Cobas di Franco Lucentini
Fantacronache di Stefano Reggiani Cobas Ci piacerebbe potergli rispondere che risale ai tempi delle prime strade ferrate del Granducato, quando il mostro d'acciaio sgomentava i bifolchi, terrorizzava donne e fanciulli; che l'abbiamo tratta dall'umoristico e introvabile Romanzo in vapore (1856) di Carlo Collodi, di cui Maria Pacini Fazzi, editore in Lucca, ha avuto di recente la buona idea di proporre una riproduzione anastatica; o che fa parte degli amenissimi ricordi di gioventù che Ferdinando Martini pubblicò sotto il titolo di «Firenze granducale». Ci piacerebbe poterla attribuire al periodo più burlescamente futurista di Palazzeschi, o alla penna di Federigo Tozzi, che raccontò con amaro sarcasmo le sue esperienze di dipendente delle ferrovie nel romanzo «Ricordi di un impiegato». Purtroppo l'origine della filastrocca è meno nobile, la sua datazione più allarmante. Si tratta di un cospicuo, solido pannello (non di una strappabile locandina, di un deperibile poster) appeso nella sala d'aspetto della stazione di Grosseto, dove giorni fa stavamo aspettando un treno in (amoroso) ritardo di 40 minuti. Subito abbiamo intuito cosa c'era dietro: l'Ente che diventa autonomo e si preoccupa anzitutto di mettersi al passo con l'industria privata in quello che gli sembra il settore più importante. «Facciamo vedere che anche noi abbiamo una politica dell'immagine!». Detto iatto, si siedono in quattro, in otto, in sedici attorno a un tavolo. Profonde discussioni tra «cervelli», proposte a ruota libera di «creativi». Dai col messaggio! Alla fine, ovvia!, il capolavoro è approvato, fabbricato, distribuito e appeso in tutte le stazioni del compartimento, con in calce il suo bA marchio FS. Quanto sarà costato questo tour de force di lepidezza bu¬ rocratica? Di quanto contribuirà all'immane deficit delle ferrovie? E' ciò che si chiedono gli utenti, toscani e non toscani, passato il primo momento di incredula stupefazione. Certo, è solo una goccia nell'oceano degli sprechi nazionali; una stellina piccina piccina picciò nel firmamento della pubblica imbecillità. Ma sono pur sempre i suoi soldi (pensa il contribuente con un forte prurito alle mani) che hanno concorso alla «creazione» di quel ridicolo pannello, di quella tiritera indegna di un libro per le elementari, di quella sfilza di disegnini e di slogan melensi, inefficaci, controproducenti, che sembrano concepiti da un team di minorati per un pubblico di minorati. Sarebbe questa, dunque, la nuova gestione del servizio, la nuova professionalità? E' da gente di tal possa che ci dobbiamo aspettare modernizzazioni ed efficienze, ristrutturazioni e premurosità? Gli scioperanti ferroviari non ci hanno mai avuti tra i loro fans più scalmanati; ma certo che, rispetto agli stilnovisti sindacalizzati della poesia quotidiana e del treno innamorato, quei macchinisti che lassù, nel loro angusto abitacolo, il treno lo guidano materialmente per montagne, pianure, colline, e lo fanno bene o male arrivare in stazione, non solo in Toscana, quei prosaici lavoratori, dicevamo, qualche lirctta in più secondo noi se la meritano, francamente. «Cobas che avete intelletto d'amore...». Carlo Frutterò Franco Lucentini
Persone citate: Carlo Collodi, Carlo Frutterò, Federigo Tozzi, Ferdinando Martini, Maria Pacini Fazzi, Palazzeschi
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