Mattei,per mezzo secolo caustico testimone di Francesco RossoEnrico Mattei
Mattea per meno secolo caustico testimone Mattea per meno secolo caustico testimone Morto a 85 anni - Da posizioni conservatrici, fu tra i più autorevoli commentatori sui giornali italiani - Annunciò due giorni prima la «marcia su Roma» - Dal '22 al '43 a «La Stampa» Con Enrico Mattei scompare dalla scena del giornalismo italiano uno dei più autorevoli protagonisti, non per la lunga parentesi durante la quale esercitò la professione, ma per l'autorevolezza con cui seppe rimanere alla ribalta dall'inizio alla fine. Nato a Roma 85 anni fa (i genitori erano toscani), conservò durante tutta la carriera quel tanto di humour romanesco che lo faceva essere a volte Pasquino, a volte feroce interprete delle cose d'Italia. Aveva esordito nel 1918 sul quotidiano romano // Tempo, al quale collaboravano Papini, Soffici, Pareto, Alvaro, ed è con scrittori di quella levatura che egli doveva tenere il passo, non da semplice cronista, ma da collaboratore letterario. Passò poi al Giornale di Roma, che lo mandò come inviato a Napoli nei giorni in cui il fascismo preparava l'assalto al potere. Da valente giornalista, abile conversatore, sempre col sorriso e la battuta pronti, riusci ad entrare nelle segrete faccende che Mussolini andava preparando e diede la notizia della marcia su Roma due giorni prima che avvenisse. Nel 1922 egli passò a La Stampa e vi rimase fino al 1943, quando l'armistizio spaccò la nazione in due tronconi. Era uomo coltissimo, buon compagnone, sempre arguto e spesso acre nei suoi giudizi sul fascismo, sul duce, ma soprattutto su' Starace, sul quale rovesciava torrenti di battute scherzose ma feroci. Era iscritto al fascio, come tutti, ma non era fascista. Nel 1924, per aver preso posizione a favore di Matteotti, fu sospeso dall'Ordine dei giornalisti per alcuni mesi. Viveva a Torino, ma non l'amava. Diceva-che Torino era una città tropicale dove qualche volta nevica. Era rimasto romano, e la sua dimestichezza con Signoretti, allora direttore de La Stani-, pa, era dovuta in gran parte alla comune origine romanesca, o laziale. Dopo l'8 settembre 1943 egti riuscì a passare la linea gotica e tornare a Roma, dove attese gli eventi. Fu tra i primi colla- Doratori del nuovo giornale nato a Roma dopo la liberazione, // Tempo di Angiolillo, ma nel 1945, quando riapparvero giornali liberi in tutta Italia, égli passò alla Gazzetta del Popolo. Egli però rimase a Roma, dove scrisse corrispondenze tra le più informate, puntuali e spassionate, senza falsi rispetti, spirito davvero libero che rappresentava il particolare momento in cui operava. Fu sempre personaggio forse volutamente strano, a volte anche strambo, innamorato della sua professione ma con una pulitezza di co¬ scienza da renderlo il giornalista più credibile d'Italia. Quando la Gazzetta del Popolo cambiò proprietà, e da liberale divenne democristiana, Enrico Mattei passò al gruppo Monti. Collaborò al Resto del Carlino ed alla Nazione. Di quest'ultima fu anche direttore per nove anni, e si trovò a dirigere quel giornale proprio durante la terribile inondazione che travolse Firenze. E furono proprio gli articoli scritti in quel periodo che diedero la misura delle sue capacità Per il gusto che aveva innato del paradosso, per le battute fulminanti su personaggi d'ogni fede politica, egli si creò molti nemici, al punto che ottenne assai tardivamente il «Premio giornalistico» di Saint-Vincent, vinto nel frattempo da colleghi meno autorevoli. Era più che noto, specie per le sue rubriche su Gente, e spesso lo intervistavano. Il suo testamento spirituale è la lapide più bella che potesse scrivere per se stesso. «Non voglio essere ricordato, non voglio essere commemorato». Francesco Rosso Enrico Mattei
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