C'è uno spot alla Casa Bianca

C'è uno spot alla Casa Bianca L'immagine condiziona ormai le scelte politiche: lo storico Barbara Tuchman analizza le cause della crisi Usa C'è uno spot alla Casa Bianca Pubblichiamo la seconda parte dell'articolo in cui lo storico Barbara Tuchman analizza le cause della crisi che travaglia la politica americana. Penso che per molti ameri/•ani, la rivelazione più inquietante del fiasco Iran-Contras, sia l'apparente facilità per i responsabili di importanti settori governativi di volgere la politica in ogni direzione in cui personalmente pensano dovrebbe andare, anche contro le proibizioni del Congresso. Quale assicurazione abbiamo che qualche estremista facente parte di quella che con preoccupazione è chiamata «la comunità dei servizi segreti» un bel giorno non cambi improwisamnte direzione gettandosi in qualche impresa dissennata, di cui dopo i suoi superiori ci diranno che non ne sapevano nulla? Questo mi porta a Oliver North e alla «Olite-mania». North è senza dubbio la personalità pubblica più interessante che abbia monopolizzato la televisione dal tempo del fantastico Sam Ervin, il senatore della North Carolina che presiedette le udienze del Watergate. Ma c'è una bella differenza: il senatore Ervin era il perfetto statista anziano, che ispira confidenza, esprime verità e integrità ogni volta sollevi i sopraccigli bianchi e faccia risuonare la sua voce bassa e pacata. North, con il suo bell'aspetto, la distinta apparenza marziale, il suo equilibrio, la grammatica e la dizione eccellenti, lo spirito volitivo è (sebbene un po' stereotipato) il giovane attivista americano ideale. Una figura attraente, non può mancare di conquistare gli spettatori. ' Ma la realtà, sotto la scorza eroica di North è quella di un impertinente, un boy scout cresciuto, afflitto da accessi di megalomania, le cui attività, non proprio eroiche, hanno causato ?1 suo Paese più danni di tutti i «crcep» (Comitati per la rielezione del presidente) per Richard Nixon. Il fenomeno della «Allie-maiiia», che adesso spazia dalle magliette con Oliver North ai club che lo vorrebbero presi- «Mentre il mondo si fa più complesso, l'America deve accontentarsi di persone che fanno soltanto bella figura in tv» - «Ai candidati alla Presidenza dovrebbero essere permesse solo apparizioni dal vivo per due minuti» - «Questo Paese ha perso la capacità di indignarsi» dente degli Stati Uniti, dimostra una preoccupante tendenza popolare che considero il punto cruciale del caso Iran, più profondo del problema dell'incompetenza nel governo. E' l'accettazione da parte del pubblico dell'immagine riprodotta, senza preoccuparsi di che cosa ci sia sotto in realtà. Il problema è serio: in questo modo abbiamo fatto presidente una persona che sullo schermo sembra simpatico, un vecchio zio, ma non è altrimenti dotato per la Casa Bianca. Non ho bisogno di dire che questo è il risultato di una cultura visiva (vale a dire senza pensiero), inculcata dall'era del «sapete-voi-cosa». La televisione è stata un grande beneficio per i malati e i solitari, ma il grado in cui ha danneggiato le cellule cerebrali della popolazione non è ancora stato misurato. Una cultura visiva ha importanti implicazioni per il governo. I sudditi della monarchia borbonica erano cosi sopraffatti dalla mistica della corte, parrucche arricciate e sfarzi, da permettere ai Borboni di regnare in decadenza finché la rivoluzione divenne inevitabile. Oggi la televisione è diventata la nostra monarchia. Determina sempre più la nostra scelta dei candidati agli incarichi pubblici e delle persone che eleggiamo per esercitare il governo a cui siamo soggetti. Mentre il mondo si fa ogni giorno più complesso richiedendo una conduzione esperta delle relazioni estere, non dobbiamo accontentarci di persone che fanno soltanto bella figura in televisione. Che i membri del Consiglio di sicurezza nazionale ammettano di aver mentito e di aver ingannato il Congresso in qualche modo colpisce