Suona la tromba del reverendo Jackson

Suona la tromba del reverendo Jackson VIAGGIO TRA I CANDIDATI IN GARA PER LA PRESIDENZA DEGLI STATI UNITI Suona la tromba del reverendo Jackson Dice: «Devo far entrare vino nuovo insieme con il vecchio vino dell'establishment nella bottiglia del partito» - «Credo che i democratici possano rilanciare la loro coalizione» dice Paul Simon, che cita Roosevelt e Kennedy - Intanto Michael Dukakis offre «tradizione Uberai, buon governo, attenzione all'economia» DAL NOSTRO INVIATO DES MOINES — Ci sono sempre un tamburo e una tromba, o almeno un banjo, per Jesse Jackson che atterra nell'Iowa, su una pista battuta dal vento. E' appena sceso e già lo ha ingoiato il camper che lo porterà In giro per tutta la campagna presidenziale: solo, al buio, sballottato in mezzo a una corsa che lo vede in testa ma che tutti dicono non vincerà, lui aspetta e intanto succhia un limone. Poi 11 camper si ferma davanti alla musica e lui scende: dietro i tamburi, c'è un'avanguardia della sua gente, giovani e vecchi, neri e bianchi, giacconi, ombrelli, un cartello femminista portato fin qui dalla Carolina del Nord. Vorrebbero stringergli la mano, ma c'è in mezzo la rete di sicurezza dell'aeroporto. Cosi lui passa, sfiorando le dita del suol nel buchi della rete e, tra gli applausi e la tromba, resta l'Idea di qualcosa che non si riesce a saldare, come 1 tasselli sparsi della nuova coalizione democratica, alla fine del reaganlsmo. Ci sono sempre una musica e un canto, quando il re verendo Jesse Jackson viene da queste parti, e ci sono 1 pezzi sparsi dell'America che ogni volta lo precedono e lo seguono. Qui in Iowa, sul palco di Oreenfleld montato sopra balle di fieno, suonano addirittura la ballata di Jesse James adattata per lui mentre le donne mettono all'asta le loro torte di mele per raccogliergli fondi, i disoccupati del Montana e del Missouri arrivano a raccontare la loro rabbia nel microfono, i contadini accumulano in pubblico l'antireaganisrno della crisi agricola, i neri gonfiano il tendone con gli applausi al loro leader, agitando le pannocchie di granoturco. Una raccolta di diversità che diventa una parata e un progetto politico quando, come a Raleigh, Jackson fa sfilare al suo fianco 1 rappresentanti degli araboamericani, della comunità di colore, degli handicappati, degli ecologisti, degli ispanici, dei sindacalisti e degli asiatici americani. E' la ricetta del radicalismo minoritario, opposta a quella del fondamentalismo integralista predicata dal reverendo Pat Robertson, candidato repubblicano. Come lui vuole convertire l'America al suo credo, disciplinandola dietro l'ordine totalizzante dei suoi valori, cosi Jackson raccoglie le parti distinte, insegue la separatezza, rappresenta le diverse singolarità dei movimenti, conservando quel sentimento generale di marginalità e di liberazione incompiuta che dà alla sua «Coalizione Arcobaleno» un senso storico comune e uno stato d'animo vicino a quello della sinistra europea: 'Non sarò più triste se Jesse vincerà, canta la folla sotto il tendone di Oreenfleld, io non sarò più triste: 'Io voglio dare la possibilità di esprimersi a gente che non l'ha mai avuta, ci spiega Jackson mentre mangia pollo fritto sull'aereo che corre attraverso la sua campagna, e so che per farlo devo far entrare vino nuovo insieme con il vecchio vino dell'establishment nella bottiglia del partito democratico. Dobbiamo fare spazio a forze fresche, quelle che ieri lottavano per la liberazione e oggi hanno capito che uguaglianza vuol dire una cosa ben precisa: dividere il potere: Cosi, mentre chiama e sé le minoranze Invitandole a unirsi, per rendersi visibili, Jackson apre la sua agenda e allarga 11 suo programma, cavalcan do lo slogan multidlmenslonale della «liberazione economica»: 'La comunità dt colore, che quattro annt fa ha votato per lui all'88 per cento, i ormai soltanto la base della vasta coalizione sociale che Jackson ha costruito', ci conferma Frank Watkins, che dal 1969 lavora con 11 leader nero e oggi è uno dei quattro direttori della sua campagna. .Tutto è diverso dal 1984, in pochi anni tutto è cambiato, ci dice il vescovo metodista Henry Brooking, tra i più attivi sostenitori di Jackson. Allora quella di Jesse era soltanto una candidatura di sfondamento, oggi lui è un personaggio fisso della scena politica democratica, ha finito la sua rincorsa, può farcela.. In realtà la rincorsa continua e per Jesse Jackson è soltanto cambiata la scena, il contesto. Da outsider è diventato protagonista, anche se la sua politica di rappresentanza di tutte le marginalità, la sua visione di politica estera («Per pli altri conta il rapporto Est-Ovest, per me la- divisione WordSud») e il suo linguaggio gridato lo tengono fuori dall'establishment democratico tradizionale, dove si affollano gli altri cinque candidati e da dove si pesca al centro. Verso quel centro-sinistra, anche Jackson si sporge a modo suo. In un difficile equilibrio tra «in» e .aut., che per 11 momento lo ha però portato in testa ai sondaggi come il front runner democratico, il primo del suo campo, sia pure con un alto punteggio negativo, per il pregiudizio di chi ha già dichiarato che non lo voterà mai. 