Quei suoni di Nono che diventano luce

Quei suoni di Nono che diventano luce Al Settembre, «Diario polacco n. 2» e «A Pierre» Quei suoni di Nono che diventano luce Grande successo pei* la nuova altissima prova del compositore TORINO — Se qualcuno nutriva dei dubbi sull'effettiva grandezza artistica di Nono, oppure sulla più recente incarnazione del suo stile, quella dopo Prometeo, è difficile che questi dubbi se li sia conservati dopo il secondo concerto tenuto nell'Aula Magna della Caserma Cernala dal gruppo di valorosi interpreti e devoti collaboratori che affiancano il suo lavoro creativo nel fecondo ritiro della Strobel-Stiftung a Friburgo in Brisgovia, insieme col concorso d'alcuni eccezionali solisti strumentali. Era un concerto un po' misterioso, di due o tre pezzi recenti, non era neppure possibile capire bene quanti, dato il carattere sibillino dei titoli e la loro infelice disposizione tipografica nel programma. Il primo s'intitolava A Pierre, dell'azzurro silenzio, inquietum. a più cori: quest'ultima precisazione particolarmente enigmatica, dato che si tratta di un pezzo per due strumenti soli, un flauto in sol, profondissimo, e un clarinetto altrettanto profondo, suonati con bravura acrobatica da Roberto Fabbriciani (« inventore del moderno linguaggio dei flauti», come l'ha definito Nono) e Ciro Scarponi. Sembrava un po' un campionario di quegli effetti speciali ottenuti col sistema del live eleclronics. sul cui funzionamento Nono è larghissimo di spiegazioni, tramite la voce e gli esempi pratici dei suoi collaboratori. Poiché non abbiamo nessuna intenzione di comprarci un flauto-contrabbasso o un clarinetto-contrabbasso, e tanto meno d'imparare a suonarli, non ci siamo interessati molto all'esibizione delle loro virtù, e ammettiamo che qualcuno dei dubbi di cui sopra potesse sussistere. Ma col pezzo seguente, Quando stanno morendo. Diario polacco>.,«,. 2 (un pezzo solo o due pezzi distinti con titolo doppio e col medesimo organico), entrava in scena la voce, per di più voci femminili (due soprani e due contralti), e tutti sappiamo come questo sia il terreno di gioco preferito da Nono (che le voci maschili, e specialmente quella del tenore, le ha un po' in uggia). E qui siamo stati presi a poco a poco dal'incantesimo della materia suono. Non ce n'importava niente di sapere se fosse un pezzo o fossero due, non c'importava niente — ahimè! mea culpa — di quei poveretti che stavano morendo, non ce ne importava niente dei testi scelti con tendenzioso acume da Massimo Cacciari (tutti ungheresi e russi, salvo errore neanche un polacco): contava solo la meravigliosa e suadente magia di quel suono che si espande a poco a poco come se fosse luce, prima come una miriade di fiammelle inquiete che si accendono l'una all'altra e continuano a pulsare insieme, sopra qualche vigorosa e drammatica raschiata di violoncello. Poi tutto dilaga, la lucesuono si fa alba, poi aurora, infine giorno alto, glorioso, sublime. Non ce n'importa niente — confessiamolo — del live electronics e degli effetti speciali. Conta soltanto il risultato che se ne sa trarre, e in questo caso il risultato c'è, altissimo, e conferma l'inserzione di Nono nel firmamento dei grandi compositori del nostro tempo. Questo hanno capito e testimoniato gli ascoltatori, con gli applausi che hanno rivolto a lui e ai bravissimi esecutori: soprani Ingrid Ade-Jesemann e Monika Bair-Ibenz, contralti Susanne Otto e Monika Brustmann, violoncellista Frances-Marie Uitti, flautista Fabbriciani e clarinettista Scarponi. Tutti coordinati e regolati dalla direzione di Roberto Cecconi. Tecnici del suono Rudolf Strauss e Bernd Noli, regìa del suono di Nono e Vidolin, responsabile Hans Peter Haller. D'accordo, un'esecuzione privilegiata. Ma su questo sono tutti d'accordo. Nono, Berio, Boulez e Stockhauscn: la musica moderna o si fa cosi, o se no è meglio lasciar perdere. m. m.

Luoghi citati: Torino