Caino l'esteta
L'HUMOUR NERO DI DE QUINCEY L'HUMOUR NERO DI DE QUINCEY Caino l'esteta Sulla copertina l'immagine di una baia e un titolo più che promettente: L'assassinio come una delle belle arti. Il libro di Thomas De Quincey, pubblicato nel 1827 e riproposto ora da Guanda (traduzione di Massimo Bontempelli, un profilo dell'autore scritto da Mario Praz), comincia con una conferenza. A organizzarla è la «Società degli intenditori di omicidio» con sede a Londra. Il relatore, per meglio illustrare la sua tesi, fa un esempio. E' un racconto. Silenzio spettrale in sala, molto attento il pubblico. Due gentiluomini sorseggiavano il tè e discutevano amabilmente di filosofia, quando un grido troncò all'improvviso la conversazióne: al fuoco! al fuoco! L'incendio era divampai nella stessa via e stava inghiottendo il magazzino di un commerciante di pianofòrti. Era un bell'incendio: crepitare di fiamme, lingue di fuoco che danzavano dietro le inferriate delle finestre, vampate di calore. I due gentiluomini si precipitarono avidi di spettacolo. Avevano lasciato il tè e i aostini e ora se ne stavano 11, rapiti dal baluginare del falò, dall'impasto di odori pungenti che si sprigionavano dall'edificio. L'incendio era abbagliante e audace, un'irripetibile meteora di energia che rischiarava il grigiore di una giornata qualunque. I due gentiluomini avrebbero anche messo mano alla pompa per dare aiuto e offrire una prova tangibile della loro buona volontà. Ma in questo caso, pensarono, non si trattava ne di buona volontà né di aiuto. E nemmeno di virtù. Che cosa c'entr-va la virtù con il gusto? L i-.ccndio poteva essere considerato esteticamente: la forma, i chiaroscuri, la forza, il simbolo, il mistero, l'armonia L'incendio era un effetto teatrale, un'opera di cui godere,. «Si è dato abbastanza alla morale, ora è la volta del gusto e dell'arte». * * E così, quando i primi getti d'acqua si rovesciarono sulle fiamme, accadde l'incredibile: gli spettatori, de lusi dall'improvviso cambiamento di quella scena tante promettente, si misero a fi schiare i pompieri per la fine dello spettacolo. «Non ne avevano il diritto, Avevano lasciato il loro tè, non dovevano avere nulla in compenso? La virtù in questo case non è affatto interessata. Sostengo che l'uomo più virtuoso, stabilite queste premesse, era Caravaggio: «Testa di Medusa» autorizzato a farsi una voluttà dell'incendio, e a fischiarlo, come un qualunque spettacolo che avesse suscitato un'aspettativa nello spirito pubblico per poi deluderla». Pagine di grafitante ironia. Nel raccontare le stravaganze di questa Società' degli intenditori di omicidio immaginata nella Londra di primo Ottocento, De Quincey non dà soltanto voce ai sussulti di una trama grottesca colorata di tinte forti. L'assassinio come una delle belle arti, infatti, è qualcosa di più di un libro divertente segnato dall'humour nero. E' il prodotto di una cultura. E' l'emblema di una letteratura dell'estetismo che nella seconda metà dell'Ottocento diventa specchio di un modo di essere c di pensare, e nei suoi sogni, nelle allucinazioni, nella venerazione della forma come scopo della vita al di là del bene e del male, ha più di un punto in comune con l'oggi. Fin da studente De Quin cey prende il vizio dell'oppio e scava a fondo nei -baratri dell'io. Sensazioni più forti, colori più vivi, lo spazio e il tempo che si dilatano in una percezione di infinito. Nessuna delusione in quel mondo, nessuna stonatura, solo la perfezione dell'arte. Il fantastico, l'imprevedibile, il sogno, diventano più reali della realtà. E allora su quel pavimento anche il delitto può diventare gesto puro, capolavoro, «e perfino l'imperfezione stessa può avere il proprio ideale o la propria perfezione». Alla Società degli intenditori di omicidio aderiscono i cu riosi della materia: gentiluomini, aristocratici, timidi, snob. «Sono dilettanti e amatori delle diverse specie di carneficina; diciamolo pure: dilettanti dì assassinio. Non appena qualche nuova atrocità del genere ci è riferita dagli annali della polizia europea, la Società si riunisce per farne la critica, come si farebbe per un quadro, per una statua, o per un'opera d'arte». Perfetti capolavori eseguiti da professionisti. Strangolamenti, veleni, use magistrale dell'accetta. «Si comineia a vedere che nella composizione di un bell'assassinio entra qualche cosa di più che due imbecilli, uno che uccide, l'altro che è ucciso, un coltello, una borsa e un viale oscuro. Il disegno, signori, il raggruppamento, la luce e l'ombra, la poesia, il sentimento sono ormai ritenuti indispensabili a prove di tal genere». Ogni società ha l'arte che si merita. Così, se nemmeno nel secolo di Pericle la Grecia seppe produrre «omicidi di valore», fu la realtà romana dei tempi di Catilina e Clodio a produrre assassini di talento, tanto che lo schizzinoso Qcerone «avrebbe certo preferito scivolare in una latrina o magari in una cloaca anziché trovarsi di fronte a uno di quegli audaci artisti». * * Caino, inventore dell'omicidio e padre dell'arte, è «un genio di prim'ordine». Accoppò Abele usando una grossa pietra, ma ebbe l'accortezza di portare a compimento l'opera procurandogli una generosa ferita. «Ed era un'aggiunta giudiziosa, perche" la grossolanità dello strumento, se non fosse stata rialzata e arricchita da un colore caldo e sanguigno, avrebbe troppo risentito la grossolanità della scuola selvaggia, come se l'atto fosse stato perpetrato da un Polifemo, senza scienza, senza premeditazione...». Scandalizzarsi? Inutile, l'arte non sa che farsene della morale. Asciughiamo le lacrime, perché «avremo la soddisfazione di scoprire chi se un affare considerato dal punto di vista morale è increscioso e non sta in piedi, sottomesso invece ai principi del gusto riuscirà a essere opera meritoria... E' finito il tempo della virtù, ormai^la signora Vìrtus e il gusto del conoscitore sono liberi di pensare ognuno per sé». La strada dell'estetismo è lunga e attraversa la storia del pensiero. Che posto resta alla virtù nell'epoca del tramonto dei valori, della morte di Dio e della fine della verità? E' domanda di oggi. Se non c'è verità è irrilevan te che si dica il vero o il falso, che si faccia il bene o il male. E allora? Allora non resta che la forma, il bel gesto, il culto di una perfezione estetica senza verità. E intanto De Quincey ride, e l'eco di questa risata è agghiacciante. Mauro Anselmo
Persone citate: De Quincey, Guanda, Mario Praz, Massimo Bontempelli, Mauro Anselmo, Thomas De Quincey
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