Storia dell'Italia ad alto rischio

Stona dell'Italia ad alto rìschio NATURALI ANNUNCIATE Stona dell'Italia ad alto rìschio «Là monti sono disfarti dalle piogge e dalli fiumi», scriveva Leonardo della sua Toscana dissestata - Nel '600, nel 700, nell'800 frane come quella in Valtellina hanno distrutto paesi o formato laghi - Un crescendo drammatico: «I dissesti attivi furono 739 nel 1910, salirono a 1987 nel '57, nel '75 superarono i tremila» -1 documenti provano che ben pochi disastri arrivarono senza preavviso La « tracimazione controllata* del lago di Pota è stata seguita in televisione da quattro milioni di italiani. Il dramma collettivo è diventato ancora una volta spettacolo, però con alcuni effetti positivi. Ha fatto entrare nelle case nozioni di geologia, disciplina stranamente trascurata in un Paese che è esposto piti di ogni altro al rischio di frane, alluvioni, terremoti. La diretta tv ha contribuito a far conoscere una situazione che none tipica della sola Valtellina anche se le immagini erano quelle: l macigni che si staccano dal Pie Coppetta dopo il sorgere del sole in seguito all'aumento delta temperatura, gli strati rocciosi che si muovono su altri strati lubrificati dalle piogge, gli informi ammassi di pietre sui versanti ripidi resi instabili dal disboscamento. «Li monti sono disfactl dalle piogge e dalli fiumi»; annotava Leonardo a commento del dissesto idrogeologico della Toscana, avviato dagli estesi disboscamenti (nel 1500 le foreste che in età; preistorica coprivano, quasi interamente la penisola erano più che dimezzate). Il fenomeno non è dunque isolato né nuovo, Il territorio italiano, per formazione e natura, è soggetto a eventi catastrofici che in alcuni casi modificarono radicalmente il paesaggio, vedi le paleofrane delle Alpi Comiche e diversi laghi glaciali. In epoca pie vicina possiamo leggere le cronache conservate negli archivi di storia locale. Il 15 agosto 1682, verso mezzanotte, sulla Valle del raglia¬ mento si abbatté la frana di Boria, quattro chilometri a Sud di Ampezzo. Come in Valtellina, si formò uno sbarramento di pietre e terra, e questo creò un lago lungo più di sei chilometri, profondo ottanta metri, poi scomparso. Altro capitolo delta lunga storia di tragedie dovute a movimenti improvvisi, spesso legati a salti di temperatura, é quello del lago di Aileghe, formatosi nella notte dell'il gennaio 1771, quando una parte del Monte Piz precipitò nella Valle del Cordevole, formando una enorme diga. Tre villaggi vennero sepolti. Altre frane del passato sono tristemente famose. Quella di Piuro, nel pressi di Chiavenna, segnò la distruzione del paese nel 1618. Nel 1765 il borgo di Roccamonte- piano, nei dintorni di Chieti, fu letteralmente cancellato. In Basilicata il terremoto del 1857 provocò una frana che travolse Unterò paese di Montemurro con più di cinquemila morti. Ritorniamo in Valtellina per ricordare la frana di Sernio, non lontano da Tirano: nell'autunno 1807 il corso dell'Adda fu sbarrato, si formò un piccolo lago che soltanto nel maggio 1808 scese a valle con allagamenti per chilometri. Tra la situazione di oggi e quella di ieri c'è però una diversità di fondo resa evidente dalla lettura di un libro straordinariamente ricco di informazioni e documenti sul passato come sul presente, Le calamita naturali in Italia, pubblicato da Mursia poco prima del disastro delta Valtellina. Il suo autore. Bruno Martìnis, è ordinario di geologia all'Università di Roma, è stato presidente del Comitato per le scienze geologiche del Cnr, ha lavorato al progetto Geodinamica per la valutazione del rischio sismico e vulcanico. Ricostruendo i disastri del passato non invita affatto alta rassegnazione, né ritiene che lo sviluppo economico giustifichi o richieda la violenza alta natura. Anzitutto sottolinea: «Le frane sono in aumento e dò è dovuto certamente all'estendersi dell'urbanizzazione. Nel 1910 erano contati 739 dissesti attivi Nel 1957 diventarono 1987, nel 1963 salirono a 2680, nel 1975 superarono 1 tremila». La progressione continua. n professor Martìnis non ha dubbi sulle responsabilità dell'uomo contemporaneo: Sei ore della nostra vita equivalgono all'In circa a un milione di anni dell'orologio geologico, il versante di un monte è il frutto di un modellamento che ha richiesto alla natura millenni o milioni di- anni U taglio di una strada -o .l'apertura di una cava alterano in tempi brevissimi l'equilibrio preesistente». Anche nei secoli passati l'uomo tagliava i boschi, e oggi non può arrestarsi, dicono alcuni. lì geologo ribatte: «La popolazione italiana supera i 56 milioni di abitanti