Muggì un mostro sulla Valtellina

Muggì un mostro sulla Valtellina LETTERE DALL'ITALIA / A DUE MESI DALLA GRANDE FRANA, GUIDO CERONETTI SUI LUOGHI DEL DILUVIO Muggì un mostro sulla Valtellina Ai tuoni del temporale e del monte crollato continua a rispondere il rumore meccanico che riempie tutta la valle - Spie nel corpo della montagna; ruspe, elicotteri, idrovore, sirene: la Tecnica mette fuori tutta la sua forza - Si vuol impedire alla natura un'altra zampata preistorica - Una storia lunga di inondazioni: una frana di oltre due chilometri anche nel 1927; r«orrendo scroscio» del 1834 SONDALO — Per vedete il paesaggio mutato, dove l'Adda ha formato una specie di bacino lacustre e la frana ha sepolto le case di Sant'Antonio Moriglione, si percorre a piedi per circa tre quarti d'ora una strada sopra il paese di Frontale, e di là i punti di vista sono quanti se ne vuole. Senza quel lago e la sua minaccia non ci sarebbe stato nulla di realmente nuovo, in Valtellina, storia lunga di inondazioni e di frane, ma il lago e là, con le facce preoccupate intorno — e fu Adda, in quel punto — segnale di un mutamento. La strada per Bormio è bloccata, in basso, dai militari, poco dopo Le Prese; più in là non ci sono più strade e sarebbe bello ncn le rifacessero, che tra Sondalo e Bormio si frapponesse uno squarcio, un po' di ritomo al selvatico, qualche metro di libertà dall'uomo. Ma non pensano ad altro che a rifalle. Anche le determinazioni a ricostruire, dopo i disastri, sono una parte del disastro. Trovarsi alle 7,40 del 28 luglio in vista della Val Pola sarebbe stato memorabile! Come guardare il Vesuvio, il 24 agosto nel 69 e.v. B monte Coppetto scendeva a valle e addirittura la risaliva dalla parte opposta, incappucciando tutto, case e strade, costringendo l'Adda a dilatarsi come un pallone gonfiabile, e tirandoci fuori dalla bocca le parole «metamorfosi geologica», un conforto quando oscure leggi che non abbiamo fatte ci allungano qualche solido, tremendo pugno. B giallo-ruspa e il verde-elicottero (che e anche argento, rosso e altro giallo), il mimetico militare da campagna, sono i nuovi colori valtelMnesi. E' una policromia di fatiche incrociate: c'è anche il nero di qualche donna in costume valligiano (finzioni delle Pro Loco), il rosa e il verde chiaro delle mele, il grigio del fango asciugato nei punti invasi e delle pietre ammucchiate dalle ruspe, il luridus delle frane disseccate, fatica umana e tellurica, due sfide che si perdono nell'impensabile. Ma arrivo vigliaccamente tardi, nel pieno dell'afa anomala di settembre, si riesce a mala pena a capire, adesso, che cos'è stalo l'incontro, due mesi fa, col muso del mostro preistorico alzato sopra le vaili «Vedeasi le antiche piante diradicate e stracanate dal furor de' venti. Vedevasi le mine de' monti, già scalzati dal corso de' lor fiumi, minare sopra e medesimi fiumi e chiudere le loro valli; li quali fiumi ringorgati allagavano e sommergevano le moltissime terre colli lor popoli»: c'è anche la frana del 28 e la piena dell'Adda del 18 luglio nelle visioni leomardesche del diluvio. «La mattina del giorno 27 ricominciò più spaventosa la minaccia. Empievasi l'aria di nuvole strane e densissime spinte dai venti australi verso la Valle di Malenco situata a tramontana di Sondrio, dalla quale prende origine e corso il Malìero, che confluisce con altro più fumoso torrente detto la Lanterna alla estremità sinistra della Vallata. B rivolgimento delle nubi accavallate e scure verso quel punto è segno di sinistra fortuna: e cosi in quella mattina si vide con orrendo scroscio succedersi più di nove temporali violentissimi...». La mattina dell'orrendo scroscio fu il 27 agosto 1834, Sondrio ancora tutta Imperialregia, arginata da Maria Teresa: stavolta il Mallero, prima di uscire dal borro in quella nobile striscia rimasta di vecchia Sondrio, ha fatto il diavolo in Val Malenco, via di cave e di crolli, con altri torrenti e frane chiamati al sabba. Nel 1927 (mai stato mite) «nel suo tronco montano provocò una enorme frana per la lunghezza di oltre due chilometri...» e a Sondrio «fece crollare alcune case, il Palazzo della Provincia ed il ponte