'Lui è troppo forte per essere ignorato, troppo debole per essere eletto, ci dice un osservatore come William Phillips, fondatore di Partisan Review. Sposterà a sinistra la piattaforma elettorale, proprio mentre ti partito dovrebbe ridefinire la sua coalizione: la classe operata non c'è più, anch'essa si chiama middle class. I democratici dovrebbero ripartire da qui, ripensare se stessi e la loro base, provare a cambiare'. E' proprio l'opposto di quel che l'ala liberal del partito pensa, vuole e prepara, al di là di Jesse Jackson. D'altra parte, la crisi della tradizionale coalizione rooseveltiana (nata con l'alleanza socialriformLsta tra i bianchi del Sud, gli «urbani» del Nord, gli operai industriali e gli immigrati del New Deal, un'alleanza poi allargata negli Anni Sessanta ai giovani, alle donne, ai neri, agli Intellettuali liberal e agli ispanici) ha cause e ragioni che vanno al di là del reaganlsmo: basta pensare alla perdita di rappresentanza politica, numerica, contrattuale del sindacato americano, che è stato sempre il retroterra sociale organizzato del partito democratico. Per iper-reallsmo o — all'opposto — per 11 vecchio vizio idealista, più che a ricostruire pezzi di coalizione l'ala liberal punta a ripristinare lo spirito democratico autentico, l'identità storica del partito, addirittura l'Immagine della tradizione, come se la fine del reaganlsmo si trascinasse automaticamente dietro la fine del lungo travaglio democratico. Paul Simon ha fatto di questo ritorno alle origini un marchio della sua campagna talmente netto e preciso che è riuscito a piegare la sua immagine negativa di politico art déco, con il papillon sempre al posto della cravatta, la vecchia montatura di corno degli occhiali, le citazioni che ritornano sempre al passato, rimbalzando da Roosevelt a Truman, per fermarsi a Kennedy. Ma mai come in questo caso l'immagine è diventata politica, e viceversa. «Mostrandosi per quel che è, senza nemmeno un consulente per la tv o un esperto di relazioni pubbliche, Simon ha puntato tutte le sue carte sull'autenticità contro la sofisticazione; ci rivela 11 suo portavoce, Jlm Killpatrick; nella stagione delle bugie, che ha innervosito e allertato gli elettori democratici, l'autenticità spontanea del perso¬ naggio si trasforma nell'autenticità politica del messaggio, che è un messaggio liberal, senza aggettivi. •Io non credo che i democratici possano rilanciare la loro coalizione affidandosi agli studi del marketing, ci dice Simon. Il nostro è un partito che ha grandi tradizioni. Bisogna esserne fieri, costruendo la sua nuova forza con gli stessi valori'. Mentre nascono le prime «Brigate Papillon» che vanno a convertire il New Hampshire, i sondaggi incominciano a muoversi, mostrando Simon terzo tra i sei democratici, con una specie di messaggio subliminale lanciato ai liberai dovunque dispersi: il tempo nella politica americana è circolare come nei romanzi di Garda Màrquez. si può restare se stessi e ritrovarsi uguali alla fine del reaganismo e di quelli che i conservatori chiamano «i dieci anni che sconvolsero il mondo-. Allo stesso mercato liberai, Michael Dukakis ha qualcos'altro da offrire, mentre a Boston sale sul podio dell'International Place e le signore corrono dal buffet con il cappuccino in mano per ascoltarlo. All'America in genere, il governatore offre l'esempio Massachusetts, una specie di miracolo democratico che sotto 11 suo governo ha creato 19 mila nuove aziende e ha ridotto la disoccupazione al 3.2 per cento, grazie anche al volano tecnologico del Mit e ai suoi Investimenti: 'In fondo, ci spiega Dukakis. la nuova coalizione che il partito democratico cerca potrebbe riconoscersi in questo cocktail: tradizione liberal, buon governo sperimentato nei fatti, attenzione all'economia, al bilancio, all'occupazione: Ma, per i democratici che guardano al «Duke», c'è una suggestione in più: è l'accento kennedip.no. un vago kennedismo tecnocra¬ tico che gli fa portare in giro il software del liberalismo bostoniano, proprio mentre la «Kennedy School» gli insegna a far crescere la popolarità, a costruire un personaggio, a inseguire un sogno collettivo anche con !a voce pignola, i toni uguali, l'aspetto più pragmatico che carismatico. Capita cosi di trovare Dukakis che cambia treno nella metropolitana di New York mentre va a raccogliere sottoscrizioni al Waldorf Astoria (ha già superato gli 8 milioni di dollari) e ne approfitta per chiacchierare in greco con un fioraio immigrato; poi parte per la California, a caccia di intellighentia nei campus di Los Angeles, dove promette una presidenza ad alta tecnologia, ma anche a caccia di glamour e di immagine a Beverly Hills, dove col caviale rosso lo aspettano Warren Beatty e Jack Nicholson. Se lui dovesse vincere, avverte un analista come William Schneider. .la Kennedy School guiderebbe il Paese.. Ma un liberal dell'Est può vincere, con tutta una fetta del partito che slitta al centro, risucchiata dalla forza di gravità reaganiana? Thomas Ferguson, il professore di Austin che ha appena pubblicato un libro sul Declino dei democratici, ci invita a sospendere i pronostici, dopo quel che è successo a Wall Street, e stare a guardare, perché un collasso economico potrebbe sconvolgere le previsioni, facendo saltare 1 plani e favorendo i democratici in una forma imprevedibile. Dev'esserne convinta più di tutti Jackie Jackson, la moglie di Jesse, che appena l'aereo elettorale decolla e 1 fotografi sono lontani si infila la macchinetta per raddrizzare 1 denti, continuando — a dispetto dei sondaggi — a studiare testardamente da first lady. Ezio Mauro Washington. Il reverendo Jesse Jackson (Telefoto Upi)