Gava: storia d'un capo dc di Ezio Mauro

0qyq: storie d'un capo de L'ex simbolo del vecchio partito è diventato il numero uno doroteo 0qyq: storie d'un capo de Gaspari: «Con noi puoi fare tutto, anche il segretario del partito» - De Mita: «Se fosse nato a Milano, sarebbe presidente del Consiglio già da dieci anni» ROMA — n sigaro democristiano di Antonio Oava brillava nella penombra della stanza di Flaminio Piccoli, venerdì sere. 1 legni scuri e i vetri spalancati per il caldo, all'ultimo piano del palazzo di Montecitorio. Fuori, respiravano piano deputati e portaborse, gregari e baroni di quello che per anni era stato l'Impero doroteo, adesso a un passo dalla rottura. Salendo dal Transatlantico, Oava, aveva sbagliato strada, finendo per prendere due ascensori, attraversare un corridoio, sbucare da una rampa di scale. Ma ad ogni passaggio, gli crescevano 1 doro tei d'accompagnamento attorno, ansiosi di capire se il doroteismo aveva ancora un futuro oppure se si, sarebbe frantumato e trasformato, sfidando la leggenda democristiana della sua eternità. «Sarete contenti — sorrise davanti a tutti Flaminio Piccoli sbucando dalla porta dopo venti minuti di colloquio a quattr'occhi —: ancora una volta noi siamo d'accordo, come sempre. O quasi». Oava non parlò, sorrise, s'inchinò appena, si mosse e Piccoli vide per l'ultima volta il suo sigaro andar via, circondato dai fedeli,. .' Quattro giorni dopo, quando le correnti democristiane uscirono dal riparo delle loro stanze per mostrarsi in pubblico, davanti al Consiglio nazionale del partito, Piccoli era ormai da una parte, Gava dall'altra. Per un giorno e mezzo riuscirono a non parlarsi, badarono'a non incontrarsi nel quadrilatero dei corridoi, turono capaci di non incrociare nemmeno gli sguardi. Finché la sedia vicaria di Antonio Gava, riservata come sempre alla destra di Piccoli nella sala democristiana dell'hotel Co- lumbus, rimase vuota, in mezzo a una riunione di malinconia dorateci, con la fetta più grossa della corrente che se n'era ormai andata. Tutta la fùa di sedie era piena, infatti, attorno al tavolo appartato dello Sheraton, quando Remo Gaspari, baricentro del potere doroteo, si alzò con la sua voce rauca, brandendo 11 calice dell'investitura: ^Piccoli non ha una linea, il doroteismo è superato, inutile aspettare. Il momento è venuto. Conosco Gava da sempre, sono al suo fianco da quindici anni: gli dico che tocca a lui». Attorno battevano le mani Lattanzio col suo pezzo doroteo di Puglia, Lega che ha ereditato il doroteismo torinese, Bernini con il lascito veneto di Bisaglia, Marinino e la sua costa siciliana. Scotti con una fetta di Napoli, Emilio Colombo con la Lucania fedele. In mezzo, a 57 anni, Gava si stava trasformando in quel momento da numero due a capocorrente, una sanzione formale più che sostanziale, dopo che negli ultimi due anni il leader campano si era mosso nei fatti come il vero amministratore delegato della variopinta holding di centrosinistra che ha in De Mita il presidente. Ma nella de il potere passa, gli incarichi si avvicendano, le correnti restano. Cosi che Gaspari, mentre vedeva Gava salire | al comando della grande fa¬ miglia dorotea, senti il dovere di rassicurarlo sottovoce: «Ricordati che tu, con noi, puoi fare tutto. Anche il segretario del partito. Basta che tu lo voglia». Più o meno, è quel che pensa Ciriaco De Mita, quando ripete che Oava «se fosse nato a Milano sarebbe già da dieci anni presidente del Consiglio». Eppure da qualche parte, nella memoria democristiana di famiglia, c'è un'immagine che ha meno di dieci anni, con Oava in piedi a una tribuna congressuale, i fogli in mano, i primi occhiali sul naso, e davanti un muro insormontabile di fischi. de, che partivano da tutti gli angoli del Palasport per centrare proprio lui come bersaglio del partito vecchio, ambiguo, compromesso, condannato. Da quei fischi, assicura chi lo conosce bene, è partita