meno della loro incompetenza: perché, per quanto sia odioso dirlo, falsità e traffici loschi fanno ormai cosi parte della vita americana che quasi li diamo per scontati. Ho visto recentemente in televisione un'indagine sui ritardi e le cancellazioni delle compagnie aeree. Responsabili aziendali, ammettendo di mentire senza battere ciglio, proprio come il contrammiraglio Poindexter e North, riconoscevano che le loro compagnie pubblicavano falsi rapporti sui tempi di volo (mostrando tempi di percorrenza inferiori a quelli dei concorrenti) in modo da apparire in posizione più favorevole sugli orari degli agenti di viaggio e ottenere il maggior numero di prenotazioni. Sebbene la cosa in se stessa non appaia terribile, il fatto che sia cosi apertamente e francamente riconosciuta, con lo stesso spensierato tono delle ammissioni del Consiglio nazionale di sicurezza, dà la sensazione che il maneggio sia oggi l'elemento prevalente della vita americana e possa spiegare il senso di declino in essa percepibile. Questa condizione é stata chiaramente osservabile nelle udienze del caso Iran-Contras, e nei giornali, che ogni mattina (insieme con il caffè e il succo d'arancia) ci portano notizie di altri responsabili municipali o federali indiziati o accusati per malefatte di tutti i generi, dai più alti gradi della magistratura al poliziotto di ronda. Sembra che la distinzione dai tedeschi e cinicamente accettato da noi e da altre nazioni che il male fatto ad esseri umani cominciò ad apparirci normale, e ne scaturì una conseguente incapacità di considerare le malefatte come fuori delle regole e punibili. Assassinii, uccisioni di massa che non sollevano alcuna reazione, come dicono gli psicologi, e brutalità indicibili (come chi tagliò le braccia alla donna che aveva violentato, e gli altri che sfregiarono una modella su commissione) sono diventati troppo ricorrenti nella vita contemporanea. Per stabilire se un declino nazionale s'iniziò mai da un costume di violenza ci andrebbe una vita di studi. Credo un buon esempio siano i turchi ottomani, dopo la loro tra ciò che è giusto e ciò che £ sbagliato nella nostra società sia assente, come se si fosse dileguata in una notte buia dopo l'ultima guerra mondiale. Il concetto è cosi remoto che a parlare di giusto e sbagliato si viene subito marchiati dalle giovani generazioni come superati, reazionari e fuori dalla realtà. Ho scelto quella guerra come punto di cambiamento della moralità pubblica. Credo che gli anni del nazismo siano stati sottovalutati come pietra miliare che segna l'inizio di un periodo di violenza interpersonale senza soluzione di continuità lungo il XX secolo. Altri tempi hanno conosciuto crimini comparabili, sebbene non con lo stesso intento deliberato e ufficialmente perseguito. Cosi , enorme fu il male perpetrato conquista di Costantinopoli nel 14S3. Passati circa quattrocento anni, quello che un tempo fu il potente impero ottomano, sprofondato in un'orgia di atrocità in Bulgaria, era diventato il «malato d'Europa» e si era meritato la famosa perorazione del primo ministro britannico William Gladstone (dal suo pamphlet del 1876 «Gli orrori della Bulgaria e la questione dell'Est»): «Terrìbili orge sataniche... Malgoverno rozzo e insanabile... Sfrenata e bestiale lussuria... Malvagi abusi di potere di un'odiosa tirannia... Nelle prigioni europee non c'era un criminale, non un cannibale nelle isole del mare del Sud che non si sarebbe indignato di fronte all'elenco dei crimini turchi... Facciamola finita...». Non si può resistere a un simile esempio di invettiva da parte di un maestro di questa arte, «intossicato», come disse il primo ministro britannico Benjamin Disraeli, «dall'esuberanza della propria verbosità». D'accordo, «uno spettro che faccia rabbrividire i canni bali» non è necessariamente il destino previsto per gli Stati Uniti, ma l'odierno clima di sanguinaria violenza non è rassicurante. Le nostre scelte elettorali ora diventano cruciali, e