I tranelli di Don Giovanni di Massimo Mila

I tranelli dì Don Giovanni L'OPERA DI MOZART DEBUTTAVA 200 ANNI FA I tranelli dì Don Giovanni Duecento armi fa, il 29 ottobre 1787, debuttava al Teatro Reale di Praga Don Giovanni, dramma giocoso di Wolfgang Amadeus Mozart su testo di Lorenzo da Ponte. Diamo in anteprima qualche pagina del saggio scritto da Massimo Mila per il Teatro Regio di Torino che metterà in scena l'opera il 27 novembre, dieci giorni prima della Scala, che col capolavoro mozartiano aprirà la sua stagione. Come c più di Faust, di Amleto, di Don Chisciotte, il personaggio di Don Giovanni si è staccato dalle opere d'arte nelle quali aveva visto la luce, per vivere di vita propria. Grazie a questa sua vita indipendente dalle creazioni di singoli artisti, la figura di Don Giovanni — intuizione popolare di un rapporto tra l'uomo e il mondo — ha potuto arricchirsi di significati che le si incrostavano attorno per un'azione naturale del tempo. In origine, niente di più semplice e chiaro: Don Giovanni è «il dissoluto punito», il simbolo, cioè, di un così intenso, incorreggibile peccare, che alla fine il cielo stesso, o meglio l'inferno si muove, evocato dall'immensità delle sue colpe, per punirlo. Ma perché un castigo tanto tremendo e tanto solenne per quel peccato di esuberanza erotica, considerato quasi sempre — e in modo particolare nel Settecento — con divertita indulgenza? L'empietà è l'elemerto che si mestola all'incontinenza amorosa di Don Giovanni per darle il suo carattere di colpa tragica. Sì, Don Giovanni è «il dissoluto punito»; ma, anche, Don Giovanni è «l'ateista fulminato», come suona un altro dei sottotitoli che le versioni settecentesche del dramma solevano aggiungere al nome del protagonista. I due significati della parola «libertino» — quello culturale e storico, e quello corrente — si uniscono: Don Giovanni è, sì, lo sforzator di donzelle e l'insidiatore della virtù coniugale, ma è anche il libero pensatore, l'uomo nuovo che fa della ragione il suo dio, e tutte le vecchie fedi osa riproporre al suo scettico esame. Di qui l'orrore, quasi il ribrezzo pauroso che la sua colpa suscita nella fantasia popolare: il vero danno delle sue colpe non sta nel fatto fisico delle donne sedotte, Ihé per questo basterebbe ancora la punizione di un buon bastone, come per Falstaff, comunque, basterebbero un giudizio e un castigo umani. Il danno delle colpe di Don Giovanni è il veleno che egli sparge nelle anime, e per questo a punirlo si muove l'inferno stesso, venendoselo a pigliare tra le fiamme. In una parola, la col pa di Don Giovanni, è colpa contro lo spirito (...). Destino di Don Giovanni era di nascere come personaggio odioso e di finire, sotto sotto, a diventar la meta della simpatia di chi legge o ascolta. Già nella sua forma più sem plicc, quella dell'impenitente peccatore sessuale, era chiaro che avrebbe finito per riscuotere l'indulgenza, e magari il segreto desiderio delle donne e l'invidiosa ammirazione degli uomini. Questo per «il dissoluto punito». * * Quanto ^['«ateista fulminato», cioè all'aspetto più grave e profondo del personaggio, avvenne che questa figura escogitata nel Seicento dal sincero orrore di una spagnolesca pietà religiosa, si trovò a vivere nel Settecento, cioè lungo il secolo della Ragione trionfante, il secolo di Voltaire e di Montesquieu, di Diderot e degli altri Enciclopedisti, dei scnsisti inglesi e di Kant Era inevitabile che da parte di queste correnti di pensiero un riflesso di simpatia andasse cautamente a riverberarsi sulla figura coraggiosa del libertino che, armato della sua fragile spada di cavaliere, non esita a sfidare le potenze sovrannaturali e non