Bonn prepara la legge sui pentiti di Alfredo Venturi

Bonn prepara la legge sui pentiti Terroristi ancora latitanti, ma la Germania vuole chiudere con gli anni di piombo Bonn prepara la legge sui pentiti Nell'autunno '77, il sequestro Schleyer e i suicidi di Stammheim segnano l'inizio della guerra tra la Raf e il governo - Oggi i partiti trovano l'accordo sul «Kronzeuge»: sconti di pena a chi collaborerà con la giustizia DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BONN — Hanns-Eberhard Schleyer vive a Magonza, dove dirìge la cancellerìa del Land di Renanla-Palatinato. A dieci anni dal giorno in cui il corpo di suo padre, Hanns-Martin, fu trovato crivellato di colpi in una via di Mulhouse, Hanns-Eberhard è fra coloro che auspicano un superamento, attraverso il dialogo, del capitolo terroristico. In un'intervista radiofonica, il figlio di Schleyer ha chiesto che si faccia il possibile per allacciare il contatto con quanti, desiderosi di uscire dalla clandestinità e di troncare con la loro esperienza, non lo fanno per via del conto da pagare alla giustizia. Questo tema domina 11 dibattito che ha Investito la Germania, dieci anni dopo quelle tragiche settimane di autunno. Il procuratore federale Kurt Rebmann, l'uomo che dirige a Karlsruhe l'istanza Giudiziaria competente ogni volta che è in ballo la sicurezza dello Stato, ha lanciato, nell'anniversa rio della morte di Schleyer, un invito ai terroristi alla macchia. Uscite allo scoperto, dice Rebmann, collaborate con la giustizia. Pochi giorni prima 1 partiti governativi, democristiani, cristiano-sociali e liberaldemocraticl avevano raggiunto un faticoso accordo sul cosiddetto Kronzeuge. E' un espediente giuridico che s'ispira alla legislazione italiana sul cosiddetti dissociati, o pentiti, n Kronzeuge, letteralmente testimone della corona, in cambio di Informazioni utili alla lotta antiterrorismo avrà sconti di pena anche sostanziosi Una sola eccezione, imposta dai llberaldemocratlcl purché non si tratti di terroristi colpevoli di omicidio, Colpiti un anno fa, con l'assassinio in una strada di Bonn di Gerold von Braunmuehl, stretto collaboratore di Genscher al ministero degli Esteri, su questo punto i liberali hanno tenuto duro. Nel decennale dell'autun no di fuoco, il dibattito sui Kronzeugen s'intreccia con la rievocazione e con l'interpretazione di quel fatti. Dieci anni fa: è la Germania del cancelliere socialdemocratico Helmut Schmldt a subire la durissima sfida. Tutto comincia il pomerìggio del 5 settembre, quando cinque uomini mascherati aprono il fuoco, in una strada di Colonia contro la Mercedes di Hanns-Martin Schleyer, presidente degli industriali tedeschi. L'autista viene abbattuto, e la stessa sorte tocca a due poliziotti di scorta. Schleyer viene caricato a forza su un'auto e portato via. Il giorno dopo, 11 «gruppo Siegfried Hausner» si presenta a un'opinione pubblica sbigottita. Il tragico fatto di Colonia porta dunque la sinistra firma della Rote Armee Frak- tion. Che cosa vogliono i rapitori? Vogliono la liberazione di undici compagni detenuti nelle carceri tedesche: dieci di costoro dovranno essere accompagnati nei Paesi di loro scelta l'undicesimo, Guenther Sonnenberg, è ferito: per lui si chiede il non luogo a procedere. Schmldt convoca Horst Herold, capo del Bundeskriminalamt (Bka), la polizia giudiziaria federale, e installa alla Cancelleria uno stato maggiore che gestirà la crisi. Si sceglie, immediatamente, di non cedere. Passano cosi settimane cariche di tensione, mentre a Stammheim, il carcere nei pressi di Stammheim dove sono custoditi 1 detenuti della Raf, e dove l'anno prima si è uccisa Ulrìke Melnhof, si applica l'isolamento totale. Viene imposto, anche, un er¬ metico silenzio-stampa. A metà ottobre un gruppo di terroristi filo-palestinesi, due uomini e due donne, sequestra un BoHng della Lufthansa in volo dalle Baleari a Francoforte. Comincia un altro drammatico balletto: gli arabi appoggiano le rivendicazioni dei rapitori di Schleyer, chiedono inoltre la liberazione di due palestinesi detenuti in Turchia, e quindici milioni di dollari. Altrimenti, l'aereo salterà in aria. Sul Boeing ci sono ottantasei passeggeri e i cinque dell'equipaggio. Durante una sosta a Aden, 11 comandante dell'aereo, Juergen Schumann, viene ucciso. Ma Schmidt non cede. Mobilita, piuttosto, gli assaltatori del Gsg9, un reparto addestratissimo delle guardie di frontiera. A Mogadiscio, ovviamente con l'accor- do delle autorità somale, i Gsg9 attaccano il Boeing, uccidono tre terroristi, liberano tutti gli ostaggi. E' il 18 ottobre: siamo all'epilogo sanguinoso del dramma. Poche ore dopo l'annuncio dalla Somalia, a Stammheim si trovano tre cadaveri: Andreas Baader, Gudrun Esslin, Jan-Cari Raspe. Tutti e tre esponenti di primo piano della Raf, tutti tre fra i detenuti di cui il gruppo Hausner chiede la liberazione, tutti e tre suicidi. Ma c'è chi parla di esecuzione: e qualche dubbio è rimasto, n giorno dopo, a Mulhouse in Francia, ecco nel baule di un'auto il corpo di Schleyer: lo hanno ucciso sparandogli tre colpi. Oggi si dice che Schmldt, per affrontare l'emergenza, sfiorò 1 limiti dello Stato, di diritto, n cancelliere socialdemocratico si è sempre difeso: si trattava di evitare, dice, che quella gente distruggesse la democrazia nata sulle macerie dello Stato-SS. Ancora oggi 11 dibattito sull'opportunità delle norme speciali per i Kronzeugen s'intreccia con la polemica sugli abusi. Ancora pochi giorni fa un libro di lettere e documenti del detenuti di Stammheim è stato sequestrato, in base a una norma del codice penale in cui si parla di esaltazione del crimine. Daniel Cohn-Bendit, che fu fra 1 capi del maggio parigino del '68, e oggi dirìge a Francoforte una rivista alternativa Pflasterstrand, è in prima fila nel chiedere allo Stato clemenza e realismo. Ma 11 Bka avverte: la Raf ha ancora in giro una ventina di militanti clandestini, e ha fra gli squatters delle grandi città una riserva potenziale. Tre giorni fa a Stoccarda c'è stata una manifestazione nel decennale di quella triplice morte a Stammheim. E fra i manifestanti c'era gente mascherata che inneggiava alla Raf: »Fuoco e fiamme per questo Stato!». Alfredo Venturi