Il verde e il rosso

Il verde e il rosso FOGLI DI BLOC-NOTES; ESULI ANTIFASCISTI Il verde e il rosso J L Risorgimento fu di casa fra i primi cospiratori del' l'antifascismo laico: nei simboli, nelle illusioni, perfino nei richiami. Tarchiani mi raccontò una volta che, quando si decise la fondazione del movimento rosselliano nella casa di Carlo a Parigi, a fine '29, il comandante Rossetti — che era un repubblicano, affondatore della Viribus Unità — mormorava con commossa cadenza versi anche romantici del Carducci, che terminavano appunto con le magiche parole «Giustizia e libertà». E la scelta, per il movimento, fu immediata. Tredici anni dopo, Mario Vinciguerra — uno spirito in tutto risorgimentale, anche nel candore — indicava il nome di «partito d'azione» per gli eredi di Giustizia e liberti Un'etichetta che comprendeva un po' di Mazzini e un po' di Garibaldi e non mancava perfino di un richiamo ambiguo a una suggestione attivistica; ma che prevalse, per quella lontana eredità, sulla formula tanto più lapidaria di Ugo La Malfa. Che nasceva dal New Deal, da tante cose. «Partito democratico italiano». . A ZIONE repubblicana socialista». E' una sigla per tanti aspetti misteriosa, che la polizia fascista faceva fatica a decifrare. Una volta la definiva «alleanza»; una volta «aggregamento». Ma era invece una progenitrice ditetta dell'azionismo: proprio per quel richiamo, tutto mazziniano, all'azione. Inventore e artefice: Fernando Schiavetti. Un nome che oggi ricordano in pochi Ebreo livornese, tutto educato al culto di Mazzini, ma di un Mazzini mescolato con Sorci temperato dal clima della Normale di Pisa. Fondatore nel 19U (poco più che ventenne) di un «Circolo repubblicano-socialista» fra i giovani dell'ateneo pisano. Collocato . nella, sinistra del pri, contro i repubblicani che sedevano, ministri compiaciuti dell'uniti nazionale, nei governi della prima guerra mondiale; segretario, dall'aprile 1920, di una generazione che si richiamava a Ghislcri, con una vena di radicale opposizione allo Stato monarchico, e una punta, in proprio, filosocialista, che lo portava a considerare il repubblicanesimo come «una variante autonoma e originale del pensiero socialista». Più sopportato che amato nel suo partito, lasciò la segreteria alla vigilia del 28 ottobre: nelle zone storiche c'era la frana verso il fascismo, la «secessione» romagnola. Ma Schiavetti contribuì a bloccarla, assumendo la direzione della Voce repubblicana, fondata agli inizi del 1921 da Giovanni Conti. E la Voce diventò l'anima del partito e lo preparò alle future battaglie come l'Aventino e dopo. POSO gli occhi su un titolo singolare: // verde t il rosso. Per ora su un fascio di bozze, fra pochi mesi su un libro. Della mia collana «Quaderni di storia»: la ricostruzione della vita di Schiavetti e «degli antifascisti in esilio fra repubblicanesimo e socialismo». Autori: Marina Tesoro e Elisa Signori, educate alla scuola pavese di Arturo Colombo. Mirabile l'introduzione, commossa, autobiografica, in qualche punto accorata, di Aldo Garosa. In copertina Schiavetti e Rosselli — che non si amarono mai troppo — a Chambéty nel '32 in occasione di uno dei congressi della lega per i diritti dell'uomo, animata dall'instancabile fede di Luigi Campolonghi. Nel retro la «dichiarazione di idee» dell'Ars. Che annuncia, nell'aprile '25, la rottura col partito repubblicano, la «separazione definitiva» dal vecchio tronco. E identifica la «lotta contro il fascismo» nella «lotta contro il capitalismo». Sostituendo, al socialismo liberale, il socialismo repubblicano. «Essere repubblicani vuol dire, dal punto di vista umanistico, es- sere socialisti». A dispetto della dicotomia fra Marx e Mazzini, faticosamente e un po' artificiosamente ricomposta. L primo e unico convegno dell'Ars si svolse, un anno dopo la fondazione a Parigi, al Cafi des deux Hhmspbères 12 e 13 aprile 1936. In tutto: Quattordici membri. E quando dopo un lungo, estenuante