LETTERE DALL'ITALIA di Guido Ceronetti

ita LETTERE DALL'ITALIA ita Tre modi di riempirsi, fino' gonfiarla, la casa, pur con pochissimo arredamento. Lo dicono frasi che meritano indugio e preoccupazione. La prima è: «Ti mando la fotocopia», i E arriverà, infallibilmente. Non se ne perde mai una. Prima della fotocopiatrice, gli originali esistevano. Più nessuno ne sa più niente. L'originale? Lo teniamo noi; quante fotocopie vuole? — Vorrei l'originae. — Possiamo farle quante otocopie le pare, anche mille... — Facciamo cinque, per favore non una di più, cosa farmene di mille? Me. ne serve una, dico cinque perché se per asa.. ■— E le altre quattro nutili sono distribuite in giro, la voce ripassa, uguale: — Ti mando la fotocopia —. Ti fotocopiano tutto. Una delle fotocopie più minacciose è quella di un Intero Volume esaurito in libreria, non più ritampato, in possesso di amico o dello stesso Editore. Si gradiebbe il libro in prestito; niene da fare: ti arrivano cinquecento fogli anneriti come mummie, bruciacchiati come facce di folgorati sugli atlanti di Medicina Legale (il libro è di duecentocinquanta) spessi, di formato sconclusionato, dentro una busta semistrappata (hanno unghie, le fotocopie) dove le illustrazioni sono macchie di vino diventate scure col tempo, o pallori epatici da cui la salute è bandita per sempre, e forniti di una supplementare bellezza: tutti i numeri di pagina dispari stanno sopra, i pari sotto. La. lettura di seguito del volume fotocopiato (la lettura logica: foglio dispari-pari, pagina uno, pagina due) darebbe: pagina uno, pagina tre, cinque, sette... Anivati in fondo ai dispari si attacca coi pari: due, quattro... — Scusa! Ho dimenticato di metterli a posto... Te li ho mandati così! —; Facciamo la prova con un Classico. «Suonava la messa dell'alba a San Giovanni» così comincia Mastro Don Gesualdo, romanzo sublime. Nelle edizioni // Saggiatore l'inizio ha la pagina 5. La pagina termina con parola troncata: «Santa Maria, San Seba...». Il seguito dovrebbe essere stiano, invece la fotocopia ti dà: «grigi svolazzanti di don Diego». E continua: «Si udì la voce rauca del tisico»; termina: «legna grossa». Per trovare il resto di Seba c ottenere Sebastiano bisogna aver letto tutte le pagine dispari e arrivare alla 481, che è l'ultima di questa famosa edizione (rara: circola solo fotocopiata) e termina, terminando il romanzo: «la cameriera della signora duchessa». La cameriera della duchessa sapremo come si chiama, perché abbiamo in testa alla due, pagina che si sa viene dopo la 481, la rivelazione che il suo nome è Sebastiano. A volte, è tanta la rabbia che mi fanno i mazzetti d «roba fotocopiata» che i fogl li leggo così, prima tutti i dispari, poi tutti i pari, digri gnando. Per il mio meschinissimo sapere, il risultato ugualmente brillante. - * * A poco a poco, le fotocopie invadono tutto perché si deve tenere la prova di tutto. Non conosciamo la forza delle Macchine. Solo pochi, pochissimi più infelici che beati, hanno 'capito che siamo al servizio, oltre che di alcuni bei Poteri (per lo più tinteggiati di cri minale), di macchine, di sistemi di macchine (i Mezzi di Trasporto Pubblici, le Central Energetiche), di apparecchiature, di installazioni domestiche meccaniche, di arnesi a ruote di cui una trentina di milioni sono in movimento tra il venerdì e la domenica sulle autostrade italiane, di macchine per guarire, di macchine musicali di macchine per calcolare tutto quel che si è fatto e tutto quel che si farà, di una quantità di Macchine Sconosciure — e, an che, tra le tante, di macchine fotocopiatrici. La macchina per scrivere coi celebri imbrattanti fogli neri e blu di cartacarbone, ha fatto da battistrada Da quasi cento anni ci ha morso mani, le ha rese inabili alla penna. Sono qua, la sto servendo, ma non basta: sono in ri . tardo sugli Utenti di macchina con video, che arriva fino al taglio della testa. Non è il bisogno di documenti che ha acato la Fotocopiatrice: inces- santemente la fotocopiatriceMinotauro chiede tributo di documenti, ha fame del Doppio, del Triplo, del Quadruplo. In ogni lettera che parte c'è almeno una fotocopia, in ogni busta che arriva c'è di sicuro la promessa formale: «ti mando subito fotocopia» o la supplica (della fotocopiatrice, per bocca di chi scrive): «ti prego, fammene due fotocopie». Nel lampeggiare della fotocopiatrice 'è qualcosa di malsano, una specie di sogghigno. E' un lume senza luce, un lingueggiare di fiamma oscura. Più che di fogli da impressionare, ha fame di dipendenza umana. Cè riuscita: ne dipendiamo. Abbiamo paura. Ce, sempre, pronto, un rimprovero: — Come! Non hai fatto neppure una fotocopia? — Neppure una. La prossima volta, per non sbagliare, ne farò dieci. Ne terrò in casa nove: nessuno potrà rimproverarmi. * * La casa si sta gonfiando anche di nastri magnetici. La frase comune è: «Ti mando la registrazione». La registrazione è a fotocopia acustica. Variante: «Ti faccio una cassetta». La posta rovescia, le mani recano, le cassette cominciano ad essere una famiglia numerosa che chiede pane, pane spaziale: Dove