della strada statale dello Stelvio». Sul foglio locale Pagine Valtellinesi. Nella Porta Credaro aggiunge ricordi materni alla cronaca dell'alluvione del 1927: «Da via Beccaria dove abitava aveva visto l'argine del Mallero rotto, ma l'immagine più viva che le era rimasta era quella del Palazzo della Provincia, la cui parete si inabissava nel torrente in piena con un sfarfallio di carte e documenti che si andava a unire a tronchi d'albero e a carogne d'animali trascinati via». Nella notte Incantevole ex-voto è il racconto di una donna, Margherita Giuliani, dell'allusone del 1834 -in Vài Pòschiavo, nei Grigioni italiani. Non gli storici maniaci della-scuola di Artnotes lo ritrovino, ma chi ama le cronache vere nell'attimo di farsi favola pura: «Era la notte del 26 agosto allorché s'uddl muggir nell'atmosfera un terribil tuono che risvegliò persino un piccolo fanciullo che placidamente dormiva e fece penetrare nel cuore d'ognuno un freddo orrore. A questo fenomino de la natura staccossi dall'atmosfera una grossa pioggia, che fece tosto sciogliere una gran parte delle nostre ghiacciaje, con furia sterminatrice precipitò dal monte il ru| scello di Varona conducendo grossi sassi desolando dappertutto intorno. La sega di Martino fu presto sepolta, persino la casetta accanto ad esso cadde là dentro». Varona in dialetto, in lingua è Varuna. Dal Pizzo Varuna in Val Pòschiavo il 19 luglio 1987 si è staccata una frana non indegna delle valtellinesi, il Varuna gonfio di sciolte «ghiacciaje» ha buttato fuori degli argini il Poschiavino, che ha graffiato e rotto mezzo borgo di Pòschiavo. Chi sa, di nuovo, la sega di-Martino. Vedere* un po' sgraffignata dagli unghioni di Demetra - questa asettica perfezione svizzera, la croce federale mordicchiata da una rivolta di elementi, le casine fiorite sadisticamente flagellate dalla «violenza indiscrivibile» di un torrente indisciplinato, dà un'impressione di giustizia. Ma, Varuna, da dove viene questo nome? Varuna è divinità rigvedica, in relazione col cielo notturno e i movimenti delle acque, Dio dei patti e dei giuramenti. Negli Inni è temuto: «Come dal vitello la corda, slega da me l'angoscia». E' anche detto: «secondo l'ordine di Varuna i fiumi vanno». Varu¬ na, nei Grigioni, è un lupo cattivo: «Urtavano i grossi macigni e legni che il torrente conduceva nella casa con una violenza tale, che ai meschini circondati dall'acqua penetravano nei loro animi quei colpi che parca dir volessero...». Prima d'ora, non ero mai stato lì. Allora, fu questa, se non sbaglio, la via dell'esercito tedesco mercenario che portò la peste nel ducato di Milano nel 1629! Dai Grigioni svalangarono giù, seguendo «tutto il corso che fa l'Adda per due rami di lago, e poi di nuovo come fiume fino al suo sbocco in Po» (Manzoni, XXVIII) e davanti a loro la gente abbandonava le case rifugiandosi su per i monti. Ma la Valtellina, in piano, era a quel tempo un fiorito acquitrino, i paesi erano quelli che vediamo a mezza costa, esposti alle continue frane (dieci anni prima era stato distrutto Piuro) ed è 11 che corse il terrore e stampò sui luoghi la peste. I soldati «frugavano per tutti i buchi delle case, smuravano, diroccavano..., andarono fin su per i monti a rubare il bestiame; andarono nelle grot¬ te...». Buttavano e barattavano abiti col contagio, la paglia dove avevano dormito era tutta infetta. Un anno prima che si dichiarasse a Milano, la peste scampanellava a Sondrio. Fu quella, di sicuro, la peggiore di tutte le inondazioni e le valanghe, un lercio gomitolo di violenza umana. La deliziosa Ferrovia Retica, da Tirano a St. Moritz, passa proprio sopra lo squarcio del Varuna, che ne aveva contorto e rotto i binari; ma i suoi rossi vagoncini sono quelli dell'Eterno Ritomo.» .v r'v Un mistero M'incuriosiva, la Valtellina inondata, perché luogo dove c'è stata pioggia, quest'anno. In buona parte d'Italia le piogge, da sedici mesi, sono mosche bianche, non ci sono né «orrendi scrosci» né «nuvole strane e densissime», il barometro è inchiodato al Bello Stabile come per un pugnale piantato. B Nord ha avuto un poco più d'acqua, però molto meno del solito. La Toscana meteorologica