Menuhin maestro d'avventure di Alberto Papuzzi

Menuhin maestro d'avventure INCONTRO COL GRANDE VIOLINISTA, PADRINO DEL PREMIO VIOTTI Menuhin maestro d'avventure In novembre sarà ospite dì Gorbaciov, dopo sedici anni di ostracismo dall'Urss - «Passo a casa meno tempo d'un marinaio» - Ha suonato davanti a Elisabetta d'Inghilterra adolescente e a Indirà Gandhi signorina: «Ero vecchio da bambino, son rimasto bambino da vecchio» - Tra i suoi direttori Toscanini e Furtwaengler - L'amore per la musica indiana e il jazz - «Mi piacevano anche i Beatles» DAL NOSTRO INVIATO FRANCOFORTE — Yehudi Menuhin posa sul pavimento deli'MD 80 Alltalia in partenza per Milano la custodia del suo violino «Lord Wilton» del 1742 di Ouarneri del Qesù, si toglie le scarpe, si rilassa sulla poltroncina 1 B, prima fila, non fumatori, allaccia la cintura, appoggia i piedi in calzini grigi sulla parete divisoria, dice con soddisfazione: «Due giorni fa a Berlino Ovest ho tenuto un concerto per presentare tre miei allievi. Venerdì a Berlino Est dirigerò la Filarmonica di Amburgo nella Sinfonia Linz di Mozart e nel Canto della Terra di Mahler, con Peter Schreier. Ora vengo in Italia, a Vercelli, per dirigere il concerto del violinista vincitore del Premio Viotti». A 71 anni, Menuhin, piccolo e magro, possiede la vitalità intensa e nervosa delle corde di quello strumento, il violino, di cui è da mezzo secolo uno degli interpreti più geniali, amato dai pubblici di tutto il mondo. Nato a New York nel 1916, da ebrei russi emigrati, Menuhin debuttò in pubblico nel 1923 a San Francisco. La nostra intervista parte da quel giorno lontano: dall'immagine di quel fanciullo prodigio, solo davanti all'orchestra e alle luci della sala. Maestro, come si era svelata quella passione? • Quando non avevo ancora tre anni, già desideravo possedere un violino. I miei genitori mi portavano ai concerti, io guardavo con ammirazione i primi violini e volevo diventare come loro. Per il mio compleanno, il mio babbo mi regalò un piccolo violino di metallo. Era orribile: tenerlo in mano mi faceva orrore. Credo sia stata una delle ultime volte che mi sono arrabbiato nella mia vita. Ho scagliato per terra, con tutte le mie forse infantili, il violino di metallo. Io lo volevo di legno.. Lo ebbe, poi, il suo violino vero? •A cinque anni. Mia nonna materna, una donna straordinaria e generosa che viveva da sola in Israele, mandò il denaro perché mio padre, direttore a San Francisco di scuole ebraiche, potesse comprare il mio violino e la nostra prima automobile, una piccola Chevrolet aperta». Come si spiega, maestro, che la passione musicale possa sorgere cosi precocemente? •La musica fa parte delle nostre cellule. Appartiene alla specie umana, come appartiene alle orche, che si mandano messaggi sonori nella, qua. Io credo che la musica esista nel bambino prima della nascita e se la madre canta o balla il bambino è più felice». Adesso l'enfant prodige è diventato un gentile signore, che quando non è in tournée vive in Inghilterra, nel Surrey. Lunedi prossimo festeggerà 1 quarant'anni di matrimonio con Diana Gould, un'ex ballerina, sua seconda moglie. In tutte le orchestre del mondo ormai ci sono violinisti usciti dalla Yehudi Menuhin School di Londra o perfezionati all'Academy Menuhin' di Gstaad in Svizzera. Menuhin ha un volto trasparente, occhi azzurri, naso affilato, una cerchia di capelli bianchi che sembrano quelli di Geppetto. Negli ultimi dieci anni ha intensificato l'attività di direttore, ma continua a esibirsi con successo con lo strumento, sebbene le sue dita non possano più avere l'infallibilità d'un tempo. Maestro, ci sono grandi pianisti sui quali l'età non ha pesato, come Rubinsteln, Kempff, Horowitz, ma i violinisti longevi sono rarissimi. Perché? •Il pianoforte è uno strumento complesso, con un repertorio fantastico, ma il pia¬ nista non ha bisogno di fabbricare il suono. Il suono e l'intonazione sono già dentro lo strumento. E la tecnica con cui lavorano le due mani è molto simile. Il aiolinista, invece, deve creare il suono, affidando compiti diversi a ognuna delle sue mani. Egli è sottoposto a una tensione più violentar.. Lei pensa di dedicarsi piuttosto alla direzione d'orchestra? •Ancora no. Un giorno, però, sarà così. Ho cominciato a dirigere trent'anni fa perché mi piace. Mi piace studiare le partiture, interpretare opere diverse. Considero la direzione uno straordinario privilegio e penso che la mia è una vita musicale molto soddisfacente». Una vita come la sua non significa anche sacrifici? •I sacrifici fanno parte della storia di ogni violinista. Il mio più grande sacrificio sono state le separazioni famigliari. Mi sono sposato due volte, ho quattro figli, Zamira, che aveva sposato un magnifico pianista pessimo