Donne arlecchini e grida di Marini pittore

NELLA SUA PISTOIA, 140 DIPINTI RACCONTANO L'AVVENTURA DELL'ARTISTA NELLA SUA PISTOIA, 140 DIPINTI RACCONTANO L'AVVENTURA DELL'ARTISTA Donne, arlecchini e grida di Marini pittore PISTOIA — Marino Marini, pittore. Lo presenta una grande mostra appena aperta nel trecentesco convento del Tau (fino al 20 dicembre). Il complesso medievale, fresco di restauro, diventerà la sede permanente del Centro di documentazione e della Fondazione Marino Marini, e ospiterà una biblioteca specializzata sulla scultura contemporanea. Per questo si è voluto inaugurarlo con la prima importante retrospettiva di pittura dell'artista mito a Pistoia nel 1901 e morto a Viareggio nell'8 0. •Marino., come si firmava, non è solo un grande scultore, ma anche un grande pittore, come rivelano i 140 dipinti esposti, noti ed inediti, di collezioni pubbliche e private, italiane e straniere. Pittore e scultore. Come i grandi maestri toscani del Medioevo e del Rinascimento. Uno sperimentatore di tecniche. Eppure il fatto fa discutere. Dice lo scultore giapponese Kengiro Azuma, allievo di Marini per vent'anni e presente all inaugurazione: «Marino è scultore anche nella pittura, lo diceva lui stesso». «No», ribatte Mario De Micheli, curatore della mostra con Carlo Pirovano, «non è uno scultore che dipinge, è un pittore con un linguaggio autonomo dalla scultura». E' d'accordo anche Pirovano, che ha conosciuto bene l'artista: «Marino un giorno si diceva pittore, un altro scultore. Era tutti e due, un grande maestro». Che cos'era dunque la pit¬ tura per Marino? L'aveva spiegato lui stesso in un giorno del 1972 a Forte dei Marmi: «Ho sempre bisogno di dipingere. Noi artisti, o noi uomini, per sviluppare una nostra idea abbiamo sempre bisogno di qualche polo positivo. E il polo positivo per me è il colore. Un giallo, un verde, un rosso». Il colore per Marino è un «cicchetto» che mette in moto la fantasia, è una «lampadina elettrica che s'accende». E' la prima idea di un'opera d'arte, che poi diventerà forma: scultura, pittura, disegno. Comincia a dipingere a 14 anni. A 16 si iscrive al corso di Galileo Chini all'Accademia di Firenze. Nel "23 espone a Livorno i primi dipinti di paesaggio. In questi Anni 20-30 Marino, a Firenze, guarda agli .antenati., cioè agli egizi, ai greci, agli etruschi, ai quattrocenteschi toscani, senza lasciarsi quasi toccare da avanguardie, cubisti e futuristi. «Ciottolo chiuso» si definiva, da buon toscano. Vengono fuori quelle impenetrabili Vergini del 1920 circa, parenti strette nel Ventesimo Secolo di Piero della Francesca, o quella Pomona (cosi chiamava le sue floride e fertili donne) di sette-otto anni dopo, con la faccia di una matrona romana. E poi ritratti, acrobati, arlecchini, strade di Firenze, un Lanzichenecco, curiosa interpretazione di Rembrandt, uno strano Autoritratto con donna del '27. Da allora continua a di- Marino Marini: «Autoritrattpini/ere tutta la vita, anche se negli Anni 30 il colore non gli basta più. Ha bisogno della forma, della scultura, cui si è già avvicinato nel 1922 seguendo a Firenze il corso di Domenico Trentacoste. Lo dichiara lui stesso in uno dei tanti scritti. Ma se anche la scultura diventa dominante negli Anni 30 fine 40, Marino non abbandona la pittura. Una serie di opere di piccolo formato testimonia la continua ricerca d'un proprio linguaggio anche come pittore e l'assimilazione critica tto con dama» (1927, particolaree n o , l l n e a o a dei contemporanei, conosciuti nei viaggi a Parigi e nel Nord Europa. Quella Composizione del '30 ad esempio è un'originale interpretazione di Braque, le Donne nude e le Pomone degli Anni Quaranta, le Tre Grazie del '45. discinte e ironiche, sono .prove, validissime, con spunti da Raffaello a Picasso. C'è anche un interessante ritratto del '38, della moglie Mercedes Pedrazzini detta .Marina., una bella ed elegante signora che vediamo in carne e ossa all'inaugurazione della mostra. Al '44 ap¬ ) tra le opere esposte a Pistoia partiene poi un gruppo omogeneo e insolito di paesaggi ticinesi, dipinti nel periodo di sfollamento nella casa dei suoceri nel Canton Ticino. Ma dopo il '50. finita la guerra, avviene una grande svolta. Pittura e scultura procedono in sintonia con grandi scambi, grandi respiri, medesime tematiche. «I soggetti che ho dipinto dopo il '50», affermava Marini «cioè tutti 1 guerrieri, i cavalli e certe altre forme, sono tutti passati per la mia scultura. O viceversa. Sono sempre delle maturazioni che cominciano con la pittura, o con la scultura, ma sono sempre lo stesso problema, la stessa poesia, la stessa ricerca...». / colori servono adesso a definire strutture, quasi «sculture dipinte» come diceva Azuma. Cavalli e cavalieri interi o a pezzi, giocolieri, guerrieri, dinamici e ridotti all'osso, ripercorrono, con colori violenti ma armonici, tutte le drammatiche vicende del Cavaliere scolpito. Ci sono anche Pomone, articolate e nodose come le Cariatidi del 1955, sensuali come le Figlie del carrozziere, diafane come in Trasparenza, ilecanto a loro vediamo ritratti, teatri di maschere, giochi, composizioni. Ma il percorso dell'artista segue il suo inesorabile cammino verso una visione sempre più drammatica dell'esistenza, espressa in forme asciutte e sintetiche. «Nascono le bombe atomiche, diceva nel 1972, l'umanità ha paura. Le mie ultime forme sono sezionate. Sono delle architetture di una tragedia enorme». 17 cavaliere non più vincente è diventato il simbolo della sconfitta dell'uomo. Scheletrito nelle sculture, diventa un «grido» (è il titolo di molte opere) nelle pitture degli Anni 60-70. Siamo alla fine. Insieme con i cavalieri, vinti e disarcionati, rimangono però a giocare con la vita sino agli ultimi giorni donne nude, composizioni, figure astratte. Maurizia Tazartes