Berlioz e il Requiem spaziale di Massimo Mila

Berlioz e il Requiem spaziale TORINO: ECCEZIONALE ESECUZIONE NEL CORTILE DI PALAZZO REALE Berlioz e il Requiem spaziale TORINO — Un evento eccezionale l'esecuzione del Requiem ài Berlioz nel cortile di Palazzo Reale, davanti a una folla eccezionale: duemila seggiole comodamente disposte nel parcheggio lasciavano ancora libera una grandissima fetta del cortile, dove il pubblico si accalcava in piedi (e meravigliosamente attento e silenzioso) fino alla cancellata del Palagi. Sicché si può calcolare la presenza dì quasi diecimila persone; quel ch'è giusto, per una composizione che prevede l'impiego di circa cinquecento esecutori. Olova a questa enorme concezione musicale l'aria aperta (sebbene non fosse prevista, la prima esecuzione ebbe luogo, un secolo e mezzo fa nel tempio degli Invalides). Si parla sempre, con tono un po' scandalizzato, del gigantismo di questa composizione, e spesso critici e musicologi si danno da fare per sottolineare la presenza, innegabile, di momenti di raccolta e intima poesia, quasi a scusare l'intemperanza fonica del compositore (che 1 caricaturisti mostravano spesso intento a dirigere un'orchestra di cannoni). Ma la Grande Messe des morts non ha bisogno di palliativi prudenziali. La natura militaresca del suo intento specifico ne determinava 11 carattere marziale. Alla specifica destinazione (prima in memoria d'un generale morto nell'attentato di Fieschi a Luigi Filippo, poi, con improvvisa sostituzione, in memoria d'altro generale provvidenzialmente morto nella presa di Costantana), una vasta cospirazione storica si addensava alle spalle di questa celebrazione: la Francia era uscita apparentemente, dalla Rivoluzione e dalle guerre napoleoniche; la Grande Messe des morts è la tipica celebrazione dei caduti di tutte le guerre, del Francesi morti durante i trent'anni burrascosi che parevano finiti. Non un Requiem individuale per Tizio. Caio o Sempronio, ma una celebrazione su plano nazionale. Di qui l'entusiasmo di Berlioz per una grandiosità senza pari della concezione. Di qui l'accanimento con cui gli amici suol altolocati si batterono presso il governo perché a lui fosse affidato l'incarico, e non al vecchio Cherubini, fornitore inesauribile di Messe funebri e retrivo direttore del Conservatorio parigino. Doveva esse¬ re la jeune France a celebrare i propri morti, e non l'ancien regime camuffato nella monarchia costituzionale. Sotto la battaglia artistica si celava un conflitto politico. Ma tutto questo non servirebbe a nulla per giustificare sul piano artistico la grandiosità della concezione di Beriloz. Non si tratta soltanto di gigantismo, di tremende stamburate di timpani e di grancassa, di fanfare dislocate ai quattro punti cardinali fuori dell'orchestra nel Tuba mlrum. Tutto ciò non faceva che venire incontro, quasi per un disegno provvidenziale, a una dote di Beriloz, che era l'intuizione dello spazio e della possibilità di trasferirvi dentro la musica non meno che nella tradizionale dimensione della durata Beriloz ne aveva già dato prova, con la sola orchestra, nel primo tempo di Araldo in Italia, dove i suoni sinfonici evocano un leonardesco sen¬ so dell'atmosfera nelle lontananze dei monti. Il Requiem è apertamente concepito in questo senso. La dislocazione delle fonti sonore su grandissimi spazi diventa un elemento determinante della composizione. Il Requiem è scritto secondo un sistema di contrappunto elementare e non scolastico (il famigerato Trattato di Cherubini era di un anno prima): un contrappunto che si potrebbe chiamare della ripetizione, o magari dell'eco. Brevi frasi melodiche semplicemente riprese da una ad altra delle parti. Quando questo avviene in uno spazio delimitato, sotto una cupola di chiesa può nascerne un gran pasticcio. Tutto acquista significato quando le parti che propongono e quelle che riprendono queste frasi distano fra di loro una cinquantina di metri (com'era il caso l'altra sera nella disposizione dei cori e dell'orchestra davanti alla facciata di Palazzo Reale). Il meccanismo della Luft-Musik, della musica spaziale, che i nostri compositori contemporanei vanno ansiosamente saggiando coi mezzi elettronici, funziona in Beriloz spontaneamente. Di qui la vita indistruttibile di questa partitura, che in fondo non brilla poi per invenzioni tematiche sopraffine (e qualche volta si giova di reminiscenze vivificanti del disprezzato Rossini). Si può immaginare quale impegno sia la realizzazione di queste macchinose condlI zioni esecutive. Bene, è riu¬ scita nel migliore dei modi, in un ambiente che non si potrebbe desiderare più adatto e suggestivo, grazie al concorso di forze musicali internazionali. Alla grande Orchestra Filarmonica di Mosca si associavano le fanfare di fiati del francese Ensemble Guy Tournon, dislocate al lati del cortile. L'immensa massa corale era fornita dal Coro Accademico «Ivan Qoran Kuvacic» di Zagabria (maestro Sasa Britvic) e dal coro «Jeka Primorja. di Rijeka (ossia di Fiume), direttore Dusan Braselij. Probabilmente americano, oggi attivo a Vienna, a Salisburgo e a Monaco, il tenore Thomas Moser, che ha cantato con buona voce e con proprietà di stile il solo del Sanctus. Tutte queste forze dominate e condotte dalla strategia direttoriale di Dmltrij Kitaev, direttore della Filarmonica di Mosca, che ha il gesto ampio e vigoroso richiesto per un simile cimento. L'orchestra è ottima e 1 cori pure. L'aria aperta produce strane conseguenze sugli archi, spegnendo violini e viole ed esaltando celli e contrabbassi, il che non è nemmeno male per certi aspetti truculenti dell'ispira' zione berlloziana. Il compositore sarebbe stato contento d'un'esecuzlone cosi grandiosa, e forse gli sarebbe piaciuto che venisse dalla Russia, unico Paese europeo che avesse creduto in lui e se ne fosse fatto un caposcuola Massimo Mila Hector Berlioz in un celebre ritratto