Come dirlo col cinema di Guido Ceronetti

dirlo col cinema SACRIFICIO: IL TESTAMENTO DI TARKOVSKIJ dirlo col cinema ' Nel numero di luglio-agosto 1987 della rivista L'altra Europa edica dal Centro Russia Cristiana (via Ponzio 44, Milano 20133) si legge uno scritto postumo di Andrej Tarkovskij sul film che ha concluso la sua vita di artista e di credente, Saorificio. E un documento bellissimo, di umanità e di fervore: la ricerca di brecce, brandelli, soffi di spiritual* autentico (non culturale! non sponsoriz2abile! non trafficàbile! non storicizzabile! non quantificabile!) ci accomuna rutti, noi esiliati d'Occidente e d'Oriente, noi impediti di respirare in un'oppressione materialistica che copre tutto, avviluppa tutto, incrosta tutto e nega tutto; ma certo, dirsi russo e cristiano significa qualcosa di ben più grave e luminoso di qualsiasi cosa dica di sé uno scrittore o un artista d'Occidente. li il sacrificio personale, il prezzo di dolore per chi voglia restare avvinto a una fede trascendente, a un messaggio spirituale, ad un fondamento etico, ad un pensiero sovversivo non sono semplicemente una scelta di testata o di vita modesta, una transitiva incomprensione, un confortevole isolamento: il disperso spirituale di qui deve considerare il reietto spirituale russo come un fratello eticamente superiore, la cui ^statura morale lo sopravanza come l'ombra enorme che proietta Ivan il Terribile nei due film di Eisenstcin. Ricorderemo Tarkovskij come un vero russo, per me legato specialmente alle lente immagini orientali di Andrà Rubleev, uno degli ultimi capolavori del cinema, perché non ho visto altro di lui fino a Sacrificio. Non vado al cinema più di una volta all'anno: nel 1987 avrò visto il film a cui Tarkovskij ha affidato il suo - ultimo messaggio e a cui dava la massima importanza. Dice Tarkovskij nel suo testamento parallelo, lo scritto citato^..fll ylesiderio che .questo film fosse il più importante per mi e diveniate sempre più insopprimibile, man mano che coglievo il marchio del materialismo impresso sul volto del nostro pianeta (sia in Occidente che in Oriente), man mano che mi scontravo con la sofferenza umana, e che incontravo sempre più persone vittime di psicosi, segno della loro incapacità e non volontà di capire come mai la vita avesse perso per loro ogni attrattiva e valore, e ci stessero cai a disagio». Ricordo un altro film, che fu affidato all'acqua poco pri ma di morire, senza volontà di lasciarlo come testamento, pur sapendo la fine vicina, sua e di sua moglie, L'Atalanle, di Jean Vigo, del 19M: una traccia di poesia, il risalire di un barcone malinconico e amoroso verso l'estuario della Senna, l'infinito. Il paragone fa soffrire: L'Atalanle fu un capolavoro, il segno di prodigio di una perduta giovinezza; Sacrificio è un tristemente brutto film, un dolorosamente brutto, falso, oppressivamente falso film di un sincero, di un generoso artista russo che qui ha fallito. ★ * E la vecchia storia del qui veut faire l'ange fait la bète... Tarkovskij ha desiderato smisuratamente — e cosi peccando di profanazione del limite (vedi sempre, in tutto, la Ibris) — di fare un film angelico, arciangelico, di lasciare dietro di sé un'onda ben più larga del po' d'acqua fluviale che si lascia dietro, spartita, la poppa di una povera barca. Stretto tra il nemico muto — il cancro, che a Villejuif l'avrebbe sopraffatto — e quest'ultima carta che i grandi mezzi a sua disposizione in Occidente gli offrivano, si è concentrato in un estremo sforzo, ha cercato di tracciare sullo schermo refrattario il diagramma messianico che aveva in cuore. E morto senza il minimo dubbio di esserci riuscito, e questo l'avrà aiutato, anche, a morire. Ha pensato di poter battere, per mezzo della proboscitcsca macchina-cinema, la più grande, l'onnipotente macchina stritolatrice della morte-di-Dio; di arrivare a far capire in tempo, a rutti, che questa via è sbagliata, che è di perdizione e di morte: e la sua macchina si è naturalmente rivelata inadatta e debole. Da tutto il film non emerge che confusione, pensiero slegato, ni ent'altro che un'impotenza dolorosa di dire... Ha creduto che un film potesse dare formidabili risposte «nel momento in cui la parola ha perso il suo significato misterioso ed esorcizzante», ma il suo film è rimasto muto. Il film è un mezzo singolarmente limitato, e solo pigliandolo sottogamba i Chaplin, i Fellini e i Buiiucl ne hanno ricavato capolavori. "Né Tarkovskij era più nel suo momento di grazia. E anche questa fantastica meteora, il cinema, si è ormai bruciata tutta, non ne resta che l'enorme ruota di miliardi che fa spendere e guadagnare. Il cinema mondiale non è più che un sinistro Disncyland... A voler lanciare un messaggio spirituale da uri'sim'ilè ofolló e sùbito :fàllirrièrirb:'t'TÌeppure, Sdctifi-'ciò, rinuncia a sprecare parole: ci sono dialoghi e monologhi prolungati, e anche quando le parole scambiate non sono molte, da quei personaggi insulsi non emana che noia. Ha avuto anche la sfortuna di interpreti pessimi delle sue troppo buone intenzioni. Le donne sono piacevoli alla vista, ma