Chi ha paura di Aldo Moro?
Un libro di Giuseppe Ferrara sul sequestro dello statista Un libro di Giuseppe Ferrara sul sequestro dello statista Chi ha paura di Aldo Moro? Un'autodifesa del film dì un anno fa, ma anche un teorema sulla «regia» della P2 - Una «verità» senza prove che rischia di sottovalutare il ruolo delle Br e di rimuovere la discussione sulla linea della fermezza alcune istituzioni centrali dello Stato che dall'esterno «lasciarono accadere» quella che le Br avevano ribattezzato l'«operazione Fritz», sino a determinarne la soluzione cruenta di via CaetanL A un anno di distanza dalla •prima», esce adesso in libreria un volume scritto da Ferrara con 1 coautori della sceneggiatura del film, Armenia Balducci e Robert Katz. Edito da Tullio Pironti porta lo stesso titolo della pellicola e, del film, vuole innanzitutto essere un'autodifesa e la dimostrazione dell'attenta e meticolosa preparazione del regista e del suoi collaboratori per la ricostruzione della vicenda. Lo testimonia la pubblicazione integrale della sceneggiatura, ma soprattutto la riproduzione delle note scritte a mano dalia vedova Moro con le correzioni al trattamento di Katz per l'iniziale stesura del soggetto. Uno scopo raggiunto in pieno da Ferrara, sottolineato dalle continue citazioni di atti giu¬ Ma fra 1 tentativi di •cantare fuori del coro» ce n'è stato uno, recente, che più di tutti ha sollevato stroncature e attacchi «sospetti». E* 11 film di Giuseppe Ferrara presentato nel dicembre scorso, «n Caso Moro», tratto da «I giorni dell'Ira» di Robert Katz. Riempi le sale cinematografiche italiane, ma divise critici, partiti e intellettuali. I 55 giorni di via Fani, rievocati sullo schermo in un flash-back che manteneva inalterati il dramma e le angosce di dieci anni fa, suscitarono la reazione indignata della democrazia cristiana e le critiche colme di fastidio dei comunisti. La tesi di Ferrara era precisa, anche se non nuova (Giorgio Galli l'aveva già elaborata ed estesa all'intera eversione di sinistra degli Anni 70 e 80 nel suo «Storia del partito armato»): sul sequestro e la morte di Aldo Moro, opera delle Brigate rosse, pesarono le deviazioni, le inefficienze volute, 1 «favoreggiamenti» di «Non scordiamo, era un bandito» diziari e della commissione d'inchiesta, libri sul caso Moro, colloqui con 1 protagonisti. Il libro, però, non si ferma qui Smette di essere un'autodifesa a pagina 219 e prosegue per altre 190 pagine trasformandosi in un panphlet sulla morte del presidente della de, da aggiungere alla già lunga bibliografia che chiùde 11 volume, n regista Ferrara diventa storico e giornalista d'inchiesta, scrìve non più la sua «tesi», ma la sua «verità» sul caso Moro e va addirittura oltre il suo stesso film. Dietro i giorni di via Fani non c'è più il «lasciar fare» dello Stato e del servizi segreti, ma un «complotto» di morte che ha in Gelli e nella P2 1 registi occulti e paralleli, nel Pentagono e negli Usa i mandanti lontani, nelle Brigate rosse gli esecutori questa volta non più «usati», ma forse addirittura «complici» del «venerabile maestro». Gli enigmi del covo brigatista di via Grado- li, del deplstaggio del falso comunicato con l'indicazione della «tomba» di Moro nel Lago della Duchessa, 1 misteri sulla scomparsa delle borse dello statista e degli originali del suoi •interrogatori», la militanza del capi del servizi italiani nella P2, l'inimicizia tra Moro e Andreotti, la paura di Washington per il compromesso storico sono qui collegati in uno scenario che ha 1 contorni della «spy story» e della trama demoniaca e onnipotente. E' un furore che sembra accecare Ferrara e che rischia di stravolgere anche gli elementi positivi e di denuncia del suo film. Passato dal mezzo cinematografico al libro, 11 regista sembra dimenticare che l'inchiesta giornalistica e storica non consentono le sintesi e l'emblematicità di un'immagine visiva. Le ipotesi si fanno certezze, le coincidenze contraddittorie si trasformano in prove, le piste da percorrere in mete già raggiunte e sicure. Le grossolanità ricostruttive del libro sono molte e giungono ad avanzare dubbi su Patrizio Peci che diventerebbe cosi r«infiltrato» di Carlo Alberto Dalla Chiesa nel vertice Br romano, un •infiltrato» che avrà il compito di spingere le Br a rifiutare qualsiasi mediazione nella trattativa con Io Stato e ad accelerare la conclusione dell'.operazione Fritz». C'è, in questa ricostruzione, il coraggio del regista'di «Cento giorni a Palermo» che non esita a sollevare interrogativi sul ruolo di Dalla Chiesa nella P2 e nella storia del terrorismo italiano, ma anche la non conoscenza delle inchieste dei magistrati torinesi che confermano la presenza di Peci a Torino e non a Roma proprio durante 155 giorni di via Fani e la sua posizione solo «intermedia», In quel periodo, nelle Br. Contraddizioni e lacune che si ripropongono In ogni momento del «teorema Ferrara» e soprattutto m\ ruolo di Licio Gelli e della P2. u ri¬
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