Se il gigante sul Gange si desta

Se il gigante sul Gange si desta TRA PASSATO E FUTURO, NELL'INDIA A QUARANTANNI DALL'INDIPENDENZA Se il gigante sul Gange si desta L'immensa patria di 800 milioni di indiani si sta svegliando, ma una crisi d'identità la rende incerta e fragile - Rajiv Gandhi sprona a far progetti per il Duemila - Intellettuali e politici dimostrano fiducia nella nuova classe media, che ha espresso dal 'SO a oggi milioni di scienziati, tecnici, manager - Ma un terzo della popolazione è ridotto a un'estrema povertà - E l'incremento demografico (60 mila nascite il giorno) creerà tra i ceti una miscela esplosiva DAL NOSTRO INVIATO BOMBAY — Smarritomi l'altro ieri in una delle tante stradine del centro, tutu uguali nelle loro montagne d'immondizia e nella folla che s'incrocia spintonando, ho chiesto aiuto a un giovanotto che per i panni e gli atteggiamenti mostrava una incoraggiante somiglianza con lo standard europeo. E' stato molto cortese, anzi troppo: non solo ha spiegato con chiarezza l'itinerario per districarsi dal labirinto, ma mi si è anche attaccato alle costole e non mi ha più lasciato. Parlava un buon inglese, indossava una camicia decentemente bianca, senza giacca, e aveva occhiali cerchiati di ferro su una magra barba nera. Era un professore dell'università di Bombay, insegna Storia della filosofia; ha insistito gentilmente ma fermamente per accompagnarmi fino all'albergo: «In giro ci sono truffatori d'ogni specie, bisogna diffidare di tutti». Quando siamo arrivati, l'ho invitato a bere qualcosa nel bar dell'hotel. Era uno scambio formale di cortesie, però ha accettato subito, perfino con entusiasmo: •Non ci sono mai venuto, ne ho sempre sentito parlare ma non posso permettermelo». Erano le quattro e mezzo del pomeriggio. Io ho chiesto un caffè, lui ha parlottato in hindi con il cameriere. A me è arrivato il caffè, a lui hanno portato un cestino di vimini con un pollo arrosto, e tre pietanze odorose della cucina indiana, un piatto di patatine fritte, un piatto di montone cotto a spezzatino, pane, burro, un bicchiere di gin, una caraffa d'acqua. Io guardavo sorpreso il tavolo che si affollava di piatti, lui osservava soddisfatto; poi ha I cMftfiméra altro burro1:] in"^Wàféie.'«Questi peiàndrò^ ni ne approfittano: se il cliente non glie lo chiede, loro alla fine del turno se lo portano a casa». £ sorrideva, gli mancavano due denti; due buchi neri. Quest'India delle città è un altro mondo, rispetto alla vecchia India sempre uguale delle campagne. Qui la moltitudine, l'ammasso informe, angoscioso, soffocante, degli 800 milioni di indiani diventa una realtà subito concreta, un coagulo formicolante di odori, sporcizia sempre in moto, affanni disperati, fame di povere gambe ridotte a sola pelle, e la morte in un angolo di marciapiede; mentre i eoo mila villaggi dispersi nella larga geografia del continente mostrano uomini e storie, fermi in una lotta 'antica ma equilibrata con la 'n5fe_ft.£??K<-P'!_? i segni pesunti della Vito contadina assumano sempre i caratteri d'una sequenza drammatica. L'India dell'immaginario alla fine s'incontra tutta nel super Stato formato da questo scarso 20 per cento di popolazione urbanizzata, 150 milioni di gente che vive, o s'affanna a vivere, nelle strade delle città, indifferente ormai, ed estranea, agli altri 650 milioni perduti da qualche parte tra giungle, deserti, campi coltivati, e mandrie di bufali. La distoma di un millennio separa ormai le due Indie. Alto, magro, voracissimo, il professore affamato ha mangiato senza difficoltà e senza pause il suo spuntino del pomeriggio. Ha trentun anni e sei figli, c vive, ancora nella casa dei suoi . genitori: «Come quasi tutti perchè anche in città si ricrea la famiglia patriarcale e perché comunque è impossibile trovare una casa indipendente». Tv e pane Mangiava metodico e continuo, come una ruspa. Siamo stati in silenzio per tutto il suo pasto. Solo quando i piatti sono stati