L'oro di Spitzer di Angela Bianchini

L'oro di Spitzer A UN SECOLO DALLA NASCITA L'oro di Spitzer Da Vienna a Baltimora, dalla prestigiosa capitale della Mittcleuropa alla sobria città americana, a cavallo della Mason-Dixon line, che itinerario è mai questo? Misterioso per i più, si presenta, invece, vivissimo e plausibile a chi ha conosciuto da vicino gli intellettuali europei emigrati negli Stati Uniti e sa come esso ricalchi puntualmente la vicenda esistenziale e scientifica del grande linguista Leo Spitzer. Proprio Spitzer è il vero protagonista e dominatore del libro di Dante Della Terza, Da Vienna a Baltimora, La diaspora degli intellettuali europei negli Stati Uniti d'America (Editori Riu^ti): infatti, nato a Vienna, Leo Spitzer, dopo l'avvento del nazismo, fu accolto all'Università di Istanbul che si proponeva allora, per iniziativa di Kcmal Atatiirk, come faro d'intellettualità e, poi, emigrato in America, nel 1936, per ventiquattro anni, occupò la cattedra di filologia romanza alla Johns Hopkins University di Baltimora. Divenuto emeritus, al termine dell'insegnamento universitario, Spitzer, profondamente curioso di novità e di interessi, accettava volentieri impegni accademici presso altre università: e fu proprio a Seattle, all'Università, e poi a Los Angeles, all'Università di California, che lo conobbe Dante Della Terza, il quale colà si trovava nel 1958, e fu poi chiamato a Los Angeles, e da parecchi anni è docente di letteratura comparata a Harvard. L'esperienza varia e complessa di Della Terza che, allievo di Luigi Russo alla Normale di Pisa, a sua volta, aveva lasciato l'Italia, si riflette in questi saggi, rielaborati da altri, di epoche diverse, già pubblicati su riviste prestigiose, italiane e americane!- essi portano tutti il comune segno dell'esilio (non a caso il libro è dedicato a Franca. Baratto Trcntin, vedova del- grande francesista Mario Baratto e lei, stessa formatasi in Francia, come figlia di Bruno Trentin) e costituiscono un interessante dialogo a distanza con tante persone scomparse, su testi aitici pubblicati di qua e di là dall'Atlantico, di prima e dopo la Guerra. I metri del colloquio sono diversi, e per di più incrociati, e accanto a Spitzer compare Erich Auerbach, l'autore di Mimesis, non conosciuto direttamente da Della Terza ma ritrovato sull'ascendenza stilistica, in parte coincidente con quella di Spitzer, delle letture dantesche, sulla lezione di Vico, sui contrasti con E. R Curtius circa la funzione della critica figurale. Panofsky, Jakobson, Harry Levin e molti altri fanno comparse brevi ma significative a dare l'immagine, pur attraverso un periodo di anni lunghissimo, di incontri fervidi di idee. Alcuni grappoli intellettuali, per cosi dire, hanno poi presa più diretta: mi riferisco alla figura del grande comparatista e slavista Renato Poggioli, alla ptotostoria della cultura italiana in America nell'immediato dopoguerra e al capitolo, molto vivo, dedicato a P. M. Pasinctti: da Ve nczia a Los Angeles e ritorno. Un altro itinerario, questo, e ancora in fieri. * * A questo punto, mi viene naturale di paragonare la mia esperienza con quella di Della Terza. Infatti, pur appartenendo alla sua stessa generazione, per una ragione ben precisa, e cioè le leggi razziali, io conobbi, nel 1941, alla Johns Hopkins, uno Spitzer assai più giovane che un lasso di tempo assai breve separava dalla partenza dalla Germania e dagli anni di Istanbul. Imponente e affascinante fino all'ultimo, Spitzer era, allora, più pittoresco e più europeo e, nelle sere d'inverno, la sua figura alta, avvolta in una mantella nera, dominata dalla testa di capelli lunghi e bianchi su cui calcava un ampio cappello, anch'esso nero, sembrava l'evocazióne di un Liszt o di uno Stefan Zweig. Ma, accanto al lato notturno di Spitzer, il quale, fino all'ora di chiusura, faceva la spola, silenzioso come una tigre, tra gli scaffali della biblioteca di filologia romanza e il suo studio, situato nel corridoio semibuio di Gilman Hall, c'era lo Spitzer solare di quello stesso studio che, di