«Einaudi, bilanci falsi per salvare l'azienda» di Claudio Giacchino
«Einaudi, bilami falsi per salvare l'azienda» Depositata la sentenza contro l'editore «Einaudi, bilami falsi per salvare l'azienda» «Una decisione degna di rispetto» - Perché non ci fu bancarotta TORINO — Perché Giulie Einaudi è stato condannato per falso in bilancio e assolto dall'accusa di bancarotta. I giudici della quinta sezione del tribunale penale di Torino che nel maggio scorso hanno processato l'editore ed 1 suoi piti stretti collaboratori Io spiegano nelle 102 pagine, depositate ieri in cancelleria, in cui è ripercorsa la storia del procedimento e sono contenute le motivazioni della sentenza. n presidente Pettenati l'aveva pronunciata in aula il 1" giugno: 2 anni di carcere a Einaudi; 14 mesi all'ex direttore generale della casa editrice dello Struzzo, Filippo Santoni De Slo; 10 mesi all'ex direttore amministrativo Osvaldo Paglietti. A tutti, riconosciuti responsabili del falsi contenuti nel bilanci dell'editrice nel quinquennio '76-'8l, erano state concesse le attenuanti generiche e la sospensione condizionale della pena. Einaudi (era difeso dagli avv. Chiusano e Zanalda), De Slo (aw. Gianaria) e Paglietti (avv. Glordanengo e Piccato) Invece, erano stati assolti con formula piena dall'imputazione di banca¬ rotta per distrazione. I giudici scrivono nelle motivazioni: mOiulio Einaudi, Filippo Santoni De Sto e Osvaldo Paglietti collaborarono In modo effettivo, permanente e concorde alle alterazioni dei bilanci e degli altri documenti rilevanti concernenti la conduzione economico-patrimoniale della casa editrice. Tale illecita collaborazione non potrebbe essere descritta meglio che dalla confessione resa in istruttoria dal Paglietti — "Erano apportate modifiche di tipo 'ottimistico', cioè comprimenti le perdite di gestione" —, confessione confermata anche dal De Sia». I falsi, secondo il tribunale, furono commessi per tentare di salvare la prestigiosa fabbrica di cultura di via Biancamano. Verso questi tentativi il presidente Pettenati e 1 giudici a latere Vitiello e Ferrante mostrano comprensione: «Non in termini giuridici ed economici, ma umani e ideali, era degna di rispetto la decisione degli accusati di non volersi rassegnare alla difficile realtà dell'insolvenza che s'era fatta irrimediabile. Le atte¬ nuanti vanno quindi riconosciute agli imputati. Per Einaudi, però, le attenuanti, sebbene fondate sul riconoscimento delle grandi doti intellettuali e morali dell'editore, debbono essere dichiarate solo equivalenti, e non prevalenti, per via delle gravi responsabilità assunte dall'accusato nell'ideate e motivare i falsi». La bancarotta era stata contestata a Einaudi, De Slo e Paglietti per la cessione, da parte della casa dello Struzzo, di volumi per 350 milioni alla Libreria internazionale di Milano (Lim) dell'Aldovrandi. Per l'accusa, un depauperamento cosciente (di qui la bancarotta per distrazione) del beni dell'editrice perché Einaudi e soci sapevano che mai la Lim sarebbe stata in grado di pagare quei libri. Per 1 giudici, invece, l'imputazione è infondata perché «ira l'Einaudi e la Libreria milanese c'è un nesso profondo. L'editore trattava la Lim come un proprio operatore culturale di prestigio su Milano e sarebbe stato insensato quindi metterla in ginocchio esigendo i 350 milioni». Claudio Giacchino
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