vuoti ha finalmente ripreso a parlare. Ha chiesto scusa per le abbondanti ordinazioni, ma si è detto sicuro che il suo ospi¬ te, essendo europeo, potesse pagarne il costo senea ambasce particolari. «Il mio stipendio è basso, e sei figli sono un carico molto pesante: mangia quando posso». Ha raccontato la vita difficile delia-nuova middle class -, indiana, stretta tra i bisogni indotti di un consumismo nascente, ma già irresistibile, e le esigenze insopprimibili dei bisogni primari. Tv e videoregistratore contro pane, riso, una camicia decente. Forse non parlava soltanto di sé, certo parlava anche dei propri guai. Intanto armeggiava sotto il tavolo, e non riuscivo a capire che cosa stesse combinando. Al tempo dell'indipendenza, quarantanni fa, il Paese era dominato da un'elite molto ristretto, educata in Europa, colta, ricca da gene¬ razioni. «Potevano essere 15 o 20 milioni al massimo, ci aveva detto qualche giorno fa a Delhi VA. Pai Panandiker, direttore del Centre far Pqlicy Research, ma oggi una nuova ampia classe media è nata dallo sviluppo economico: tra il '50 e T87 sono stati creati 14 milioni di laureati, molti milioni di scienziati e tecnici, 2 milioni di manager. Non tutti vivono nel lusso, molti di loro s'arrangiano ma sono comunque la molla più dinamica del mercato; è un 20 per cento della società indiana, In larga parte gente di citta, che si divide più del 50 per cento del prodotto nazionale». In un Paese che ha ancora un terzo abbondante della popolazione al di sotto della soglia estrema della povertà. cioè di famiglie che in un anno fra traffici e miserie non riescono a tirar su nemmeno 1000 rupie (circa centomila lire), un'industrializzazione molto concentrata, e un ritmo di sviluppo che è,stato annualmente costante attorno al 5per cento hanno aperto il mercato dei consumi a una larga borghesia, prima quasi inesistente, di burocrati, amministratori, docenti, gestori di servizi, mediatori commerciali, piccoli imprenditori, trafficanti ingegnosi di un'economia spesso semiclandestina. E le città si sono gonfiate. Questa Bombay ne è un esempio raccapricciante. Ha già 9 milioni di abitanti, ce ne saranno 17 per la fine del secolo; più del 50 per cento della sua gente vive però nelle cartonopoli di una perife¬ ria sterminata, un universo di piccole capanne di miseria fatte di cartone da imballo, di tela di sacco, di pezzi di lamiera arrugginita. Se è vero che in India oggi non si muore più di fame, e che un equilibrio, povero ma comunque reale, è stato trovato tra risorse alimentari e domanda, è però anche vero che i morti della fame si trovano oggi ancora in quest'inferno desolato delle periferie metropolitane, dove gli emigrati che arrivano ogni giorno dalla campagna hanno perduto i legami vitali con l'ambiente e diventano fantasmi ambulanti alla deriva in un habitat ostile, estraneo, violento. Senza più identità, senza la tutela dei rapporti familiari, tribali, o di casta, tentano la fortuna e muoiono, spesso senza averne nemmeno potuto sfiorare l'ombra. La miscela sociale che si combina all'ombra lontana dei grattacieli non è ancora distruttiva. La spiritualità profonda della cultura indù, che guida nell'inconscio collettivo i caratteri e i comportamenti della vita quotidiana, frena ancora l'innesco di un detonatore; i risentimenti e le tensioni vengono assorbiti in una paziente visione dei destini individuali. Ma la divisione gerarchica per caste, che è uno dei fattori primari del processo di controllo delle crisi potenziali, va perdendo di ruolo e d'importanza nella dinamica caotica e confusa della vita di città; come i valori antichi della religione, e come l'accettazione dei destini di un'esistenza che è di passaggio nel lungo corso della reincarnazione. E le città, che oggi hanno 150 milioni di abitanti, nel Duemila ne avranno 350 milioni. A quel punto, nessuno .potrà garantire un. controllo certo delle tensioni che muoveranno questa ' enorme massa