giorno, come scrisse Pcdro Salinas che possedeva l'ufficio vicino, anzi adiacente, era tutto pervaso di un pulviscolò d'oro. Si ' trattava del fumo delle innumerevoli sigarette frammezzato dai raggi di sole del finestrone aperto sul paesaggio della citta lontana che si posava sui libri proliferanti come fauna straordinaria lungo le pareti, sul pavimento e sulle sedie dove il visitatore aveva estrema difficoltà a sistemarsi. * * Non difficoltà a parlare, però, perché quel personaggio formidabile e temibile nelle sue sfuriate e attacchi accademici si trasformava, durante un colloquio, nel più attento e acuto degli ascoltatori: dall'impostazione freudiana che dominò la .sua gioventù viennese e a cui egli stesso attribuì grande influenza per lo sviluppo della sua indagine stilistica, veniva a Spitzer l'interesse per l'individuo, per il personaggio, e non soltanto letterario. E questo lo sa bene la studentessa ventenne di quegli anni alla quale Spitzer, fra le tante cose, insegnò che la nostalgia per l'Italia e l'Europa poteva essere sublimata soltanto attraverso i libri, e lo studio, in quella cittadella tra universitaria e cenobitica che era la Graduate School della Johns Hopkins negli anni di guerra. Anni duri e solitari, e pieni di angosce e lacerazioni, e questo andrebbe ricordato quando si parla dell'isolamento di Spitzer e di una sua didattica «senza eco». L'eco invero c'era, e molto prossima: non soltanto la presenza dì Pedro Salinas, ma quella di Charles S. Singleton, e di Arthur Lovejoy che, al di là dei contrasti, influenzò Spitzer lungo la Storia- delle Idee, e poi George Boas, Albright, Frederick £• Lane e soprattutto Helen Hatcher, diretta erede e seguace dell'insegnamento stilistico spitzeriano. Furono questi interlocutori dei primi anni, con i tanti visitatori, Lionello Venturi, Auerbach, Americo Castro, a radicare Spitzer in America, e soprattutto lì, a Baltimora, in una delle casette a schiera, mattoni rossi e gradini bianchi, dall'altra parte del campus e del prestigioso Museo di Arte Moderna. Esiste, poi, un altro periodo, più recente, nel percorso spitzeriano, e fu il conferimento del Premio Feltrinelli nella primavera del 1933 e il conseguente primo ritorno di Spitzer in Europa. Preparato da Alfredo Schiaffini, preceduto dal volume Critica stilistica e storia del linguaggio, edito da Laterza, costituì l'occasione di incontro tra il maestro leggendario e la critica italiana, che di questo ritorno fece una sintesi, un ponte tra diversi periodi, in nome di antiche e tenaci lealtà e nuovi progetti. Nei mici ricordi ritrovo una colazione, in una trattoria di Roma, quando una corrente di simpatia silenziosa sembrava passare tra Spitzer felice e volubile e Pasolini, apparentemente chiuso nella sua maschera dolorosa di giovane artigiano; e poi la soddisfazione, diciamo, anzi, gioia, che Spitzer provò a conoscere Elena Croce, una di quelle «carissime figliuole» alle quali Croce, ospite di Spitzer negli Anni Venti, all'Università di Marburgo, soleva scrivere lunghe lettere affettuose. ★ * Ma, in un certo senso, il risultato più diretto di quella prima venuta in Italia fu la scoperta della pensione di Forte dei Marmi, già ben nota come rifugio di poeti, di cui, per puro caso, avevamo parlato, in piena guerra, nello studio della Johns Hopkins. Lì Spitzer trascorse, con sua moglie, rune le estati, dal 1955 al I960, lavorando e leggendo sotto gli alti pini, e soleva dire che se la sua maturità era stata francese, la vecchiaia era italiana. E lì, già stanco e emozionato per le ovazioni che lo avevano accolto, a maggio, all'Università di Roma, e poi ad agosto, al Congresso di Liegi, lo colse la morte, il 16 settembre 1960. Una tappa fondamentale, questa dell'Italiane-di Forte dei Marmi, nel percorso da Vienna a Baltimora. Secondo la sua volontà, Spitzer fu, infatti, cremato e le sue ceneri disperse sul Mare Tirreno. Così lo ricor diamo, a cent'anni dalla sua nascita in quella Vienna che egli rievocava sempre come «gaia ed ordinata, scettica e sentimentrtle, cattolica e pagana». Angela Bianchini