si spera che la prossima volta saranno fondate su basi più mature che non le immagini televisive artificiali confezionate da procacciatori di fondi professionisti e compagnie pubblicitarie. Maturità ed educazione sono processi lenti e lunghi. Anche se l'attuale disordine richiede una soluzione urgente, non potremo certo ottenere un'opinione pubblica più matura nel corso di una notte, nonostante quanto pensino gli adoratori del volgo che invitano a non preoccuparsi perché la voce del popolo è sempre giusta. Questo è insensato. Non è più giusta di quanto potrebbe essere quella di un gregge di pecore. La rielezione di Ronald Reagan con la scelta popolare del 1984 non fu giusta, ma disastrosa. «Non capisco» mi disse in quel periodo un ospite straniero, «ovunque vada, tutti mi spiegano quanto sia inadeguato e dannoso il signor Reagan come presidente, e tuttavia mi assicurano che la sua rielezione è certa. Come mai?». Tutto ciò che potei dirgli fu che il popolo americano, nell'era della televisione, sotto la schiacciante influenza esercitata dalla pubblicità fin dalla culla, non è troppo versato a comprendere la politica. Ciò che è necessario, e Dio sa quanto, è un accresciuto senso politico nel cittadino americano. Proibire gli spot televisivi di trenta secondi confezionati per i candidati politici sarebbe un miglioramento. Per farci un idea più realistica dei candidati potremmo permettere soltanto apparizioni dal vivo, non prestabilite, della durata minima di due minuti. Questo sarebbe soltanto un debole inizio, molto di più dev'essere fatto perché l'elettorato raggiunga una maggiore maturità. Dobbiamo riconoscere che la responsabilità di questo folle caso Iran-Contras si ferma proprio qui, davanti alla porta del popolo americano. In qualche modo, dobbiamo imparare a fare meglio, se vogliamo evitare di dover affronare nuovi e forse più pericolosi disastri. Esiste uno specifico vuoto nell'opinione pubblica americana: dov'è lo sdegno? Dov'è la rabbia che avrebbe dovuto accompagnare la morte dei 241 marines americani uccisi dal furgone-bomba a Beirut, senza che gli ufficiali della base fossero in grado di fare sbarrare la strada? Dov'è la rabbia per i 37 morti della Starle? E ora, dov'è lo sdegno per la scoperta di maneggi e incompetenze nel governo da parte di amministratori pubblici del più alto livello? Queste morti e queste illegalità hanno suscitato appena un fremito, ma i peccatucci amorosi di Gary Hart hanno creato un tale scalpore (sospetto in larga parte dovuto alla gelosia maschile) come se Marilyn Monroe fosse tornata sulla Terra e si fosse scoperto abiti al Taj Mahal. L'appasionato interesse sollevato nel pubblico dalla vicenda di Gary Hart, in contrasto con la tiepida reazione di fronte alle vite perdute o alle leggi infrante, illustra la superficialità e la frivolezza dell'opinione pubblica. Se il popolo americano non reagisce con rabbia quando le vite dei suoi figli sono sacrificate alla negligenza pubblica, o quando i regolamenti sono accidentalmente violati dagli addetti della sicurezza nazionale, non ci si può aspettare alcun cambiamento verso un governo più solido, che incuta maggior rispetto. La rabbia, quando è sacrosanta, è necessaria per il rispetto di sé e per il rispetto della nostra nazione da parte degli altri. Che ne è del genio americano? Che ne è dell'America di Washington, di Adams e Jefferson? Che ne è dell'orgoglio nazionale? Per sollevare il livello della consapevolezza pubblica dalla frivolezza alla capacità di prendere sul serio le cose serie, richiederà un grande e concertato sforzo nazionale, specialmente se, come per il problema del controllo dell'Aids, possiamo immaginarci come possa essere realizzato Finché non sia cosi, non ristabiliremo tanto presto una politica nazionale coerente o il rispetto della legge. (2-Fine. Il precedente articolo è apparso su La Stampa di domenica 4 ottobre) Barbara W. Tuchman Copyright «New York Times Magazine» « per l'Italia «La Stampe»