negoziato — in cui centrale era stato il ruolo di Lussu, uomo capace di ogni slancio ma incapace di ogni mediazione — giunse alla confluenza in Giustizia e liberti, fu annotato che la forza del movimento era di quaranta iscritti. L'anno successivo, 1938, Giustizia e liberta raggruppava in tutto 140 componenti. Sono cifre insieme malinconiche e illuminanti. Le minoranze antifasciste del ventennio fra le due guerre non superarono di troppo le minoranze risorgimentali: decine di persone, terribili drammi individuali, illimitata capaciti di sacrificio e di abnegazione. Pochi controlli e quindi capacità di infiltrazione degli arnesi di polizia efficacemente mascherati. Proprio come nel Risorgimento. Mazzini ne sapeva qualcosa. IL quadro non è troppo diverso se ci si riferisce alle forze politiche tradizionali, ai partiti. I repubblicani sono uno dei pochi partiti nazionali che continuano a tenere i loro congressi all'estero (c'erano abituati già con la monarchia: l'avevano fatto a Lugano nel 1899). Votano gli italiani residenti in Francia (sono 808 mila nel '31), in Belgio, in Svizzera, più le fiorenti comunità italiane dell'Argentina e del Brasile tanto venate dalla presenza mazziniana. Più gli emigrati politici dell'edera, tutti tesserati. Apro la bellissima pubblicazione, uscita in questi giorni dall'Ecole francese di Roma, Les italiens en Frana de 1914 'tìff&^Jffti di F!oO|^l{ Nel 1930.gli iscritti il pri risultano, in tutta la Francia, idi 600 a 800 (e certo sono un lembo dei ventimila iscritti del partito, che ancora nel '24 aveva raccolto quasi 140 mila voti, pur con la legge Acerbo e le intimidazioni fasciste, sette deputati). Ma se 800 sono i repubblicani, 2000 sono i socialisti, da 5 mila a 10 mila i comunisti, da 2000 a 2500 gli iscritti alla Lega dei diritti dell'uomo, che erano tutti un po', insieme, e repubblicani e socialisti. Mascherati da fini educativi e laicamente «missionari». Aproposito. Sempre ottimi i rapporti fra Pettini e Schiavetti. E si capisce. Entrambi bastian contrari. Entrambi controcorrente. Entrambi indipendenti dagli apparati dei loro partiti. Un repubblicano vicino ai socialisti; un socialista sempre di animo repubblicano e mazziniano. Anni fa ne pubblicai, sulla Nuova Antologia, le lettere. Per il periodo in cui Pettini era fuoruscito dal 1927 al 1929. Scambi di idee, scambi di propositi, scambi di giornali. E incontri, come ai tempi della «Giovine Italia», a Marsiglia. Con qualche delusione e amarezza da parte di Pettini: che non si sente sufficientemente difeso dall'amico quando la polizia francese lo arresta a Nizza il 7 ottobre 1928. E si sa come reagisca Pettini, in questi casi. L, OCCHIO mi cade su ! una lettera ancora inedita di Carlo Rosselli, del 20 settembre Ì935, indirizzata a Schiavetti e non compresa in questo volume. Dieci anni dopo il grande nemico è ancora l'Aventino. «Gd che più urta è che si è riformata in pieno la mentalità aventiniano. G si preoccupa della successione assai più che dell'azione». Penso a De Gasperi che in quegli stessi anni diceva ai suoi: «Non ripetete l'errore di Meda. Dobbiamo essere pronti alla successione». SCHIAVETTI era un professore di scuola media (a Zurigo insegnò sempre), un educatore di stampo ancora pascoliano-socialista. E fra le critiche ingiuste che egli muoveva a Orlo Rosselli c'era quella della fedeltà al metodo borghese di vita mantenuto anche in esilio grazie agli aiuti della famiglia e dell'Italia. Contro un certo popolarismo rorrràhU^«.,', ' "»m .13.» ni rì/f .m-.-o ;r;- >r'~.c (K ... .Ortica,, riP«P..irujjusft, Pju si. approfondisce- la storia dell'emigrazione antifascista e più la figura di Carlo Rosselli appare dominante, senza neanche un termine di confronto. Per il salto assoluto di qualità. Per il lampo inconfondibile di ori ginalità. Fu colui che pensò più in grande e soprattutto fu l'unico che pensò al dopodomani. Oltre l'Italia desolata dei suoi anni. Giovanni Spadolini