Ciad, Gheddafi lancia la sfida a Parigi di Enrico Singer

Ciad, Gheddafi lancia la sfida a Parigi La guerra si aggrava: raid libico su N'Djamena, un aereo è abbattuto da un missile del contingente francese Ciad, Gheddafi lancia la sfida a Parigi Bersàglio dell'attacco era la residenza di Habré - H ministro degli Esteri Raimond: non verremo meno ai nostri impegni Una minaccia da Tripoli: abbandonate la capitale, colpiremo ancora - Per il Colonnello un pesante bilancio di sconfitte DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PARIGI — un cacciabombardiere Ubico abbattuto ièri mattina nel cielo di N'Djamena, la capitale dèi Ciad, difesa dal missili del corpo di spedizione francese. Una base aerea delle truppe di Oheddaf 1 nel deserto del Sahara, cento chilometri all'interno del confini della Libia, attaccata e semldlstrutta dal soldati ciadiani sabato scorso nella prima incursione mai compiuta al di la della /tucia di Aouzou. Ih menò di 72 ore la guerra del Ciad ha cambiato volto. Da conflitto incancrenito — sono vent'anni che si combatte in questo crocevia dell'Africa centro-occidentale dietro lo schermo di Incerte lotte di liberazione — a scontro aperto, e diretto, tra Stati. Con un esito che tutti gli strateghi, anche quelli di Parigi, consideravano impossibile: un altro schiaffo alla «guida» di Tripoli, alla temuta • volpe del deserto' umiliata, almeno per ora, su tutti i fronti. Persa l'alleanza della guerriglia antigovernativa passata nella sua maggioranza nel campo del presidente ciadiano Hissène Habré all'Inizio dell'anno, Oheddafl era stato già scacciato dal Nord del Ciad. Adesso ha subito una sconfitta nel suo territorio ed anche nel campo in cui le centinaia di aerei ricevuti da Mosca — 1 Mig, i Tupolev e gli Antonov — gli assicuravano, sulla carta, una schiacciante supremazia. Certo, una volpe ferita può essere più pericolosa, sicuramente è più rabbiosa, dicono i francesi che lanciano 1 loro missili per difendere gli alleati ciadiani, ma che vogliono apparire ad ogni costo prudenti. E nemmeno N'Djamena, Inebriata dalle vittorie, si illude di una rapida fine della guerra. Semmai il rischio è quello opposto: una scalata militare con prospettive, queste sì, oggi imprevedibili. Perché tanto sul campo di battaglia quanto su quello politico i protagonisti si sono immersi in una partita a domino nella quale la caduta di ogni piccola pedina mette ormai in pericolo pedine-chiave. E' quanto sta accadendo nel deserto del Sahara. Qui l'esercito di Hissène Habré ha riscoperto la secolare strategia del reastou, la scorreria dei predoni nomadi nelle oasi delle tribù nemiche: colpire, distruggere, catturare bottino e prigionieri, poi ritirarsi lasciando terra bruciata. Al posto dei dromedari, adesso, ci sono le veloci camionette Toyota, al posto delle scimitarre ci sono i missili Mi fan forniti dal francesi, ma il risultato è lo stesso. E a comandare l'assalto dell'ultimo rezzou contro la base Ubica di Maaten-es-Sarra, sabato scorso, è stato proprio il teorico di questi blitz all'africana: Hassan Djamous che, a 31 anni, si ritrova capo di stato maggiore delle forze armate del Ciad. L'uomo che in otto mesi ha realizzato la riconquista del Nord del Paese — occu pato di fatto dai libici per quattordici anni — sostiene che l'incursione compiuta in territorio libico è stata un'-oa-ione di difesa». E, nell'ottica ciadiana, è vero. Colpire le quattro basi aeree dalle quali l'aviazione di Oheddafl replica ai successi dell'esercito di N'Djamena nel deserto è un obiettivo vitale. Il Ciad non ha una sua forza aerea. La copertura delle città del Sud, compresa la capitale, è assicurata dalla Francia che nell'83, dopo altri interventi più limitati, ha inviato nell'ex colonia duemila soldati, squadriglie di caccia Mirage e di cacciabombardieri Jaguar, batterie di missili terra-aria Crotale. Ma la copertura francese, per restare entro l'argine di¬ fensivo imposto da Mitterrand all'operazione-Sparviero (questo è il nome in codice dell'intervento di Parigi), si ferma al di sotto del 16° parallelo, la «linea rossa* che divideva in due il Ciad fino ai primi mesi dell'87. Una posizione che la Francia mantiene anche oggi, nonostante il 16° parallelo abbia perso quella caratteristica di demarcazione quasi tra due Paesi e tra due governi: quello del Nord che era tenuto dal guerriglieri di Gouktcouni Oueddei — sostenuto dalla Libia — e quello del Sud di Hissène Habré appoggiato dai francesi. E' dall'operazione-riconquista completata quest'estate che la guerra è entrata in una fase nuova. L'8 agosto i libici avevano perso anche la fascia di Aoueou, una striscia di deserto ricca di fosfati e di uranio che Gheddafi considera sua intoccabile proprietà, una parte irrinunciabile della jamahiria libica. Era stata l'umiliazione più bruciante. Non solo il crollo dell'alleanza con i guerriglieri di Goukkouni aveva allontanato — se non demolito — il sogno