è oggi una vescica turata. L'eter¬ no Azzurro è disfacente. Sarà per via della garza di ozono squarciata, per il Mediterraneo ridotto un crostone di petrolio: dappertutto c'è un sole satanico che si beve tutta l'acqua, che chiude i rubinetti, che pietrifica. Andiamo in Valtellina, dicevo, avrò la beatitudine di aprire l'ombrello; il sole, invece, brucia la valle, l'albero superstite nei punti inondati (ce n'è sempre uno che resiste, uno solo, più forte delle acque, segno di presenza.della.Juce dove è avanzata di troppo l'oscurità) è anche lui crudelmente assetato e tossisce per la gran polvere. B caso della Valtellina è misterioso, perché la consistenza delle piogge non è stata ecces siva; in tutto ha piovuto, con intermittenza, tre giorni, e con più intensità il 16 e 17 luglio; nessuno, nei paesi, immaginava di dover scappare davanti a tante piene repentine e frane. La Valtellina del 1987 è una scena unica: un dramma della pioggia in una penisola dove non piove quasi più, la catastrofe umida, in cui sprofondano vite e cose, in una generale, maledetta immobilità barome¬ trica sul terso e sull'asciutta L'evento, dunque, è legato alla terra, al suolo: è bastato un modesto pretesto meteorologico perché si scatenasse. La frana del 28 luglio è stata lavoro di terra e non di cielo: da lungo tempo il Coppette meditava il suo corpo. Ora ci sono, fra Tirano e Sondalo, centosettanta sirene nascoste, pronte a drizzare l'allarme, un sottile di più di paura, in luoghi mantenutisi capaci di contrastare e di curare i contagi di paura delle spaventevoli concentrazioni urbane, laggiù, nella pianura. Ogni tanto si fa una prova, come se il lago di Moriglione si fosse mosso. E al di là di queste montagne, comincia la catena sterminata dei rifugi antiatomici degli Svizzeri: porte blindate, pasti surgelati mangiabili anche tra cento anni, altre sirene pronte. Sopra: i geranietti, le fendutine, il Bircher-muesli fresco, la carta Eleo. Nel corpo ingente della frana hanno introdotto delle spie meccaniche dette geofoni, vere spie del pensiero tellurico, che portano alle orecchie umane le intenzioni dell'inorganico. Forse, chi sa, la frana pensa realmente... Oh Bruno! Oh Vanirti! Voi che siete stati, per aver pensato la materia come pensante, bruciati vivi! Potrebbero testimoniare per voi, oggi, i geofoni della Val Pola, insieme a infiniti altri segnali di mente che patisce, emessi da questo pianeta maltrattato. La Tecnica è forza, ma il tecnico non la comprende, e ancora meno comprende la forza impenetrabile che affronta coi mezzi tecnici. Ruspe, elicotteri, idrovore, geofoni, sirene, esercito motorizzato, strumenti, segnali: tutto quel che si può metter fuori di forza, per tale scopo, è là. B rumore meccanico, in terra e nell'aria, riempie tutta la valle; si posano tubi, da ogni berretto mimetico spunta un'antenna. B nemico è muto, ma si sa che è il più forte... Almeno, chi non è troppo debole di pensiero lo sa. Un debole di pensiero è chi ha emesso su un giornale sondriese, sotto l'occhiello beltempista «Sotto lo splendido cielo di settembre...» il titolo trionfale La tecnica doma il lago, perché nel profondo del pensiero tellurico la possibilità di un domatore neppure si pone. Là sotto è forza, di sopra si è concentrata forza, per contrastare — che cosa può dire o fare chi non appartenga alla forza? Guardare istupidito, come faccio... Zampata preistorica e forza tecnica storica, due bruti che si danno cornate... Non che la voglia di capire si sia in me inceppata (la forza in figura interamente umana mi è ««"ì familiare, la guerra specialmente, il potere, la morte): ma la mente non ha più quasi niente di primitivo (di sacro arcaico) e, per quel che mi riguarda, è rimasta fuori dai confini della Tecnica (quella che «doma il lago» e quella che li fa morire, i laghi; un po' tutta), non ha un pensiero tecnico né una fiducia e una sottomissione tecnica. Certo, nell'inondazione, mi sarei aggrappato all'elicottero, avrei ringraziato il tecnico; probabilmente, però, standoci in mezzo, in pieno pericolo, avrei capito più la terra e il fiume, che quel mezzo di salvezza, nel cui ronzio protettore si