sbigottisce quando si accorge che la statua di pietra del Commendatore da lui ammazzato ha accettato il suo irriverente invito a cena. Non ci voleva meno che quella buoni lana d'avventuriero settecentesco che era Lorenzo da Ponte, per rendere con tanto compiacimento il freddo coraggio del libertino, mascherato nella compitezza impassibile e frivola dell'uom dpcmppcnczAppepaadzlcinottv a o e a o i o e e l o, a m di mondo. Il tutto sottolineato per contrasto dalla paura incontrollata di Leporello, l'uomo comune, il popolino superstizioso che crede nelle ap parizioni e nei diavoli. Fu in questo tranello, della cangiante fortuna d'un personaggio come Don Giovanni, che cadde inconsciamente Mozart, per sua e nostra fortuna. Anche lui come gli altri partì pieno di virtuose intenzioni, per fare di Don Giovanni una edificante immagine di empietà punita, e, senza potersi accorgere come, accadde anche a lui che verso la fine del dramma la proterva impudenza del libertino balenasse di lampi d'eroismo e suggerisse contro le intenzioni del compositore — una celebrazione orgogliosa della ragione umana. E, come rutti sanno, l'arre ideologica, l'arte impegnata nell'affermazione di un aedo, o religioso o filosofico o politico "o sociale, non riesce mai tanto bene come quando è involontaria e aliena dalla minima intenzione di propaganda, quando l'affermazione del suo «messaggio» salta fuori spontanea e irresistibile dalla forza delle cose e dalla maturazione di certe idee. Questo soggetto così carico d'implicazioni recondite capitò a Mozart proprio in un momento cruciale della sua esistenza, quando questa si piegava nella curva decisiva, in fondo alla quale stavano ad attenderlo la miseria, la malattia e — di lì a quattro anni — la morte. Fino allora l'arte di Mozart era stata l'arte di un uomo sostanzialmente in pace con se stesso e col mondo. Ma ora è la conoscenza della sventura e del male, è l'amaro gusto del peccato che balena a tratti nell'ultima produzione mozartiana, in lampi fugaci di rivelazione demoniaca, inseriti tra le grazie d'un minuetto, nel brio d'una serenata. Il senso del peccato ptesta a Don Giovanni la fosca grandezza cui perviene nelle ultime scene dell'opera: concepito come l'esempio odioso del peccatore impenitente, grandeggia d'un suo sinistro eroismo e seduce con la sua franca spavalderia. Di qui il prodigio, unico nella storia del teatro musica* 'e, di questo «dramma giocoso», che ha le apparenze esterne di un'opera comica, magari perfi no di un'opera buffa, e che sfiora i più neri abissi della tragedia, scandagliando profondità recondite e conturbanti dell'anima umana. Nessun'opera in musica precedente ai drammi wagneriani ha conosciuto tanta abbondanza di commentari come il Don Giovanni. Legato dal Settecento al romanticismo de! nuovo secolo, esso fu uno dei pochi lasciti, nell'eredità dei padri, in cui ^ figli si riconobbero e lo fecero proprio senza riserve, rinunciando alla consueta polemica generazionale. A meno di trent'anni dalla morte di Mozart, Hoffmann fondava il tipo delle interpretazioni romantiche del Don Giovanni nel racconto omonimo pubblicato nei Fantasiestùeie in Callots Manier (1813). Sono interpretazioni che rifiutano di fermarsi all'apparen¬ zrdddradmc za esteriore dell'opera, ma ne ricercano il «significato profondo», le attribuiscono segrete dimensioni, inattese aperture d'orizzonte che vanno dal «terribile regno del pianto infernale» al «lontano e sconosciuto regno delle anime», al «meraviglioso romantico regno ove abitano gli incanti celesti dei suoni». Don Giovanni non è soltanto un libertino volgare. La natura l'aveva dotato di rutto ciò che innalza l'uomo, «in un'intima parentela col