Torna di moda il poeta italiano di Mario Baudino

Torna di moda il poeta italiano Torna di moda il poeta italiano DALL'INVIATO FANO — Dalle estreme frontiere'di quell'Europa Latina cui è dedicato il convegno, un poeta portoghese e un rumeno stupiscono un po' il pubblico perché spiegano subito, in corretto italiano, la loro storia e le loro poesie. Una parla dell'Angola, di guerra e di cani, l'altra di profondi boschi balcanici, di foglie che cadono, di albe e tramonti. E fra i 150 invitati all'incontro che si è tenuto a Fano da giovedì a sabato notte, la domanda che in fondo avrebbe segnato i tre giorni di lavori ha cominciato a formarsi spontanea: che cos'è l'Europa latina? Fino a pochi anni orsono sembrava parlare una sola lingua, il francese. Ora l'esplodere degli scrittori italiani, soprattutto in Francia, ha provocato un'oscillazione. I nostri poeti maggiori sono tradottissimi oltre frontiera, da Luzi a Bertolucci, da Caproni a Zanzotto fino a più giovani, come Giuseppe Conte, e sempre più studiati. E c'è, in fondo, un senso di appartenenza comune. Il congresso organizsato da Umberto Piersanti e Fabio Doplicher grazie al Comune di Fano ha tentato di ricostruire una mappa della nuova situazione, andando alla scoperta di realtà magari ingiustamente ignorate. C'è stata cosi una vera e propria «prima» di tutta la nuova poesia spagnola, che sembra improvvisamente rinata sull'onda dell'impetuoso dosarono del paese: oltre a Jai¬ i me Siles e Juana Castro, già noti da noi, si sono visti giovani poeti come Alejandro Amusco proporre una sorta di poesia violentemente ripiegata sul suo «sogno del mondo», che per qualche verso ricorda la più recente stagione italiana. Anche su questa si è discusso, vista la presenza di molti fra i nuovi poeti, come Gregorio Scalise, Paolo Ruffilli, Mario Santàgostini, Valentino Zeichen, Rosita Copioli, e con toni qualche volta aspri. E' una stagione, come ha voluto ricordare Milo De Angelis (e cioè uno dei suoi protagonisti assoluti) «splendida», al di là della talvolta sospetta disinformazione critica. Le varie tirate d'orecchi non hanno riguardato comunque Piero Bigonglari, che ha aperto i lavori insieme con Carlo Bo. Per il critico e poeta fiorentino, uno dei grandi della cosiddetta 'terza generazione- dell'ermetismo, non è un caso se in questo momento dalla Francia si guarda all'Italia: «Non credo che sia una moda parigina. Penso sia un'attenzione legata a un obbiettivo senso di asfissia formale che 1 più attenti fra gli scrittori francesi sentono come un pericolo. E allora studiano la nostra poesia,-che è metaforica e narrativa». Anche per Bigongiari, però, è difficile parlare di area latina (o romanza). Basti pensare al romanticismo tedesco e inglese, e alla poesia anglosassone dei primi anni del secolo: un patrimonio comune a tutti gli scrittori. La letteratura è stata molto prima di altri fenomeni, un «villaggio globale». Un esempio? Michel Deguy e Armand Monjo, 1 due maggiori poeti francesi intervenuti, non avevano certo da scoprire nulla. Monjo, poi (più volte candidato al Nobel) ha alle spalle un enorme lavoro di traduzione, fra cui un'antologia dal 200 fino a Pasolini, pubblicata vent'anni fa e restata un 'Classico-. Ora osserva divertito che nell'Europa latina, per quel che può significare, sono tornate quanto meno due cose: le barbe e le rime. «Chissà che non ci sia un rapporto» scherza allegro. Dall'Università di Rennes, invece, Gina Labriola e Nicole Laurent-Catrice evocano un linguaggio arcaico e misterioso, il bretone, che deriva direttamente dalle parlate celtiche. Questa lingua, quasi uccisa dal centralismo francese, ha dei grandi poeti, che parlano dell'Oceano e della campagna, dei sassi e degli antichi dei: Per Jakez Helias, Eugene Guillevic, Pool Keineg. «Bisognerà proprio lasciare al loro posto, alla loro sorte,/ queste montagne di terra,/ che pure hanno forma di seni/ e che respirano./ Bisognerà lasciare che formino questa fronte azzurra/ davanti alla quale si passa/ noi con la furia in noi/ e troppa carne./ ..../ Se un giorno vedi/ che una poeta ti sorride,/ andrai a dirlo in I giro?» scrive Guillevic. Già, ma che cosa hanno a che fare questi celti con l'Europa latina? La risposta è quantomeno curiosa. Guillevic ammette d'aver risentito in modo determinante della lezione di Ungaretti. E Keineg un giorno credette d'aver scoperto un grande italiano «sconosciuto»; era Rocco Scotellaro. Mario Baudino