Il pittore viveur di Venezia città-donna di Franco Giliberto

RENATO BORSATO CON UNA MOSTRA ANTOLOGICA RICONQUISTA LA LAGUNA RENATO BORSATO CON UNA MOSTRA ANTOLOGICA RICONQUISTA LA LAGUNA Il pittore viveur di Venezia città-donna DAL NOSTRO INVIATO VENEZIA — Un enorme drappo scarlatto pende dalla balconata delle Procurane Nuove e un altro, simile, dalla balaustra del Ponte di Rialto: Borsaio, vi è scritto a caratteri cubitali, dorati. Gli stessi drappi ci furono per Arcimboldo, Matisse, Tinguely. Cosi, fuori dalla pazza folla, in questa struggente fine d'ottobre cara a chi vuole gustare Venezia, rari turisti raffinati son punti dalla curiosità: che sia un'esposizione di pittura per rinsanguare la stagione morta? Si avviano nell'angolo di piazza San Marco, dove ha sede la prestigiosa Fondazione Bevilacqua La Masa. Entrano. Macché stagione morta, la galleria brulica di visitatori. Questa antologica di Renato Borsato è una mostra che spopola (rimarrà aperta fino a metà novembre). All'inaugurazione, si sono presentati insieme il sindaco socialista Nereo Laroni e il vicesindaco democristiano Piero Bergamo. Annotazione banale? A prima vista. Chi ha familiarità con le cose veneziane sa che di solito, agli appuntamenti pubblici, dove si fa vivo Laroni non si vede Bergamo, e viceversa. Non che si guardino in cagnesco, tuttavia scarseggiano — come dire? — le affinità elettive tra i due. E allora quale potere possiede questo pittore per quasi unificare, finanche, le coscienze politiche? Qui c'è un elemento di cronaca, che sovrasta i valori estetici: Borsato è veneziano che di più non si può. Nei suoi sessantanni — oggi portati alla garibaldina — ha percorso e conosciuto così vivacemente la città, dai suoi meandri ai più lussuosi palcoscenici, che giunta l'ora della antologica una variopinta folla è accorsa per non perdere l'appuntamento con lui. Vengono a dare un'occhiata alla sua mostra in piazza San Marco il docente universitario e il calciatore, l'arciprete e il croupier del casinò, il chirurgo illustre e il gondoliere, il direttore di banca e il pescivendolo, lo stilista famoso e il vecchio oste, assieme agli estimatori forestieri, toscani, lombardi, piemontesi, friulani. Ma sono gli indigeni — nella città cosmopolita dei sette milioni di visitatori l'anno — che raccontano da secoli ogni cosa l'uno dell'altro, e perciò anche di Borsato: vizi privati e pubbliche virtù. Tra i vizi del pittore, tutti confessabili, vi sono i begli occhi delle donne; il rien ne va plus distruttivo per le finanze e saggiamente accantonato; qualche visitazione — ma periodicamente distanziata — alla pinta del whisky. Meglio di Caravaggio. E tra le virtù? L'elenco è lungo: quattro premi in quattro diverse edizioni della Biennale d'Arte veneziana, quando ancora non era diven tata popbiennale, postbienna- disegnativo nitido, arguto, è suo. La sua natura, la natura che ritrae, non è mai artefatta scolasticamente, manieristicamente, apparente, ma è viva, sensibile, d'una sensazione che è già una forma della conoscenza. Aperto quanto mai, buono e scontroso, ansioso, senza quiete, Borsato è tutto dentr i la pittura. Quel che più conta, è artigiano e artista a un tempo, per sua fortuna: così com'è ogni vero artista». I visitatori della mostra antologica, al di là dei riferimenti critici, se hanno familiarità con Borsato s'accontentano di ripercorrere a vista le tappe della sua pittura, dal promettente periodo parigino sul finire degli Anni Quaranta, agli incandescenti paesaggi siciliani di dicci anni più tardi; dai quieti, venezianissimi giardini incantati, fino alla città-donna che esibisce perpetue e languide occhiaie. E' di troppo facile, piacevole lettura Renato Borsato? A chi lo sussun-a, ancora il pittore risponde con una specie di distico, che compariva su un suo catalogo di qualche anno fa: «Dedico questa piccola monografia a lutti coloro che mi amano, come si ama un bambino, un selvaggio, o un folle: cioè a tutti coloro che mi considerano un artista, perchè io lo sono, e lo so». Ma ci vorrebbe Carlo Goldoni per tradurre quell'affermazione finale tutta particolare, anch'essa pregna soltanto di veneziani tà. La burbanza è un'altra cosa. Renato Borsato: «L'attesa» (veduta veneziana, 1970, collezione privata, Roma, particolare) Angeles, Budapest, Vienna, New York. E poi le parentesi da scenografo: Tamburi nella notte di Brecht per il Teatro di Ca' Foscari, Twandot, Traviata e Madama Butterfly per La Fenice. Il non dimenticato Marziano Bernardi, critico d'arte a le e transbiennale, ovvero prima del 1964; un milanese Premio San Fedele; a Mosca, il premio della Nuova pittura; decine d'altri riconoscimenti; qualche centinaio di mostre tra quelle italiane e le straniere, comprese esposizioni a Parigi, Varsavia, Colonia, Los La Stampa, ammirava di Borsato «la vocazione coloristica, le allegorie luminose, la limpi da estasi contemplativa». E il pittore Virgilio Guidi annotava: «Borsato è uno di quelli che a qualunque esempio si volga è sempre lui. I suoi ampi cieli sono i suoi cieli. Il modo Franco Giliberto