poco, anzi...
poco, anzi... poco, anzi... ROMA — Scrittori a scuola. Raffaele La Capria, sempre 11 primo della classe. Francesca San vi tale, studentessa modello, vittima di un Incidente: bocciata all'esame di maturità; Vincenzo Consolo, bravissimo in Italiano rimandato una sola volta: in ginnastica; Gianni Celati ribelle e pronto a marinare; Giuliana Morandini alunna indisciplinata e sognati-Ice, appassionata di storia e di geografia; Valerio Magrelli. buoni voti al Liceo Sperimentale nel clima del •brucianti» Anni Settanta della contestazione giovanile. La scuola dei dieci milioni di studenti ricomincia carica di problemi 11 tragitto annuale. Ma qual è 11 rapporto con la scuola di chi è oggi uno scrittore affermato? Cosa ha dato la scuola agli scrittori? Ha offerto loro •materiali», attraverso letture, incontri, esperienze per la loro attività futura? Ha dato stimoli, impulsi a leggere e anche a scrivere? Oppure solo maree di nozioni, overdosi di classici, sovrabbondanza di testi letti, commentati e subito rimossi e dimenticati? Insomma, la scuola ha, in qualche modo, incoraggiato gli scrittori a diventare tali e a dedicarsi al loro difficile mestiere? • Nel mio caso la risposta è assolutamente positiva — afferma Raffaele La Capria —. Il periodo di scuola che per me è stato determinante, anche per la mia formazione di scrittore, è stato quello che ho passato come studente del liceo-ginnasio Umberto I di Napoli. Erano gli anni del fascismo e non erano anni allegri. Eppure l'atmosfera che si respirava in quella scuola era molto positiva. Il preside, un vecchio crociano, ce la metteva tutta per far sospettare la scuola di antifascismol Questa impostazione si avvertiva, sia nel comportamento degli insegnanti che degli studenti. L'insegnamento come livello generale era molto buono e ricordo ancora uno straordinario professore di italiano che ci faceva partire da un approccio filologico al testo. Un modo anche di rifiutare l'enfasi e la retorica della pubblicistica corrente.. — E come scrittore, che cosa è stato più importante per lei? .Proprio questo tipo di insegnamento e poi il fatto che, inserito in un clima antifascista, ho imparato ad essere anticonformista. A non trovarmi d'accordo con regole stabilite a priori. Questo come scrittore mi ha sempre giovato. Poi c'era il rapporto con i compagni. Le faccio alcuni nomi. 'Francesco Compagna, Antonio Ghlrélll.' Patroni Griffi, Francesco Rosi. In questo gruppo ci consigliavamo le letture, ci scambiavamo i libri. Abbiamo cominciato con la letteratura americana e poi siamo passati a quella russa, sempre discutendo. Anche aiutati dai professori. Che però ci suggerivano testi più classici. Shakespeare, per esempio. Insomma, quelli, sono stati per me anni fondamentali, di scoperta.. Mentre a Napoli studiava Raffaele La Capria, a Firenze dalle suore delle .Maniellate, c'era la giovane allieva Francesca Sanvitale. .La scuola mi ha offerto molte esperienze dal punto di vista umano — afferma la scrittrice di cui è da poco in libreria l'ultimo libro di racconti, La realtà è un dono —. Mi ha dato molte amicizie, ma anche molte delusioni. Eppure ero privilegiata. L'istituto di suore dove studiavo era il rifugio dei professori "esiliati" dalla scuola statale per le loro idee contro il regime. Però il tipo di cultura che mi arrivava era fortemente influenzata dal clima esterno: dolciastra, priva di concretezza e di attualità. I romanzi, le poesie erano letti e interpretati non tanto per il contenuto e per la forma, ma utilizzati come letture esemplari. Da cui si dovevano trarre dei modelli di comportamento, buoni o cattivi, da accettare o da rifiutare.. •Il tipo di scrittura — aggiunge — che veniva più apprezzato nei temi in classe, anche se non lo si diceva esplicitamente, era quello alla Delly: sentimentale, sdolcinato e che certamente non aveva come prima preoccupazione l'uso corretto della lingua. C'era una grande paura del pensiero razionale e di qualsiasi livello scientifico ■r f* Disegno di Roberto Perini
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