addormenta adesso tutta la valle. E la Madonna di Urano, la celebre Apparita del 1504, a cui rendono omaggio schiere di candele accese e di ex-voto appassionati nel suo stregante Santuario? Nel 1834 era tutta la Protezione Civile; adesso deve spartire il dicastero. Un'inchiesta interessante sarebbe: da dove può venire più aiuto, in una catastrofe tellurica? Da quale delle due Protezioni? Quel grido Se fossi giornalista avrei le idee chiare: il giornalista è nettamente dalla parte di una delle due forze e lamenta, abitualmente, che alla forza storica non sia stata data più fiducia, il massimo sostegno. Se la valle continua a vivere nel pericolo, la colpa è di sigle, pompaggi, ipotesi, ritardi, vertici, mancati arrivi, impedimenti e ombre davanti alla solare onnipotenza tecnica, che alla fine del secolo non presenta più — divinità assoluta — fallibilità e impotenze. Ma anche la tecnica avrebbe bisogno di tecnofoni, come la frana di geofoni, che ne spiassero i pensamenti: perché non è né meno sensibile né meglio illuminata. La forza elementare e l'evolutissima non hanno anime differenti. Temibili sono entrambe. La distanza, in questi eventi, tra poteri (centrale, locale, tecnico, stampa) e i deboli, i seppellibili, gli esposti, gli mondabili, è forte per via della separazione dei linguaggi. Nella gente il linguaggio non è usci¬ to ancora dall'argine umano, la cronaca in quegli occhi catari resta, con accenti più schivi, simile a quelle dei testimoni del 1834; le parole accennano al pericolo e alle perdite con la grazia leggera che è l'antica dignità delle disgrazie, solo lamentando che l'Autorità per aumentare la propria potenza inclini ad appioppargli l'allarme e a proiettare tutti fuori casa nelle ore notturne. Nel potere, il linguaggio ha rotto dà lungo tempo gli argini umani: galleggia su diluvi di «corretta gestione», «impatto», «territorio», «infrastrutture», «sotto controllo», «strategia organica», «riassetto», «immediati stanziamenti», «collaborazione delle forze», «prevedere», «emergenza», inabili perfino a far morire i morti, però abbastanza inespressivi per essere in grado di muovere le forze tecniche al contrattacco. L'umano si rifugia nel grido, non nella sirena. Una vecchia perfettamente sdentata che mi parla del «licottero» venuto a pescarla nel fango, umanizza l'elicottero. Saremo pure, come dicono, cinque miliardi di esseri umani qui, in attesa di morire come qualsiasi Neanderthal: ma di umano in questo formicaio non resta più che qualche cucchiaiata, poche brancate di parole. Tanti alberi, tanti animali morti nel piano della Selvetta, dove la gente ancora non va a dormire e torna di giorno alla case per passare lo strofinaccio e la scopa. Vorrei qualcuno mi raccontasse del circo, il Circo Russo, che il 18 luglio aveva il tendone alzato ad Ardenno. Se il proprietario del Circo mi scrivesse, terrei la sua testimonianza. B treno rallenta, ad Ardenno desertificata: il tendone, che sa dov'era drizzato? E gli animali esotici? Mi dicono che furono ritrovati vivi, eccetto un paio di serpenti, che forse strisciano ancora vivi, lungo il greto dell'Adda, contenti loro, del caldo autunnale e del deserto ritrovato. All'estremità di Sondalo, dove tutto è ruspe e frane, tra forti odori alpestri, un cartello rimasto in piedi invita ad accorrere sulla Riviera del Levante; «Visitate Santa Margherita Ligure.». . Leonardo percorse a piedi quella che nel Codice Atlantico chiama la Valtolina, all'inarca quando la Madonna apparve alla periferia di Tirano. Sarebbe subito andato a spiare la grande frana del Coppette e quello strano lago di minaccia emerso all'improvviso, che gli avrebbero confermato la sentenza: «La natura è piena d'infinite ragioni che non furon mai in isperienza». Un cimiterino cristiano è stato trasformato, a Fusine, in quasi mussulmano: le lapidi non sommerse appaiono qua e là, inclinate, circondate di sabbia del deserte. Guido Ccronetti Aquilone (Sondrio), 30 luglio. Dopo la caduta della frana di Valpola, anche le squadre di soccorso sono state fatte allontanare (Tel. Ansa)

Persone citate: Aquilone, Lanterna, Manzoni, Margherita Giuliani, Maria Teresa, Valtolina