di aprire un ^varco arabo- nell'Africa nera attraverso il Ciad, ma per la prima volta era stato minacciato un interesse che Tripoli ritiene acquisito. La Libia è riuscita a riconquistare la contestata fascia di Aoueou alla fine di agosto, proprio alla vigilia della fe¬ sta della Rivoluzione. E per l'Immagine di Oheddafl è stato un soffio di ossigeno. Ma già quelle operazioni all'estremo Nord del Ciad avevano assunto 1 contorni di una guerra diretta: da una parte i libici, dall'altra 1 ciadiani. Da una parte un esercito invasore, dall'altra un Paese che si batte per ricomporre un'unità nazionale che, dall'Indipendenza del 1960, non era mai stata effettiva. Per di più Oheddafl non si è fermato alla riconquista di Aouzou: la sua aviazione ha ripreso gli attacchi contro le oasi di Ounianga-Keblr e di Ouadi Doum, i simboli della disfatta libica dell'estate. La vendetta della -volpe del deserto- si è trasformata, però, in un nuovo smacco. Sabato, una colonna di carri libici che puntava su Ounianga-Kebir è stata bloccata dalla mobilissima e micidiale task-force del generale ciadiano Djamous. E' stata costretta a ripiegare. E' stata inseguita fin dentro i confini libici, fino a Maaten-es8arra che — con Aouzou, Koufra e Sebah — è una delle quattro basi aeree diventate le retrovie del tentativo di controffensiva di Gheddafi. Il primo reeeou nel deserto del Sahara dal versante libico è riuscito. I duemila guerrieri di Djamous hanno distrutto elicotteri e aeroplani, decimato i pesanti carri armati sovietici Una nuova sconfitta, seguita da una nuova rappresaglia. Quella di ieri mattina. Lanciata con i Tupolev22, i cacciabombardieri bireattori russi che sono il gioiello dell'aviazione libica. L'obiettivo, questa volta, non erano più le oasi del Ciad settentrionale, ma la capitale N'Djamena e la città di Abéché, verso il confine con il Sudan. Secondo gli esperti militari francesi, i due Tupolev che si sono presentati poco dopo l'alba su N'Djamena avevano un bersaglio fuori dal comune: il palazzo presidenziale di Hissène Habré. Almeno è su quella traiettoria che sono stati intercettati dal sistema antiaereo del dispositivo Sparviero. E gli artiglieri francesi non hanno esitato. Uno dei due cacciabombardieri è stato abbattuto, l'altro è stato costretto a fuggire senza 11 tempo di scaricare le sue bombe. Contro i Tupolev sono stati lanciati dei missili di fabbricazione americana, gli Hawks, che sono da dieci anni negli arsenali àeU'Armee francese e che, da un anno, hanno affiancato i razzi terra-aria Crotale nella difesa della capitale ciadiana. L'Incursione contro la città di Abéché è, invece, riuscita ai libici: un solo Tupolev-22 ha sganciato cinque bombe sull'abitato uccidendo due persone e provocando gravi danni materiali. Ma il bilancio complessivo della rappresaglia aerea è di nuovo negativo per Gheddafi. Alla perdita di un cacciabombardiere (e del suo pilota ucciso nell'esplosione dell'aereo) si aggiunge la prova dell'efficacia dell'ombrello militare offerto dai francesi a Hissène Habré. Una dimostrazione che, al di sotto del 16° parallelo, la potenza aerea libica può anche essere una tigre di carta e che l'esercito ciadiano può continuare a concentrare i suoi sforzi nel Nord del Paese dove ha già fatto vedere di saper combattere ad armi pari con le truppe libiche. Questo, almeno, è il quadro Sul terreno. Ma in una fase cosi delicata del conflitto, in bilico sul precipizio di una estensione incontrollata, i . francesi guardano soprattutto agli sviluppi politici. Lo scenario, qui, è più complesso. Ieri il ministro degli Esteri, JeanBernard Raimond, ha dichiarato che Parigi non ha appoggiato materialmente la scorreria ciadiana in territorio libico. E che nemmeno l'approva: «Hissène Habré ha già riconquistato quasi tutto il Nord del Paese, adesso la parola deve essere ai negoziati e non alle armi-. Ma questa volontà di smorzare la tensione non significa che la Francia -verrà meno ai suoi impegni- e i missili lanciati contro i Tupolev di Gheddafi lo hanno •ampiamente dimostrato-. Fermezza e dialogo, insomma. Con una speranza segreta: che l'avventura ciadiana si sia rivelata già abbastanza catastrofica per il leader libico ,al punto di indebolirlo sul fronte interno, di farne vacillare il potere. Come proverebbe la .poca voglia di combattere- che i generali ciadiani attribuiscono ai soldati di Gheddafi dopo le ultime battaglie. Ma, per ora, da Tripoli il tono della volpe ferita è tutt'altro. Ieri sera la radio libica ha «consigliato» alla popolazione di N'Djamena di abbandonare la città perché ci saranno altre rappresaglie aeree. E una minaccia è arrivata anche alla Francia: .Quelli che mettono dell'olio sul fuoco rischiano di bruciarsi-. Nella guerra del deserto la pace sembra ancora un miraggio. Enrico Singer Un bombardiere supersonico Tupolev-22, qui con le coccarde sovietiche, uguale a quello libico abbattuto su N'Djamena (Tel. Afp)