Il superyen non spaventa Tokyo di Renata Pisu

Il superyen non spaventa Tokyo L'export è diminuito, ma il surplus commerciale è di 8 milioni di dollari il mese Il superyen non spaventa Tokyo Le imprese hanno già adottato contromisure per migliorare l'efficienza - Molte lavorazioni sono state trasferite all'estero - Con la moneta forte il Giappone sta diventando una potenza finanziaria DAL NOSTRO CORRISPONDENTE TOKYO — I profitti e le vendite della Toyota, il gigante giapponese dell'auto, sono diminuiti per la prima volta in.tredici anni. Lo ha annunciato la settimana scorsa il presidente Shojlro Toyoda con la solita nota di recriminazione per la ben nota causa dalla quale dipenderebbero tutti gli attuali guai del Sol Levante, cioè lo yen forte, troppo forte rispetto al dollaro, con un rapporto di cambio che non si riesce a stabilizzare. L'anno scorso si era tenuto in media sui 153 yen per dollaro, contro i 201 dell'anno prima, mentre solo nel settembre del 1985, prima del famigerato accordo del Plaza a New York, si era a 250 e, oggi come oggi siamo già a 140. Che fare? La Honda, anche lei in relative difficoltà come d'altronde la Nissan, pare che si stia «riaggiustando», senza troppa fatica, per un rapporto di 120 yen a dollaro. Segno che prima le andava proprio bene. «Oltre questo limite sarà la catastrofe totale; dicono pubblicamente funzionari del governo e rappresentanti del mondo del grosso business, che hanno già pianto sulle sorti delle piccole e medie imprese operanti in settori diversi da quello dell'auto e dell'elettronica per le quali lo yen forte è stato la mannaia del boia perché non hanno retto alla concorrenza di Taiwan o della Corea Auto e elettronica, che assieme costituiscono il 70 per cento del' totale dell'export giapponese, invece finora hanno retto ma, sostengono queste Cassandre, la sventura si abbatterà presto anche su di loro. Cosi oggi in un Paese che vanta un surplus commerciale di cento miliardi di dollari e che dovrebbe consumare di più, si agita lo spauracchio della recessione e imperversa lo slogan: « Rafforziamoci per difenderci dalla minaccia dello yen alto!*. Come? Ecco due esempi: la Toyota Auto per tutta l'estate,' fino al primo di settembre, ha imposto sabato e domenica come giornate lavorative chiudendo gli impianti giovedì e venerdì. In questo modo ha realizzato un risparmio di 500 milioni di yen in quanto l'azienda elettrica, per il perìodo del grande caldo, offre tariffe ridotte per il consumo energetico industriale nei giorni festivi. B secondo esempio è questo: mi spiega il direttore di una delle maggiori banche di Tokyo che «quest'estate la nostra risposta alla recessione è stata spegnere l'aria condizionata negli uffici alle cinque del pomeriggio*. Con il caldo di Tokyo è un bel sacrificio. Bravi. •Macché bravi, idioti. E' una misura di austerità che non ha senso. Dobbiamo o non dobbiamo aumentare la domanda interna per ridurre il surplus commerciale? Se spegniamo i condizionatori alle cinque il Giappone importa meno petrolio e il surplus commer¬ ciale aumenta: Sono sempre più frequenti le critiche e le lamentele contro questo spirito da samurai eroici Nota un economista, Masahiko Ishizuka, che è un'assurdità far coincidere l'abilità nazionale a contrastare gli effetti dello yen forte unicamente con 1 sacrifici degli individui i quali non hanno finora goduto neanche di un minimo del benefici derivanti dall'aumento del valore della valuta nazionale che pure dovrebbero esserci. «Se si continua di questo passo va a finire che diventiamo gli schiavi del mondo intero — commenta Ironicamente il direttore di banca costretto alla sauna In ufficio, con giacca e cravatta —; perché mai dobbiamo continuare a rifornire il mondo di merci prodotte a costo di simili sacrifici?: Ola, perché? Ma cerchiamo di vedere se c'è davvero il pericolo di una recessione dovuta allo yen forte. Anche qui le opinioni divergono; certo, nel 1986 un centinaio di piccole e medie aziende sono fallite ma nel 1985, prima della rivalutazione dello yen, ne erano fallite molte di più. Insomma, secondo l'opinione di molti economisti si è trattato di casi di «morte naturale., non di stangate da yen forte. La disoccupazione nel 1986 è leggermente aumentata, rasentando 11 3 per cento, ma oramai la situazione è migliorata, ir. agosto si è già scesi al 2,7 per cento. La ripresa, se mai recessione ci è stata, è comunque in atto, come dimostrano tutti gli indicatori economici dell'ultimo trimestre, e il surplus commerciale con l'estero è come sempre da capogiro, dai 7 agli 8 milioni di dollari al mese, anche se 11 volume delle esportazioni è diminuito. Inoltre, grazie allo yen forte, i giapponesi hanno per la prima volta un incentivo economico immediato per espandere i loro interessi al¬ l'estero. «La nuova strategia per le esportazioni è produrre direttamente sul posto*. spiega l'economista Minoro Kobayashl che prevede entro tre anni il trasferimento all'estero del 9 per cento della produzione giapponese. Ed è ovvio che con lo yen cosi alto qualsiasi mano d'opera, anche quella nordamericana, è a buon mercato: gli operai della fabbrica Sony di San Diego in California costano oggi il 15 per cento in meno di quelli giapponesi, solo per una questione valutaria. Cosi nonostante le lamentele, ha provocato uno shock emotivo la perdita di profitti annunciata dalla Toyota anche se, niente paura, In luglio l'esportazione di autoveicoli è aumentata del 10 per cento rispetto a giugno, 558.887 veicoli giapponesi in giro per 11 mondo; c'è chi sotto sotto è convinto che lo yen forte si stia rivelando una benedizione, altro che una catastrofe. All'interno si ha l'impressione che se ne enfatizzi a bella posta il danno immediato, con lo scopo di instaurare un clima di austerity e dedizione al lavoro per contrastare la tendenza al «lassismo» che avrebbe contaminato le nuove generazioni. Internazionalmente, e in tempi non tanto lunghi, è inoltre supponibile che, proprio grazie allo yen forte come catalizzatore, 11 Giappone riesca a superare gli Stati Uniti divenendo il motore economico mondiale dominante. Già ha muscoli finanziari che si fanno sempre più vigorosi già è sommerso da un'ondata di soldi e si sta comprando mezzo mondo. No, non farà la guerra, non ne ha bisogno. «Con lo yen forte Pearl Harbour questa volta ce la compriamo' è il titolo paradossale, ma mica poi tanto, di un articolo apparso il mese scorso su una rivista giapponese non più «revahschista» delle altre. Renata Pisu La presenza giapponese in Europa Numero di Impianti produttivi (1986) J|Hh _ Belgio 13 Olanda 17 Gran Bretagna 459

Persone citate: Masahiko Ishizuka, Minoro Kobayashl, Toyoda