la scalata di Oava che lo ha portato sulla vetta democristiana. Gava riemerge da quei fischi e da quelle accuse con un percorso tortuoso, che ha però due linee guida chiare e costanti: l'occupazione "centrista" del potere democristiano, nella convinzione che è dal centro che et comanda il partito; il dialogo a sinistra, esplicito all'interno della de, appena accennato, ma mai sconfessato, fuori dal partito, n primo obiettivo, Oava lo raggiunge con una dote democristiana costruita scientificamente tutta nella provincia napoletana, scartando o quasi la città. Oggi, rispondono a Gava 11 segretario provinciale della de napoletana, il presidente della Provincia, 10 consiglieri provinciali su 14, i sindaci di quasi tutti i Comuni dell'entroterra vesuviano, mentre viene dalla provincia il 70 per cento degli uomini suoi eletti alla Regione, portati alla Camera, nominati negli enti. Un potere cementato dal legame storico con i costruttori, poi irrobustito dal contatto recente con i commercianti; appena sopportato dal vecchio cardinale Ursi. Ma oggi, a chiudere il cerchio, c'è anche un recupero di buon vicinato con la Curia: al posto di Uni è arrivato il vescovo. Michele Giordano, che viene da Matera, dove era buon amico di Emilio Colombo. E proprio Colombo era nel primo banco della cattedrale, il giorno dell'insediamento del cardinale, per dividere la benedizione con il ministro democristiano che s'inginocchiava al suo fianco: Antonio Oava. La strada politica su cui indirizzare questo potere, Oava l'ha scelta prima per caso poi per calcolo, cominciando dall'era Zaccagnini, in cui fini a fianco dei più stretti collaboratori del segretario (Bodrato, Beici, Pisani!. Gavina) tanto da considerarsi membro ad honorem della "banda di Shangai" che dirigeva piazza del Gesù. Poi, dopo il preambolo, Gava sceglie il rapporto stabile con la sinistra interna attraverso Ciriaco De Mita, lavora su Piccoli per preparargli la successione demitiana, convince il suo capo a rompere con Bisaglia per mantenere l'asse con l'area-Zac, oggi rompe lui stesso quando Piccoli lascia De Mita e va all'opposizione. Parallelamente, Gava si preoccupa di lanciare messaggi sottotraccia, tenui ma periodicamente costanti, verso il pei, testimoniando di aver creduto profondamente in Moro quando predicava la necessità di portare i comunisti nella maggioranza, avvertendo tutti che se la strada maestra del pentapartito si rivelasse ostruita «si dovrà costruire una circonvallazione» guardando al pel, confessando persino che il suo uomo politico preferito è Armando Cossutta. Attraverso questo percorso, Oava è riuscito a smentire la profezia di Roberto Mazzotta, che nel 1982 vedeva la famiglia dorotea disperdersi nella crisi democristiana, cosi come la famiglia Buddenbrook era crollata con la crisi della Borsa. 'In ogni de — risponde Oava — sonnecchia un doroteo. Poi, certo, ci sono quelli che stanno svegli. Potere? No: lavoro, conoscenze, contatti. Io ad esempio non ho più tempo a girare il partito. Ma conosco tutti, dal primo all'ultimo. Chi ha votato per me a Chiaia o al Porto, io lo so. Chiudo gli occhi, e posso contarli ad uno ad uno». Può fare anche di più. Un giorno, il cronista che lo intervistò nella casa di via Petrarca notò uno strano cubo bianco, gigantésco, che tagliava via un terzo del salone. Quando alla fine gli chiese dove poteva trovare 1 capi locali della de, per avere altre notizie sul partito a Napoli, vide Oava pensarci un attimo. Poi si alzò, si avvicinò a quel cubo, che era formato da due pareti scorrevoli. La porta scattò, e comparvero otto democristiani silenziosi seduti al tavolo, che aspettavano lui per continuare la riunione. In alto, 11 dentro, era ancora raccolta una matassa di fumo azzurrino, che sembrava tenerli tutti Insieme: naturalmente, : era il fumo del sigaro di Oava. Ezio Mauro

Luoghi citati: Lucania, Matera, Milano, Napoli, Puglia, Roma, Shangai