Mi è rimasta solo la memoria di Nico Orengo

Il romanziere, nato a Fiume 81 anni fa, ci parla della sua vita Il romanziere, nato a Fiume 81 anni fa, ci parla della sua vita Mi è rimasta solo la memoria GENOVA — «Sono abituato ad andare per le nascoste». Enrico Morovich, nato a Fiume nel 1906, scrittore celebrato negli Anni 30 e 40, •nascosto* a Genova dal '58, in maniera cosi discreta che il taxista non trova l'indirizzo, a due passi da Principe, e i negozianti alzano le spalle al nome della via. Ma nei suoi confronti è successo così un po' da parte di tutti: critica, editoria, pubblico. C'è voluta la memoria, la curiosità, la nostalgia letteraria di Leonardo Sciascia per ricordarsi di quel cognome fiumano, Morovich, e chiedersi, proprio su •Tuttolibri-: sarà vivo, che fine avrà fatto? Enrico Morovich ne sorride, dice: «Sono abituato ad andare per le nascoste». A Genova Enrico Morovich abita in una casa tagliata fra le fasce strette, dalle quali sporgono orti ormai lillipuziani, un nespolo, un fico. .Ma — dice lo scrittore — Genova è grande, e qui mi sento come un siciliano a New York.. Nessuna malinconia lo lega a Fiume. Dice: «Sono un esule ma non nostalgico. Nel passato Fiume era bella ma anche piccola La mia fantasia andava oltre 1 suol confini. L'unica nostalgia che ora ho è quella del giorni di lavoro». A 81 anni, portati con gran cura e asciuttezza, Morovich rimpiange il suo lavoro al Consorzio del Porto, dove è stato dal '58 al 71, come Direttore di Sezione, perché, per pudore e ironia, non si sentiva costretto a pensarsi unicamente come «uno scrittore». Eppure, questo signore dai capelli bianchi, chiuso nella sua vestaglia da camera, affondato in una poltroncina che dà le spalle al cielo, che si fa a spigoli fra i carrugi, nel '46 era stato incluso dal sommo Gianfranco Contini in una antologia uscita a Parigi, «Italie maglque. Contea surréels modemes», insieme con Palazzeschi, Baldini, Lisi, Zavattìni, Moravia, Landolfi, Bontempelli, cioè alcuni degli scrittori pili vitali ed eccentrici del nostro Novecento. E una attenzione di tutto rispetto l'aveva ottenuta nel '40 da parte di un giovane, inquieto intellettuale: Giaime Pintor. Ma a seguire la sua bibliografia, in questo senso soccorre l'utile, affettuoso, ritratto critico di Bruno Rombi, «Morovich scrittore tra gioco e sogno, edito da Sabatelli, fitto di autorevoli interventi: da Alberto Carocci a Lanfranco Coretti, da Giuliano Manacorda a Bàrberi Squarotti, da Arrigo Benedetti a Vasco Pratolini, da Bruno Maler a Giuliano Gramigna e Paolo Santarcangeli. Scrittore di «rena fantasiosa ed ironica», come 10 definisce uno dei critici che più l'ha seguito in questi anni, Francesco De Nicola, è autore, da sempre, di «brevi prose nella misura del racconto fantastico, della tavoletta e dell'apologo..... / suoi raccontt, che da tempo pubblica in edizioni semiclandestine, da piccoli editori liguri, hanno una leggerezza surreale, chagallicna, da .buffi* e saltimbanchi. Essi nascono nella sperduta Fiume al tempo del crollo della monarchia austro-ungarica, con la città invasa da italiani, americani, inglesi, francesi d'Indocina, e subito dopo i legionari di D'Annunzio, e qualche anno dopo, nel "24, l'annessione all'Italia. Scriverà Morovich: «Nel 1924 ci fu l'annessione di Piume all'Italia. VI furono grandi feste. Venne 11 re. Poi 1 fascisti si organizzarono sempre più: collabora a «Il Secolo XIX» e a «D Messaggero» di Roma, resterà a Fiume ancora cinque anni, poi, morta la madre, sceglierà di venire in Italia. «□ passato era bello — mi dice — ma Fiume era piccola La mia fantasia andava oltre 1 confini, verso l'Italia Quando ero a Fiume dicevo che avrei voluto vivere in mezzo agli italiani per imparare a scrivere. Bruciai, prima di partire, tutti 1 miei quaderni in una grande stufa di maiolica Dove li avrei portati? E poi non volevo mostrarli., chiedere il permesso di portarli via». Morovich va a Napoli, nei Campi Flegrei, per profughi, poi a Lugo di Romagna, come corrispondente in lingua