divino, al di sopra dei comuni mortali». Ora è una triste conseguenza del peccato originale che l'uomo sia attanagliato dalle perfi de insidie del Maligno, proprio nello sforzo di realizzare l'anelito divino ch'egli sente in sé. Quale altro sentimento, se non l'amore, esalta l'uomo fino à' farlo maggiore di se stesso, fino a sollevarlo dalla sua condizione terrena e farlo, di creatura, creatore? Ed ecco che l'amore fu la trappola di cui il Demonio si servì pa catrurarc la più nobile delle creature, Don Giovanni. * * «Fu la scaltrezza del nemico ereditario a insinuare nell'anima di Don Giovanni il pensiero che, già su questa terra, con l'amore, col possesso della donna, potrebbe attuarsi ciò che alberga nel nostro petto sol come una promessa celeste, e precisamente quel desiderio infinito che ci pone in immediato rapporto col mondo ultraterreno. Correndo senza tregua da una donna bella ad un'altra più bella ancora, godendo dei loro incanti con la più ardente passione, fino alla sazietà, fino all'ebrezza distruggitrice; sempre credendo di essersi a o e e i l o , a a i ingannato nella scelta, e sempre sperando d'incontrare l'ideale del completo appagamento, Don Giovanni doveva per forza finire con l'accorgersi che tutta la vita terrena era piatta e sbiadita. E disprezzando l'essere umano in generale, insorse contro l'essere da cui, mentre vi vedeva il bene supremo della vita, era stato tanto amaramente deluso. Ormai il possesso della donna non fu più per lui il soddisfacimento dei propri sensi, ma l'ironia sacrilega verso la natura e verso il creatore» (...). L'interpretazione di Kierkegaard, che reca il titolo L'erotico nella musica, considera nel Don Giovanni essenzialmente la natura sensuale del protagonista (e in ciò potrebbe" riscuotere l'approvazione del Maranon) e cerca di sublimare questa natura senza travisarla, ma anzi isolandola proiettandola nella sua esclusiva interezza (...). La musica, che non si occupa di pensare, possiede immediatezza necessaria a intuire e rendere il principio della sensualità erotica concentrato in una genialità individuale. Don Giovanni è il genio della sensualità erotica che, sconosciuta come principio all'ellenismo, soltanto col cristianesimo prese coscienza di sé. (Secondo il Maranon, l'essenza del dongiovannismo «risiede nel godimento che il peccato aggiunge all'amore». Cade a proposito l'aneddoto stcndhaliano di quella bella italiana che, assaporando con delizia un gelato, sospirava: «Quel dommage que ce ne soit point un piche!»). Ora questo principio della sensualità erotica non è limitabile col pensiero in una forma individuale (come avviene per il demoniaco spirituale, cui la parola e il pensiero valgono a dar forma compiuta in Faust). Il demoniaco del senso è una forza della natura elementare, e come tale non è mai finito, come il gioco perenne delle onde marine. (Ce qualcosa di tri stani ano in questa intuizione dell'infinito sensuale; e ci si chiede quali sarebbero' state le reazioni det Kierkegaard al capolavoro wagneriana Avrebbe saputo riconoscervi il poema dell'ansia erotica perenne, innalzata e sublimata a principio? L'espressione, attraverso l'onda dei suoni infinita, d'un infinito elementare quale il demoniaco dei sensi?). Appunto per questa sua natura infinita ed elementare il principio eroticó-sensuale s'identifica con la seduzione. Don Giovanni seduttore, burlador; il suo amore è costituzionalmente infedele. Ma è seduttore senza frode: non è lui che burla, non è lui che inganna, bensì la forza della sensualità. («Mente il ceffo, io già non mento», diceva Figaro). Perciò la sua seduzione è di competenza della musica. Massimo Mila

Luoghi citati: Praga, Torino