Melato: «Sono brava perché sono inquieta»
Melato: «Sono brava perché sono inquieta» Parla Fattrice che ha vinto il premio Duse Melato: «Sono brava perché sono inquieta» In equilibrio fra cinema e teatro, torna a Medea dopo due film DAL NOSTRO INVIATO MILANO — Mariangela Melato è raggiante per il premio Eleonora Duse che una giuria di critici le ha assegnato (siamo alla seconda edizione, il mecenate è la Banca Popolare di Vigevano) per la sua interpretazione della Medea di Euripide: •Non è il primo riconoscimento quest'anno, ma e forse il più caro, perché conferitomi a Milano, la mia città»: e stringe tra le braccia un gran mazzo di fiori che le ha fatto pervenire la vincitrice dell'anno scorso, GiuiiaLazzarini. Nella motivazione la giuria ha espresso -l'augurio di poterla con più duratura continuità ammirare nell'immediato futuro sui palcoscenici di prosa»: «£' un augurio che mi tocca profondamente, ma non so se potrò soddisfarlo alla lettera. Intanto devo mettere in conto la mia caratteriale irrequietezza, che vate per tutte le manifestazioni della mia vita. Ma poi c'è proprio la dialettica cinema-teatro, che io ritengo indispensabile per potermi esprimere appieno come artista. In altri termini, e peccando per un istante di immodestia, io credo non sarei brava come sono se non avessi preso parte alternativamente a film e a messinscena teatrali: il teatro, come credo di aver un poco dimostrato anche nella Medea, ri insegna un meraviglioso controllo della gestualità e della corporeità, ma il cinema è prezioso, anzi insostituibile per l'espressività mimica, per recitare col volto: e i due codici non si elidono, ma sono complementari. Sarebbe disposta a ripercorrerla qui, su due piedi, la sua doppia carriera, in proscenio e sul grande schermo: «Si, a condizione che non mi chieda te date. Badi, non è questione della mia anagrafe, nell'ambiente la sanno tutti: è proprio che io te date te rimuovo, liete o tristi che siano. A teatro ho cominciato sedicenne o giù di li (ma, la prego, se può controlli) dopo un saggio della scuola di Esperia Sperani, alla Piccola Scala, in cui facevo Yerma: mi vide e mi portò a Bolzano Fantasio Piccoli, che dirigeva quello Stabile: ci rimasi due anni, dicevo in O di uno o di nessuno: "Poso là", e uscivo dalla comune». •Poi venne il cabaret con Nebbia, poi un biennio con lo Stabile di Trieste, un altro (potrebbe essere il 63-65) con Dario Fo, poi un anno in cui recitavo con Visconti ne La monaca di Monza e provavo con Luca Ronconi la seconda versione dei Lunatici. Con Luca feci Cassandra neWOrestea e vissi poi la magnifica esperienza dell'Orlando Furioso. Più tardi è venuto Giorgio Strehler, con cui sono stata Nina nel secondo Nost Milan di Bertolazzi, mi pare nel 79-80. Oddio, ho dimenticato la commedia musicate, voglio dire Alleluia brava gente di Garinei e Giovannini. Eravamo...». Nel 1971, se posso suggerire: e lei da un anno era entrata nel cinema: • Vede che te date le sanno sempre gli altri? So che il film era Basta guardarla di Luciano Salce, un quasi-capolavoro incompreso sul mondo del variété. Da allora ne ho girati circa trenta. Anche quest'estate, tra la prima e l'attuate seconda tournee di Medea, ne ho interpretati due. Una moglie di Carlo Lizzani, su una bella sceneggiatura di Suso Cecchl d'Amico, con Jean-Pierre Cassel, storia di una coppia adulta in crisi, e Amore a cinque stelle dell'esordiente Roberto Giannarelli, con Sergio Castellitto, ancora un bilancio coniugate che non si riesce a rinsaldare, ma stavolta tra due giovani. Io so esser giovane e adulta, a seconda delle richieste...». E ride a gola inarcata del suo riso fondo. A ritirare il premio è venuta in aereo da Roma, nel giorno di riposo della Medea all'Eliseo: «La riprendo anche a Napoli, Bologna, Firenze, Modena, fino a tutto febbraio '88. Poi..., non mi chieda cosa farò poi. Mi fermo, mi riposo, penso: voglio pensare bene al futuro, senza prendere impegni frettolosi, perché non voglio sbagliare. Ma, se vuote una mini-indiscrezione, sto girando intorno all'idea di interpretare un testo comico, ma della tradizione piena, un testo teatralmente solido, con un cast tutto d'alto livello, per uno spettacolo elegante, e perché no, sfarzoso: di quelli che si ricordano, tanto per intenderci». Guido Davico Bonino
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