marito, Croio, che si dedica a film e fotografia subacquei, Gerald, che fa lo scrittore in Svizzera, Jeremy, il più giovane, un bravo pianista. Ho cinque nipoti. Capita che d'estate ci si riunisca tutti a Gstaad. Ma ancora oggi io passo a casa meno tempo d'un marinaio». C'è un viaggio, però, che Yehudi Menuhin attende di fare da sedici anni Nel 1971, a Mosca, come presidente del Consiglio internazionale della Musica, organismo che fa parte dell'Unesco, fece il nome, tra i grandi russi, di Alexander Solzenicyn accanto a quelli di Ciaikovski e Puskin. Da allora i sovietici gli rifiutarono ospitalità l'ultima volta tre anni fa quando Menuhin si era offerto di suonare per i dieci anni della morte del violinista David Oistrakh. Ora, nell'era Gorbaciov, 11 nuovo governo sovietico lo ha invitato a suonare a Mosca e a visitare il Paese, dal 5 al 24 novembre. Che emozioni suscita in lei questo viaggio? • Tanti ricordi, di tante battaglie, di tanti amici... Le racconto un episodio, con la terribile Fursteeva, ministro della Cultura. Era il 1973, avevano ritirato il passaporto a Rostropovic, il grande violoncellista, perché aveva ospitato Solzenicyn. Io lo invitai a Parigi, per un grande concerto. E' malato, non può, mi rispose la Fursteeva. Telefonai alla moglie, la famosa cantante Galina Vishnevskaja. Come sta Mstislav? le doman¬ do. Benissimo mi dice. E' a Tiflis, perché non lo lasciano suonare a Mosca. Allora mando un telegramma a Breznev, annunciandogli che al concerto di Parigi avrei sbugiardato la Fursteeva. Rostropovic ebbe il passaporto in ventiquattr'ore». Chi ha amato o ammirato di più tra i direttori d'orchestra? •Innanzitutto, ho fatto in tempo a suonare con Arturo Toscanini, il quale ai suoi tempi era il più grande. Per quanto riguarda l'esecuzione di opere del classicismo tedesco, direi che Furtwangler era quello che sentivo più vicino a me. Per Mozart, forse Bruno Walter. Degli italiani amo Gìulini». Si è parlato, soprattutto per Mahler, di «musica ebraica». Esiste, secondo lei, questa categoria musicale? •Senza dubbio esiste un sentimento ebraico della musica. E' l'intensità drammatica della sofferenza e della nostalgia, di quello che io chiamerei il dialogo con Dio. Per l'ebreo. Dio è una costante relazione di obbedienza e ribellione. L'ebreo pensa sempre che Dio debba punirlo. Il sentimento religioso ebraico passa per il castigo di Dio. Si può chiamare musica ebraica questa intensità emotiva e re¬ ligiosa. Ma non vate per tutti. Mendelssohn-Bartholdy, per esempio, aveva una visione serena della vita. Possedeva un talento enorme anche per la poesia e la pittura, e la sua musica era cosi perfetta...»-. ■ E lei, maestro, teme il castigo di Dio? «Per niente. La mia vita è stata ed è ancora veramente bella. Anche le difficolta, quando vengono superate, sono soprattutto un arricchimento». Suonando ripetutamente Beethoven o Ciaikovski o Brahms, non ha mai avvertito il rischio della routine? •No. Mi sono sempre difeso. In primis perché a ogni esecuzione si possono scoprire cose nuove e più profonde, in secondo luogo perché ho avuto molte avventure, non tanto con le donne quanto con la musica, per esempio con quella indiana e con il jazz». Nella storia di Menuhin ci sono infatti inattese incursioni su questi terreni: la musica hindu, con Ravi Shankar. suonatore indiano di sitar, idolo di gruppi pop, e la musica jazz con Stephane Grappelly, violinista francese oggi ottantenne. Per Menuhin, Shankar è «uno dei più grandi musicisti del mondo» e Grappelly «è semplicemente un genio». Perché queste avventure? •Perché la musica improvvisata, secondo me, è la vera musica. La musica scritta appartiene solo a un'epoca e a una cultura. In India non esistono le partiture, nel jazz si, ma le variazioni improvvisate sono infinite. Nella musica indiana, poi, non c'è il pianoforte, per cui i loro intervalli sono puri. Per un violinista sentire intervalli musicali così precisi è un'esperienza straordinaria, come se qualcuno mi lavasse le orecchie. La musica popolare è la musica di tutti i tempi; per questo a me piacevano anche i Beatles». n rock le piace? •Il rock non tanto, perché fa troppo rumore. Sono sicuro che rovina i timpani, mentre il suo contenuto musicale è molto povero. Ma ho tanti amici in gruppi folk e pop. Mi considerano uno dei loro». Maestro, lei ha suonato davanti a Elisabetta d'Inghilterra adolescente e a Indirà Gandhi ancora signorina. Si sente vecchio? • E' vero, alla mia età posso abbracciare l'inizio e la fine di tante vite. Ma non mi sento vecchio. Io ero vecchio da bambino e sono rimasto bambino da vecchio». Alberto Papuzzi Yehudi Menuhin e il suo Guameri del Gesù: ieri sera a Vercelli ha diretto il concerto del violinista vincitore del Premio Viotti ( Puhlifoio)