I lama si appellano all'Onu: Tibet libero

I lama si appellano all'Orni: Tibet libero Lhasa pattugliata dai soldati cinesi che hanno occupato un monastero e bloccato l'accesso ad altri templi I lama si appellano all'Orni: Tibet libero Lhasa. Una stazione di polizia semidistrutta e data alle fiamme durante gli scontri dei giorni scorsi nella capitale tibetana Diffuso un documento clandestino dei religiosi - Le vittime degli scontri sarebbero tredici - Cartelli per gli stranieri: attenti ai terroristi LHASA — I monaci dei tre principali monasteri buddisti tibetani hanno chiesto il sostegno dell'Orni alla loro richiesta di indipendenza dalla Cina denunciando le violazioni dei diritti umani perpetrate da Pechino. «Noi tibetani abbiamo chiesto ai cinesi che occupano il nostro Paese di andarsene., si legge in un documento fatto circolare dai capi religiosi dei monasteri di Sera, Ganden e Drepung. «/ cinesi ci hanno defraudato dei nostri diritti per trenfanni, ma noi continueremo in eterno a riconoscere il Dalai Lama, come nostro capo. L'Onu deve sostenere la nostra giusta causa.. Un appello all'Onu è stato lanciato anche dal Parlamento tibetano in esilio a Dharamsala in India. Nelle strade della citta sono stati anche affissi manifesti in cui si annuncia la volontà di continuare la lotta Fonti non ufficiali hanno rivelato che nelle violente manifestazioni della settimana scorsa a Lhasa si sono avuti tredici morti. Nella capitale la tensione è sempre alta, è sempre in vigore il coprifuoco notturno (ma non per gli stranieri), agenti in borghese pattugliano ininterrottamente le strade della citta La polizia ha occupato il tempio di Jokhang, davanti a cui si sono svolti 1 disordini, bloccando anche con barricate le strade che portano ad altri templi. Pechino ha subito reagito inviando massicci rinforzi di truppe: nelle strade gli uomini in divisa si sono triplicati, all'aeroporto della capitale sono stati visti sbarcare molti soldati. Nel loro comunicato i monaci rivelano per la prima volta che la manifestazione del 27 settembre, nel corso della quale ventuno monaci e cinque laici hanno scandito slogan indipendentisti marciando contro il cordone allestito dalla polizia non era spontanea ma frutto di una accurata preparazione: è stata infatti predisposta dai monaci di Sera, nei dintorni della capitale, che un tempo fu il più grande monastero del Tibet con i suoi diecimila religiosi (ridotti ora ad alcune centinaia). Nel comunicato si afferma che gli abitanti di Lhasa erano al corrente già da tre giorni dell'intenzione dei monaci di manifestare nella piazza antistante il tempio Jokhang. •Il bilancio delle vittime è senz'altro più elevato., ha dichiarato un medico di New York fermato per qualche ora insieme a un altro connazionale dalla polizia di Lhasa che aveva scoperto nel loro bagagli alcune bandiere tibetane. I due sono stati espulsi. Gli arrestati sarebbero decine. Viaggiatori stranieri hanno offerto le medicine che avevano con sé al tibetani feriti che non vogliono farsi ricoverare; le autorità cinesi hanno collo¬ cato cartelli nei quali si avvertono gli stranieri di tenersi alla larga dai disordini: 'Si segnala la presenza di elementi di tipo terroristico: non mescolatevi con loro. Ci sono stati dei morti proprio perché questi cattivi elementi hanno rubato ai cinesi le pistole con le quali hanno ammazzato la gente.. Altri cartelli in inglese vietano agli stranieri di fotografare «i disordini orchestrati da un manipolo di separatisti, e di .attuare una propaganda distorta del nostro Paese.. .Agli stranieri non è consentito di interferire sulle questioni interne del Paese., ammoniscono i cartelli. L'ambasciata cinese a Kathmandu in Nepal ha sospeso la concessione di visti per il Tibet. Il Dalai Lama ha respinto ieri le accuse cinesi di aver fomentato la rivolta ma ha avvertito che le proteste continueranno. (Ansa-Agi-Ap)

Persone citate: Dalai Lama, Sera

Luoghi citati: Cina, India, Nepal, New York, Pechino, Tibet