metterle? Come distinguerle? Sono brutte da vedere. Chi ha pudore le nasconde più che può. Cè chi ha uno stanzino apposta, dove tiene migliaia di cassette, con costosi apparecchi giapponesi dove i nastri girano girano girano. Dopo i maniaci sessuali, vengono in ordine i maniaci di musica registrata, di musica in scatolettata, più numerosi dei sessuali e meno nocivi, perché non escono mai dallo stanzino, avvolti nel nastro della Carmen come mummie della Diciotte1 sima Dinastia, e con faccia equivalente. La nocività comincia quando vogliono farti ascoltare i loro nastri e ammanettarti le orecchie in una cuffia E poi-ci sono i vagiti dei neonati, altra cospicua industria del nastro. Sono spediti ai nonni, agli amici, tutti devono gustare la profondità del vagito. — Hai sentito Daniela, che polmoni? — Una vera trom betta, quella Daniela! Ma dalla coglioneria del vagito all'arte della mimesi tragica si può arrivare anche adoperando lo stesso nastro. Il geniale Samuel ha fiutato subito l'occasione di (are del tragico col più banale del banale, e nel 1958 ha inventato e messo in circolazione L'ultimo nastro di Krapp, l'uomo che ascolta la propria regi strazione di quando compiva trentanovc anni: «Celebrata l'orrenda ricorrenza...» e dal l'ombra emergono, dietro a Krapp, le Voci del terzo capi tolo di Giobbe, del ventesimo di Geremia. Nel giorno del suo compleanno, Krapp aveva mangiato tre banane, si' era ubriacato, aveva ricordato altre maniacali registrazioni... Sudo freddo. Non ho mai registrato diari di compleanni né pezzi di biografia, però nastri con la mia voce ne ho fatti anch'io circolare (il registratore ha acato il bisogno) e poi ci sono le regi strazioni d'ufficio, quelle RAI e di altre radio, avrò ormai alle spalle un bel numero di bobi ne! E più il tempo passa più s'inaspcrisce il vacuo delle parole e si comprende quanto poche siano state, nella vita, quelle veramente degne di essere profferite (dei no decisivi e decisi, aedo siano il nostro meglio, e questi nessun nastro ce li ha rapinati, restano momenti puri, i no al mondo sono dei sì a Dio). Ma che cosa sarà la pancia della RAI, un immane intesti no di bobine, di immagini sonore, di rumori di boati, con incessanti lampeggi di fotocopiatrici che documentano l'in visceramento delle bobine, costo dei nastri, l'invio delle fatture e dei questionati.., «Ci restituisca la fotocopia debitamente controfirmata». Slarvano minacce: «...esente da IVA Sotto la Sua Responsabilità». Il Calcolatore sa tutto delle bobine contenute nella enorme pancia della balena RAI e a richiesta te ne manda l'elenco parziale o completo in milioni di fotocopie; ma nelle case affluiscono anche i plotoni di vi deocassette, con tutto Chaplin i Kamasutra, le Ccntroventi Giornate di Sodoma, i vagiti di Daniela più la sua faccia di superiore neonata, a coleri, i funerali di Berlinguer, i viaggi postolici, Parsifal a Bayreuth, la faccia di Krapp... Il terzo materiale gonfiarne il più diffuso e potente. Ne accenno appena, per non gonfiare, troppo questo già iper4j gonfio articola La frase che lo annuncia è: «Glielo metto in una busta». Tutto l'universo abitato è ormai uno sterminato metterlo in una busta. Ma solo in' Italia ha tra i parlanti avuto il sopravvento questa balorda, scema, idioti ssima, romaneggiante parola: busta per sacchetto, recipiente, sacchetto di nailon, contenitore di plastica.. Non so che cosa sia più ignobile: l'improprietà linguistica o l'oggetto che ti appioppano... Linguisti! Gridate! Dite qualcosa! Ci sono commercianti che non conoscono neppure più la parola sacchetto. Per loro non ci sono che bustel Mai hanno visto, ricevuto, scritto una LETTERA, foglio ripiegato e messo in una BUSTA, propriamente detta! Per loro c'è la busta da pane, la busta da cai zoni, la busta da carta igienica, la busta (di plastica) per oggetti (di plastica). I compranti con giubilo accolgono l'offerta: — Sì sì, me lo metta in una busta! — C'è timore, a-volte, che il peso rompa la busta: allora un secondo sacchetto accoglierà il sacchetto, e dentro ci saranno tre o quattro o dieci buste, perché ogni cosa comprata deve avere la sua, e tutte le buste la casalinga le conserva, in vista di> svendita futura di tutto l'arredo, di traslochi, di valige, di vacanze, di regali. Ho notato che i più filimi nei sono i famacisti. Non sanno fare più niente, si laureano in mcttinbustologia e in pinzaturologia veloce. Pinzano e mettono in buste (neanche loro conoscono il sacchetto), tutti usciamo di là con quella cosa bianca ciondolante riempita di scatole di supposte che' il foglietto raccomanda dì non ingerire alla leggera, con la prcsaizione e la ricevuta fiscale, il dépliant delle cinture antireumatiche, la foto dell'Anticellulite cara Venere, i biscotti alla crusca per divertire la diverticolite, l'Assorbente della Nonna, il cotone della giovinezza, lo strumento glorioso dell'Amore Sicuro... Una busta, anche quello... (Esco. Vado a farmi fare, di questo articolo, una fotocopia). Guido Ceronetti

Persone citate: Berlinguer, Chaplin, Giobbe, Parsifal, Seba

Luoghi citati: Italia