Umana. Con appena quarantanni di vita alle spalle, ma già con il nuovo millennio come un traguardo quasi in mano, questo Stato nato dalla speranza e ora tentato dalla violenza misura la gravità dei problemi irrisolti con un tasso d'incremento demografico che fa 2 milioni di nuovi indiani ogni mese, 60 mila al giorno, 2500 all'ora, un bimbo che nasce quasi ogni secondo. E di fronte c'è lo spreco delle risorse umane che non possono venire utilizzate, con il 67 per cento ancora di analfabeti e con U 70 per cento dei bimbi che ancora oggi non completano nemmeno il ciclo delle elementari. Rajiv Gandhi sprona l'immaginario del suo popolo alla conquista del Duemila, ma il dualismo della nazione resta impressionante; la polarizzazione è ormai tragica. Dei 30 mila home computer usati oggi in India, 15 mila sono qui a Bombay e il resto si perde nella terra infinita di questo continente. Diceva qualche giorno fa, a Delhi, Pai Panandiker: «I segni evidenti d'instabilità in questa -ocietà sono però anche la manifestazione concreta di una evoluzione, la conferma di un processo profondo di cambiamento». La sua lettura di sociologo non esprime giudizi di valore, misura soltanto la qualità dei fenomeni che investono pesantemente questo mondo addormentato per secoli. Una ciotola «Ora il gigante si sta svegliando», mi ha detto qualcuno degli intellettuali o dei politici che ho intervistato in questo viaggio indiano; nelle parole c'era certamente fiducia e ottimismo, perché nella storia del mondo un popolo di S00 milioni di uomini è vissuto unito in uno Stato libero e indipendente. Però il forte orgoglio degli indiani non credo basti a coprire comunque le preoccupazioni che quel risveglio suscita in chiunque, per la crisi nuova d'identità che rende tanto incerto e fragile il gigante India. Il professore scroccone mi ha invitato a chiamare il maitre. «Chieda dello zucchero per il suo caffè, si faccia servire come si deve». Gli ho spiegato che lo bevo sempre amaro, e che comunque lo avevo già bevuto. Gli ho fatto vedere anche la tazza vuota. «Non importa, lo chieda: « il suo diritto. E poi, se lei non lo chiede se lo portano a casa 1 camerieri». Il cestino dello zucchero, sul nostro tavolo, era vuoto. Prima mi era sembrato pieno, ma certo mi sbagliavo. Ho chiesto dell'altro zucchero a un cameriere che mi passava accanto; me ne è stata portata una ciotola con venti o trenta bustine. Il professore ha aspettato che il cameriere andasse via e poi ha arraffato le bustine. «Spero che lei non se ne dispiaccia, ma questo zucchero lei lo paga col servizio: è suo, potrebbe portarselo via. E poiché lei non lo fa, mi consentirà di farlo lo». E ha ripreso ad armeggiare sotto il tavolo allo stesso modo di prima. Quando ci siamo salutati aveva le tasche dei pantaloni gonfie, e sorrideva con i suoi due buchi neri. Se n'è andato con un inchino, e non sembrava affatto imbarazzato. Ma dopo un attimo è tornato sui suoi passi, a pregarmi con un tono molto cortese, e con quella che mi sembrava anche un'ombra di complicità, di non scrivere il suo nome se mai avessi parlato di lui. «L'India è un Paese ancora molto povero, e voi europei siete invece -molta- ricchi; non si possono paragonare due mondi tanto diversi, qualcuno potrebbe anche non capire le cose che io le ho detto». E se n'è uscito alto, magro, diritto sulle spalle; i pantaloni di panno scuro, che avevano il fondo delle gambe sfilacciato, ballavano larghi sulle sue povere ossa di professore indiano con stipendio misero e prole numerosa. Mimmo Candito (Fine. I precedenti articoli sono stati pubblicati il 9, 14, 18, 20, 23 agosto e l'I settembre). New Delhi. Folla alle celebrazioni della repubblica. Le città indiane, che oggi hanno complessivamente 150 milioni di abitanti, nel Duemila ne avranno 350 milioni (G. Neri) Bombay. Tre studentesse nel «shari» tradizionale (La Stampa)

Persone citate: Fine, Mimmo Candito, Rajiv Gandhi

Luoghi citati: Bombay, Europa, India