Torna di moda il poeta italiano Torna di moda il poeta italiano DALL'INVIATO FANO — Dalle estreme frontiere'di quell'Europa Latina cui è dedicato il convegno, un poeta portoghese e un rumeno stupiscono un po' il pubblico perché spiegano subito, in corretto italiano, la loro storia e le loro poesie. Una parla dell'Angola, di guerra e di cani, l'altra di profondi boschi balcanici, di foglie che cadono, di albe e tramonti. E fra i 150 invitati all'incontro che si è tenuto a Fano da giovedì a sabato notte, la domanda che in fondo avrebbe segnato i tre giorni di lavori ha cominciato a formarsi spontanea: che cos'è l'Europa latina? Fino a pochi anni orsono sembrava parlare una sola lingua, il francese. Ora l'esplodere degli scrittori italiani, soprattutto in Francia, ha provocato un'oscillazione. I nostri poeti maggiori sono tradottissimi oltre frontiera, da Luzi a Bertolucci, da Caproni a Zanzotto fino a più giovani, come Giuseppe Conte, e sempre più studiati. E c'è, in fondo, un senso di appartenenza comune. Il congresso organizsato da Umberto Piersanti e Fabio Doplicher grazie al Comune di Fano ha tentato di ricostruire una mappa della nuova situazione, andando alla scoperta di realtà magari ingiustamente ignorate. C'è stata cosi una vera e propria «prima» di tutta la nuova poesia spagnola, che sembra improvvisamente rinata sull'onda dell'impetuoso dosarono del paese: oltre a Jai¬ i me Siles e Juana Castro, già noti da noi, si sono visti giovani poeti come Alejandro Amusco proporre una sorta di poesia violentemente ripiegata sul suo «sogno del mondo», che per qualche verso ricorda la più recente stagione italiana. Anche su questa si è discusso, vista la presenza di molti fra i nuovi poeti, come Gregorio Scalise, Paolo Ruffilli, Mario Santàgostini, Valentino Zeichen, Rosita Copioli, e con toni qualche volta aspri. E' una stagione, come ha voluto ricordare Milo De Angelis (e cioè uno dei suoi protagonisti assoluti) «splendida», al di là della talvolta sospetta disinformazione critica. Le varie tirate d'orecchi non hanno riguardato comunque Piero Bigonglari, che ha aperto i lavori insieme con Carlo Bo. Per il critico e poeta fiorentino, uno dei grandi della cosiddetta 'terza generazione- dell'ermetismo, non è un caso se in questo momento dalla Francia si guarda all'Italia: «Non credo che sia una moda parigina. Penso sia un'attenzione legata a un obbiettivo senso di asfissia formale che 1 più attenti fra gli scrittori francesi sentono come un pericolo. E allora studiano la nostra poesia,-che è metaforica e narrativa». Anche per Bigongiari, però, è difficile parlare di area latina (o romanza). Basti pensare al romanticismo tedesco e inglese, e alla poesia anglosassone dei primi anni del secolo: un patrimonio comune a tutti gli scrittori. La letteratura è stata molto prima di altri fenomeni, un «villaggio globale». Un esempio? Michel Deguy e Armand Monjo, 1 due maggiori poeti francesi intervenuti, non avevano certo da scoprire nulla. Monjo, poi (più volte candidato al Nobel) ha alle spalle un enorme lavoro di traduzione, fra cui un'antologia dal 200 fino a Pasolini, pubblicata vent'anni fa e restata un 'Classico-. Ora osserva divertito che nell'Europa latina, per quel che può significare, sono tornate quanto meno due cose: le barbe e le rime. «Chissà che non ci sia un rapporto» scherza allegro. Dall'Università di Rennes, invece, Gina Labriola e Nicole Laurent-Catrice evocano un linguaggio arcaico e misterioso, il bretone, che deriva direttamente dalle parlate celtiche. Questa lingua, quasi uccisa dal centralismo francese, ha dei grandi poeti, che parlano dell'Oceano e della campagna, dei sassi e degli antichi dei: Per Jakez Helias, Eugene Guillevic, Pool Keineg. «Bisognerà proprio lasciare al loro posto, alla loro sorte,/ queste montagne di terra,/ che pure hanno forma di seni/ e che respirano./ Bisognerà lasciare che formino questa fronte azzurra/ davanti alla quale si passa/ noi con la furia in noi/ e troppa carne./ ..../ Se un giorno vedi/ che una poeta ti sorride,/ andrai a dirlo in I giro?» scrive Guillevic. Già, ma che cosa hanno a che fare questi celti con l'Europa latina? La risposta è quantomeno curiosa. Guillevic ammette d'aver risentito in modo determinante della lezione di Ungaretti. E Keineg un giorno credette d'aver scoperto un grande italiano «sconosciuto»; era Rocco Scotellaro. Mario Baudino

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