il cinema non dà più un volto, uno solo. Una la spoglia un po', tanto per accontentare il gusto corrente, ma proprio non erano necessarie quelle corse di lunghe gambe nel corridoio. Il meglio è la strega, la meno inespressiva è lei, però è strega quanto un bel fazzoletto da naso è un coltello da cucina. L'attore svedese Erland Josephson, in cui Tarkovskij ha voluto concentrare il più dei significati, personaggio che porta il suo stesso nome ed è malato del suo stesso male, presenta per due ore e mezzo sempre la stessa, deprimente, per nulla significante, faccia melensa. Qualunque mt «aggio spirituale gli fosse affidato, non si ha voglia di riceverlo da una simile faccia intontita e depressa. Tarkovskij dice che l'idea iniziale era la storia di un uomo col cancro che guarisce passando una notte a letto con una strega. Per mezzo della parola, avrebbe potuto rendere più drammatica l'operazione facendo orribile, fisicamente ripugnante, questa famosa strega G sarebbe stata la prova (e dura, accidenti) invece del sollazzo. Ti redimi attraverso un patire, se no che salvezza è? Il cinema, l'immagine vendibile, gli ha imposto la strega carina, altrimenti l'immagine (pur significando un poco di più) sarebbe stata invendibile: avrebbe fatto ridere. Su cento vittime di violentatori, novantanove sono fuori del club delle charmantet, povere ragazze prive di qualsiasi attrattiva (perché è 11 la profondità del crimine), a volte neppure giovani, casalinghe mature, bambine malate: questa è la vita, la tremenda, l'ignobile vita. Le violentate del cinema (Fontana della vergine, storie di guarà, gialli, il cinema stupra volentieri) sono cento su cento carine (espressive no, poverette, ma carine) o addirittura, quando le pescano, delle Bellezze archetipc. Sono come la strega di Tarkovskij, che non ha il potere di guarire nessuno, ancora meno dal cancro della mone di Dio, che ci uccide. Dostoevskij sorriderebbe. ★ * Dice anche il bravo Tarkovskij, di essere «totalmente d'accordo con qualsiasi conclusione possa venir tratta dallo spettatore», Qui c'è qualcosa che proprio non capisco: si può lasciar trarre dagli altri delle conclusioni impensate, ma non essere preventivamente d'accordo con loro. Purtroppo, lo spettatore se ne va via annoiato e- irritato, se non è del rutto passivo. tw^e ; Per riòrt'essere uno spettatore passivo, esco quasi sempre a metà spettacolo, a volte anche prima; stavolta la simpatia per Tarkovskij, morto da poco, mi tratteneva alla sedia, ma avrei desiderato uscire già dopo assaggiato l'interminabile monologo iniziale, o appena fatta la conoscenza con quella famiglietta di personaggi ai quali un'anima non ha saputo dare un'anima. Non ho però aspettato la fine ufficiale (non l'aspetto quasi mai, i film oggi finiscono in ogni momento): i personaggi senz'anima si stavano ormai dirigendo verso il luogo dov'era, in attesa di essere annaffiato, l'albero, la Fede perduta. Oh bastasse questo! Sarebbe allora un deserto da ridere, questo... Come andare a letto con una bella faccina stregata e svegliarsi senza più cancro! Sono rimasto più a lungo del solito in sala anche perché, trovandomi in Svizzera, non avrei saputo dove andare. Disturbavano la visione, inoltre, doppie didascalie, in tedesco e in francese, mentre gli attori parlavano in svedese — un di più di fatica. Introdurre l'incubo atomico è ormai un luogo comune. Le vie della peste radioattiva sappiamo come siano più complicate e più lente. E poi, radioattività e bomba non sono che facce, teste, di' un'unica, universale Pestìi Tecbnica, contro la quale nessuno ha la forza di persuadere una messa in guardia Tarkovskij mostra ogni tanto scene di decomposizione e d'incendio che né commuovono né minacciano: i suoi interpreti hanno l'aria di spaventarsene come di un topo in corsa sotto il tavolo dove noiosamente cenano e parlano. Di sostanza sacrificale, dell'offerta promessa, in questo presunto Sacrificio, neppure l'ombra. Quel che poteva fare per noi, nel rempo che è stato, l'arte lo ha fatto; il pozzo è là, per i giorni dell'aridità ormai venuti. Ma è un grave errore, sempre, credere di poter inventare una coperta capace di riscaldare tutti gli esseri che hanno freddo, di poter cucinare una minestra in grado di calmare tutte le fami. Pensando cosi, il calore andrà disperso, nessuno lo riceverà. Bisogna invece pensare: tu solo — laggiù, quel vaine umano che ha freddo, che non ne può più dalla fame! Uno solo... Allora il lembo di coperta arriverà a coprirlo, la cucchiaiata a nutrirlo. Meglio di rutto è prc6a¥àre"hi«o pèFhmhd, èli- Tarkovskij ha sbagliato come sbaglia il Papa: i messaggi destinati a rutta l'umanità, generici, sradicati da un'autentica mira (che cos'è l'umanità? dov'è? chi sono questi destinatari?) ricadono morti subito. Ma la memoria di quest'uomo resti sacra, resti preziosa come un'icona piena di luce: perché ha avuto pena e ha cercato di indicare una via, avendo capito dov'era il guasto, e la forza del male. Guido Ceronetti Andrej Tarkovskij (a sinistra) durante le riprese di «Sacrificio»

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