tedesca, vende souvenirs a Pisa, poi si ferma a Viareggio. Scrive su «H Caffè» di Vicari, su «Il mondo» di Pannunzio. Nel "58 arriva a Genova, al Consorzio del Porto. Collabora a «a Gazzettino», la «Nazione», «H Mercantile», con piccoli racconti, piccole fiabe e apologhi, ma la critica e la grande editoria sembrano proprio essersi dimenticate di lui. E lui di loro. Dice: «Stavo meglio quando non pubblicavo libri ma scrivevo sui giornali. Mi dava piacere. Ho cominciato a scrivere tanto tempo fa avevo ve riddile anni. Allora leggevo Mario Mariani, Pitigrilli. MI dicevano: "perché leggi Pftigrilli perdi tempo". Io mi ci divertivo, sapeva di internazionale. Leggevo Brocchi, D'Annunzio. Ma è un errore ricordare 1 libri, se ne dovrebbebero nominare tanti, fare 1 nomi di Carducci, Manzoni. Ricordo che avevo tanta fantasia ma non sapevo scrivere. Se avessi saputo scrivere avrei voluto scrivere "Sussi e Biribissi", "Pinocchio", "Gli occhiali della nonna". Quando collaborai con "Solario" mi resi conto che avrei dovuto scrivere cose serie. •Io credo di scrivere come un medium, ispirato da una forza Inconoscibile. Quando ero a Fiume avevo una realta che descrivevo; dopo, 11 mio mondo è divenuto onirico, il mio ambiente si è fatto mentale, e mi piace. Vedo la letteratura come un sogno animato da un soffio, comincio a scrivere senza sapere dove andrò, ma poi arrivo, per una forza sconosciuta, in fondo alla pagina. Credo che la vita continui dentro, oltre la morte, per questo motivo non ne ho paura Mi trovo meglio a scrivere racconti, per essere un romanziere bisogna essere pazienti. Ma ormai mi è rimasta solo la memoria, non ho più fantasia. Ho avuto una malapasqua». E' una civetteria schiva quella di Morovich, perché i suoi amici, a Genova, più fra i pittori che fra i 'letterati, dicono che lo scrittore fiumano continua metodicamente a lavorare e che i suoi cassetti sono colmi di fogli dattiloscritti. Sono racconti con personaggi stralunati e funamboli, parenti di quel Silvestro ubriacone che metteva gli spettri stesi ad asciugare, di Antonio che gabbava la Morte che voleva indurlo al suicidio, di Arianna che sottrae, non metaforicamente, il cuore al suo bello, l'Angelo che esegue l'ultimo spettacolo della danzatrice del Circo, in agonia... Personaggi in bilico fra surrealismo e humour nero, strampalate silhouettes di inchiostro, maliziose e innocenti, inquietanti nella loro piccola diabolicità quotidiana, che il tempo può provare a nscondere ma non riesce a cancellare. una barba le adunate, le cartoline precetto, ecc. Allora, Intendo negli anni 1818-20, per noi ragazzi, americani, inglesi e francesi contavano niente, ed anche per gran parte della popolazione femminile. Da ciò guai, spari, botte, copertine interessanti su riviste straniere... Commissione d'Inchiesta., cortei con bandiere e musica In testa conferenze, discorsi dal balcone del palazzo del Governo, prima del generale Grazioli, poi di D'Annunzio, poi del generale Giardino...». Sono gli anni in cui Morovich, dopo le scuole tecniche, si diploma ragioniere ed entra alla Banca d'Italia. Sono gli anni delle prime prove letterarie che lo porteranno a pubblicare, su «La Fiera letteraria» di G. B. Angioletti e su «8olarla» di Carocci, rac- Enrico Morovich conti e apologhi; e dei quali rimangono nitidi ricordi nei «Racconti di Fiume», pubblicati nell'85, a cura di Stefano Verdino, dalla Compagnia dei librai, a Genova. «Solarla» nel '36 gli pubblica la raccolta di racconti «L'osteria sul torrente», collabora al{'«Omnlbus» di Longanesi, a «La Riforma letteraria» di Noventa, a/i'«Oggi. di Benedetti-Pannunzio, a «n Selvaggio» di Maccari. Ha passato qualche tempo all'Università di Trieste, si è disamorato del lavoro in banca, ha attraversato crisi depressive, smesso di scrivere, si è impiegato ai Magazzini Generali di Fiume. Poi, nel '38 Parenti gli pubblica «I ritratti nel bosco», i nuovi racconti che interesseranno Pintor. Nel '45 vede arrivare i soldati di Tito in città. Morovich, che Nico Orengo