contro i dieci milioni del Cinquecento e la superficie del territorio è rimasta immutata. I fenomeni naturali hanno perciò un impatto ben diverso sulla società. Non sarebbe più semplice, saggio e produttivo, orientare il progresso in modo che l'uomo possa imbrigliare la natura conoscendone le reazioni e perciò prevenendole?». In passato, dal Medioevo air8oo, i dissesti gravi coinvolgevano soltanto in casi eccezionali gli insediamenti umani. I luoghi venivano scelti con sapienza tramandata nei secoli. Erano più esposte alle alluvioni le città bagnate da grandi fiumi, come Firenze. L'Arno l'allagò per tre quarti nel 1269. Una lapide ricorda l'altra inondazione del 1333. Ancora un'altra, tremenda, nel 1547. Ma non esistevano, allora, le conoscenze e i mezzi che abbiamo oggi per prevedere e prevenire le alluvioni al pari delle frane. I governanti del passato tentavano tuttavia di intervenire in qualche modo sul territorio. Dopo lo straripamento del Piave nel 1512 (quando Treviso fu allagata) vennero adottate severe leggi per la tutela dei boschi del Mantello. Tragico Po Il Po ha sempre causato disastri. Pare che l'alluvione del 1331 abbia fatto 100 mila morti, e sono più di cento quelle di portata rovinosa registrate dopo l'anno Mille, fino alla tragedia del Polesine nel 1851. E' però sconcertante che nell'età dei trafori sotto le Alpi, del ponte sullo Stretto di Messina o del tunnel sotto la Manica il corso del Po non sia ancora stato regolato in modo definitivo. Si è fatto poco o nulla per l'Arno. Cosi si è fatto poco o nulla per consolidare i terreni franosi e prevenire altri disastri, benché le situazioni di rischio siano ben note in 66 province. Floriano Villa, presidente dell'Associazione nazionale geologi, lo ripete da anni: «Le cause di fondo del dissesto sono naturali ma lo aggravano scavi tagli strade, piste da sci opere pubbliche e costruzioni private non precedute da indagini geologiche. Si continua come prima anche nelle zone più esposte al rischio». In Valtellina, dopo la morte di 17 persone nelle frane del 1983, la Protezione Civile aveva segnalato tra le zone a rischio proprio quella di Tartano, dove l'albergo è stato travolto. Nel triangolo Bergamo-Como-Sondrio è noto che oltre 250 frane sono in movimento, eppure si costruisce a breve distanza dal greto dei torrenti che erodono i fianchi delle montagne. Avviene in provincia di Brescia come in Val Molaico. La lezione degli Anni 70 non è servita molto neppure in Piemonte, vedi la Val d'Ossola o la Val Vigezzo. Gii avvertimenti dei geologi sono spesso accolti con fastìdio se non con gli scongiuri. Nel 1973 il servizio geologico nazionale, pur povero e zoppicante, aveva sconsigliato ogni costruzione sulla collina di Ancona che poi franò il 14 dicembre 1982 travolgendo diversi quartieri e due ospedali nuovi. Il dissesto era noto dal 1773. Il primato Le catastrofi naturali sono prevedibili è il titolo di un saggio del geologo francese Marcel Roubault, pubblicato da Einaudi nel 1970. Grazie alla documentazione sul passato e al lavoro di ricerca compiuto in questo secolo, ben pochi disastri arrivano senza preavviso. Ogni regione ha nei suoi archivi dolorose cronache di catastrofi annunciate. Da almeno vent'annt si conoscono le zone più esposte, esiste persino un indice di franosttà. Fatto cento il massimo, in provincia di Sondrio st arriva all'indice 48, in quella di Bergamo al 50, in quelle di Savona e di Imperia si supera il 70, come nelle province di Benevento e di Reggio Calabria. Per un confronto, l'in- ■ dice scende a 9 nella provincia di Cagliari. Ma la Sardegna è la regione geologicamente più tranquilla mentre la Sicilia ha il primato inverso, col 15 per cento delle 4062 frane accertate in Italia. Le statistiche, i diagrammi, le cartografie, servono però a ben poco se non se ne ricava lo stimolo a prevenire. ■n dramma della Valtellina ha posto il problema ambientale all'ordine del giorno», annota il ministro dell'Ambiente, Giorgio Ruffolo, proponendo un grande sforzo di investimenti: «Dall'attrezzatura del servizio geologico nazionale a una rete di monitoraggio atta a prevenire le catastrofi anziché a tamponarne affannosamente le conseguenze». Conseguenze troppo comodamente scambiate come prezzo inevitabile del progresso da chi contìnua ostinatamente a confonderlo con la violenza alta natura, fuori di ogni scientificità e di ogni modernità autentica. Quelle che ci dovrebbero consentire lo sviluppo, anche nelle Valli alpine, senza far crollare i monti. Mario Fazio

Persone citate: Boria, Bruno Martìnis, Einaudi, Floriano Villa, Giorgio Ruffolo, Mario Fazio