Mani lunghe sull'impresa
Mani lunghe sull'impresa Antitrust e potere politico Mani lunghe sull'impresa il dibattito attualmente in corso sulle concentrazioni industriali presenta una caratteristica frequente nei grandi scontri istituzionali sull'economia italiana: quella di essere condotte, da parte del mondo politico, pressoché esclusivamente in termini di potere. I politici, in altre parole, non rimproverano all'industria di non saper fare il suo mestiere, e cioè di non investire o di non produrre ricchezza; le rimproverano invece, in forme più o meno velate, di non sottoporre le proprie decisioni a qualche forma di assenso preventivo del mondo politico stesso. Che una maggiore libertà d'azione delle imprese possa significare risultati migliori per la collettività è, nel regno della politique d'abord, una considerazione di importanza secondaria Sembrerebbe ragionevole cercare di far coincidere i limiti della libertà d'azione degli imprenditori con quelli della utilità sociale dell'azione stessa; su questa strada si muovono oggi anche i governanti russi e cinesi. Per una parte del mondo politico italiano, però, l'utilità sociale è meno importante del potere. Quindi, spingendo il discorso agli estremi, appare a questi politici certamente preferibile l'esercizio di un grande potere discrezionale su un sistema economicamente debole a quello di un potere più limitato in un sistema più ricco e più dinamico. Posizioni di piccole minoranze? No di certo. Purtroppo la storia d'Italia (e non solo d'Italia) è piena di episodi in cui le ragioni dell'efficienza hanno avuto la peggio di fronte alle ragioni del potere, in cui lo sviluppo è stato ritardato dall'ossessione del mondo politico di non «contare» più a sufficienza. E' questa stessa ossessione che spinge oggi alla, conservazione di strutture produttive antiquate e inefficienti nell'amministrazione pubblica, sulle quali i politici possono far valere il loro diritto a decidere. Con queste premesse, il rischio che, di punto in bianco, per motivi che sanno di ripicca o di paura dei politici di una riduzione del loro ruolo, si cerchi di imporre all'Italia una struttura antimonopolistica del tipo di quella americana di mezzo secolo fa non deve essere sottovalutato. A quei tempi i meccanismi antimonopolistici americani derivavano la loro efficacia dall'essere il mercato statunitense sostanzialmente chiuso a influssi stranieri, e i settori industriali ben delineati e assestati. Le nuove tecnologie hanno modificato tutto ciò e la globalizzazione dell'economia ha reso necessario considerare nuove prospettive. I vincoli antimonopolistici hanno indubbiamente contribuito a una certa stanchezza di imprese come la General Motors: l'impossibilità di espandersi stabilmente oltre certi «tetti» ha addormentato la sua capacità innovativa aprendo la strada ai giapponesi e aumentando le sue attuali difficoltà. E lo spezzettamento imposto dall'alto al colosso telefonico AT&T non ha avuto certo conseguenze del tutto positive. Il discorso sulle concentrazioni industriali va quindi affrontato avendo riguardo più a elementi qualitativi che a considerazioni dimensionali; L'egemonia di un'impresa sul mercato non deriva necessariamente dal suo controllo della metà o più di questo mercato; è invece fortemente influenzata da altri fattori, come i rapporti con i fornitori e i distributori, la possibilità di impedire ai conMario Deaglio (Continua a pagina 2 in sesia colonna)
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