L'idiota moderno di Gianni Vattimo

L'idiota moderno BLUMENBERG E QUESTA EPOCA L'idiota moderno In un dialogo filosofico scritto nel Ì450, Nicolò Cusano introduce la figura di un «idiota», cioè di un profano, una persona qualunque, che discute con due rappresentanti del sapere ufficiale, un filosofo scolastico e un letterata L'idiota è un artigiano che, a un certo punto della discussione, rivendica la dignità del proprio lavoro di intagliatore di legno, sostenendo che essa è simile all'attiviti creatrice di Dio; infatti, dice, «un cucchiaio non ha un'idea esemplare fuori dalla nutra mente», chi 10 fabbrica non ne copia il modello da un qualche oggetto naturale preesistente, e in questo senso lo crea. Questo testo di Cusano è citato nel saggio centrale del libro di Hans Blumenberg, Le realtà in cui viviamo, che esce in questi giorni in italiano presso Feltrinelli, tradotto da Michele Cometa. Blumenberg, nato nel 1920, è professore di filosofia a Miinster, ed è già noto al pubblico italiano per altri libri, come La leggibilità del mondo e Naufragio con spettatore, tutti e due pubblicati dal Mulino. Come quella uscita in questi giorni, anche le altre opere di Blumenberg sono per lo più dirette a chiarire il concetto di modernità. Del testo, 11 bisogno di capire i caratteri dell'epoca in cui vive è un tipico bisogno dell'uomo moderno, quello di cui l'idiota di Cusano costituisce un primo significativo esemplare. Solo l'uomo che non si sente più inserito in una- vicenda sostanzialmente ripetitiva e circolare, come era la natura per gli antichi, ma si ritiene invece partecipe di un processo storico in cui domina la creatività e la novità, ha interesse a sapere dove si trova sulla linea di questo processo. L'idiota cu sani ano formula la nuova consapevolezza della modernità in termini ancora antichi:' giustifica' infatti 'là creatività umana solo in quanto immagine e imitazio-; ne dell'attività (Matrice di Dia La modernità si libererà però progressivamente. di questa dipendenza. La dottrina dell'arte come imitazione della natura, nata con Platone e Aristotele, continua a valere per la cultura europea fino al Secolo XVIII, ma il suo significato si trasforma in maniera radicale, finché anche la formula viene abbandonata. Essa corrispondeva all'idea che tutto l'essere coincida con la natura, per cui l'attività umana non può che esser qualcosa di accidentale rispetto alla natura, senza alcuna capacità di produrre essenziali innovazioni. Secondo Aristotele, l'artista e l'artigiano copiano oggetti e processi naturali, al massimo accelerano, questi processi con mezzi artificiali: così, l'arte culinaria non fa che anticipare, cuocendo i cibi, parte del processo naruralc della digestione. Con l'avvento del Cristianesimo, la natura viene pensata come creazione divina; e a poco a poto, il pensiero teologico e filosofico capisce che cosa significhi che Dio è creatore onnipotente: Sant'Agostino, secondo Blumenberg (ma non tutti sono d'accordo), pensava ancora che Dio decidesse liberamente se creare le cose o no, ma che i modelli ideali delle cose fossero più o meno eterni come le idee di Platone. Con il Medio Evo, e _poi in Cartesio, la libertà di Dio si estende anche alle essenze delle cose: Dio può creare quello che .vuole, non solo dare l'esistenza a oggetti i cui modelli esistono da sempre nella sua mente. I mondi possibili, in altri termini, sono infiniti. Leibniz, nel Settecento, credeva ancora che il mondo creato fosse il migliore possibile (altrimenti Dio l'avrebbe scelto illogicamente); ma questo ottimismo fu ben presto abbandonata La natura nella quale ci troviamo a vivere è solo uno dei tanti mondi possibili, e non necessariamente il migliore; l'arte, dunque, può non prenderla a modello, ma affermarsi come attività di rappresentazione di altre possibili realtà; il che avviene puntualmente nelle avanguardie artistiche del Novecento, che abbandonano ogni ideale raffigurativo. Sulla Base della stessa consapevolezza, la tecnica non considera più la natura se non come un deposito di materiali e di forze da sfruttare per fini di cui la natura- stessa non sa nulla, che non . sono affatto prescritti nelja^e^ti esistente. La rivendicazione sempre più esplicita e completa della creatività umana, al di. fuori di ogni limite ontologico o teologico, è dunque secondo Blumenberg il carattere costitutivo della modernità. La quale non è allora, come ha sostenuto Heidegger, l'ultimo punto di arrivo di un processo unitario di oggettivazione dell'essere cominciato con i Greci — per cui la scienza e la tecnica moderna sono diretti sviluppi delle premesse che c'erano già in Platone —; né (come hanno pensato i romantici, e ha ripetuto da ulti¬ mo Karl Lowith) è l'attuazione della visione del mondo cristiana, fondata sull'idea di storia, contrapposta alla visione classica che pensava il mondo come circolarità e ripetizione; è invece un'epoca del tutto nuova, né greco-cristiana né solo cristiana, ma fondata sulla rivendicazione della creatività umana senza limiti precostituiti. Una prospettiva non molto dissimile da quella che ha dominato le visioni della modernità ispirate all'illuminismo, all'idealismo o al materialismo storico (che Gramsci, si ricordi, chiamava, proprio in questo stesso senso, «filosofìa della prassi», cioè dell'agire umano come unico principio). Blumenberg insiste molto sul fatto che in tal modo la modernità si presenta con una sua specifica legittimità, (onditi com'è su un principio direttivo del tutto nuovo e originale. Egli stesso, tuttavia, sembra talvolta spaventato da questa libertà assoluta, senza limiti ma anche senza diretti-, ve e orientamenti; e cosi ipotizza — citando una bella pagina di Paul Klee — che alla fine, procedendo sulla via dell'esplorazione di tutti (tendenzialmente) i mondi possibili, l'arte e la tecnica finiscano per incontrare una specie di principio ultimo di ordine e di armonia, che sarebbe una sorta di «natura ritrovata». E' però una via di uscita molto problematica, che del resto Blumenberg stesso presenta in forma solo dubitativa e ipotetica. Si potrebbe invece, probàbilmente, mettere in dubbio che la legittimità della modernità sia davvero ciò che lui crede: nel recensire un altro suo libro, Karl Lowith gli obiettò una volta che non c'è nessuna epoca legittima, tutte sono bastarde, progenie mista ed equivoca delle epoche precedenti da cui rimangono dipendenti. Non è forse solo un caso, o solo frutto di un equivoco j dovuto ■all'immaturità della nuova idea, il fatto che l'idiota cusaniano parli della creatività umana solo come immagine di quella divina. Senza questo riferimento, cioè senza il riferimento alla sua provenienza, cristiana, ma anche greco-classica ed ebraica, la moderna idea di creatività probabilmente non avrebbe senso. Ed è proprio rifacendosi a questa provenienza — certo trasformata e secolarizzata — che la modernità può ritrovare forse quei principi orientativi che la natura non è più in grado di offrirle. ' Gianni Vattimo