errori», vi sono stati bollati con forza; il nome di Trockij, bollato duramente anch'esso, è stato però per la prima volta pronunciato in un contesto più ideologico che demonologico; di Bucharin è stato detto che era un comunista abbastanza onesto ma che, per sua sfortuna, non era mai riuscito a capire bene la dialettica (sic!). Tutto, il male e il bene, il delitto e il progresso di settantanni di storia bolscevica, è stato in qualche modo detto da Gorbaciov, ma detto in una cornice armoniosa, sacrale, priva di rotture, in cui ogni cosa, partendo da Lenin, trionfalmente si ricongiunge pur nel sangue e nell'infamia a Lenin. E' Lenin lo Spirito della Storia bolscevizzata nel quale, alla fine, si placa e si riconcilia con se stessa anche l'orrida contraddizione che si chiamava Stalin. E' evidente che in questa ottica, insieme idealistica e me¬ tafisica, il punto iniziale di svolta e di rottura disumanamente effettuato con la collettivizzazione dallo stalinismo sul cuore profondo della nazione russa, sul ceto contadino, sacrificato al mito di un'industrializzazione faraonica e cannibalesca, non poteva non essere giustificato da Gorbaciov. Beneinteso, egli ha condannato il metodo, l'eccesso nella collettivizzazione; ma non la coUettìvizzazione in sé, che invece, anche dal punto di vista economico, doveva rivelarsi alla lunga una catastrofe. Del tristemente famoso Grande Balzo maoista, che ai cinesi costò circa 15 milioni di vittime, Deng già da un pezzo ha condannato tutto: i mezzi e i fini, la follia grottesca e l'inutilità economica. Forse, la differenza più profonda tra i due grandi riformatori del popoloso universo comunista é nella diversità delle culture da cui provengono. Certamente, il discorso pronunciato due giorni fa da Gorbaciov è stato anche, nelle sue cautele e nelle sue sapienti sfumature, un'istantanea dello stallo di potere che oggi paralizza il Cremlino. Ma lo stallo, le difficoltà, le paralisi di potere fanno parte anch'essi di una cultura bloccata che nega la possibilità di una rivoluzione dentro la rivoluzione e che infine detta, al medesimo Gorbaciov, parole e concetti che sembrano rivolti più contro lui stesso che contro i suoi oppositori. Enzo Bettina

Luoghi citati: Cina, Mosca, Pechino