Una festa scacciapensieri rimuove la sconfitta pci di Paolo Mieli

Una festa scacciapensieri rimuove la sconfitta pei Viaggio tra stand, panini e dibattiti al Festival dell'Unità Una festa scacciapensieri rimuove la sconfitta pei Non si avverte tensione politica - Pochi spettatori ai convegni, qualche applauso anticraxiano dal nostro inviato BOLOGNA — Parola d'ordine: far finta che non sia successo niente. Còme se la disfatta elettorale del giugno scorso non fosse mai avvenuta. Come se la base comunista non avesse manifestato nei giorni che seguirono tutto il suo disagio per ciò che era accaduto. Come se al primo comitato centrale dopo le elezioni il gruppo dirigente, Giorgio Napolitano in testa, non si fosse dilaniato sulla nomina di Achille Occhetto a vicesegretario. Come se, successivamente, non si fosse dissociato anche Pietro Ingrao e Alessandro Natta non avesse detto che la discussione doveva continuare. Ma quale discussione? Già a metà luglio si cominciò ad avvertire che il pei stava entrando in letargo. Agosto, per ciò che concerne il dibattito interno, è stato poi un mese di sonno profondo. E adesso qui a Bologna, alla Festa nazionale dell'Unità, si può assistere a uno tra i più placidi dormiveglia della storia di un partito politico. Incredibile. E' sufficiente tornar con la memoria a cosa accadde due anni fa, dopo un'altra sconfitta elettorale del pei, per rendersi conto delle differenze e quindi dell'entità di questo episodio di rimozione collettiva. Allora, nell'estate del 198S, il quotidiano comunista pubblicava quasi ogni giorno scritti di dirigenti grandi e piccoli, intellettuali, semplici militanti di base che si interrogavano sul perché del colpo subito e avanzavano proposte' per il 'futuro. PoT'la* Festa "dell'Unità a Ferrara fu vivacissima, tutti gli osservatori la tennero nel conto di un'anticipazione del congresso straordinario. Adesso, è vero, non è stato convocato un congresso; sono in programma però un buon numero di conferenze di parti¬ to e sessioni a tema del comitato centrale; eppure nessuno, almeno fin qui, mette in piazza qualche segno di angoscia per il domani o perlomeno qualche dubbio. Caso mai si può cogliere qualche piccolo segnale trionfalistico di autocongratulazione. Come se il partito fosse reduce da un discreto successo, dicevamo. O come se tutti i problemi fossero stati risolti dalla modesta e assai contestata ristrutturazione del gruppo dirigente avvenuta in luglio.. La tenibile spirale in cui il pei si è messo da una quindicina d'anni, per cui ogni Festa dell'Unità deve essere più grande e riuscita della precedente, unita all'eclettismo, alla sindrome da pigliatutto che ha abbondantemente contagiato il pei, mal si addice a una fase di ripensamento quale dovrebbe essere l'attuale. Migliaia di metri quadrati dedicati al pollo Arena, al grande concorso Singer, allo stand della porta blindata piuttosto che a quello di Berlusconi, alla gara «pesca la rana» organizzata dalla sezione Dozza o al gioco del tappo col cumulo dei punti, tra il padiglione per Gramsci protagonista del nostro tempo (con il povero Giuliano, figlio del fondatore del partito, chiamato dall'Urss a tener conferenze su un padre che non ha mai conosciuto) e quello del trattore Belarus fabbricato a Minsk in una fabbrica dove si discute di come migliorare l'ambiente e le condizioni di riposo dei lavoratori; i ristoranti caratteristici, duelli dei Paesi ' dell'Est, l'immancabile bar cubano con Ja foto 'del Che, U cocktail Isla de los Pinos e gli altoparlanti che diffondono a tutto volume Guantanamera. E ancora: il reparto sindacale pieno di televisori che trasmettono sempre lo stesso spot (La Cgil: quanti servizi per i tuoi problemi) e un banco a cui ci si può rivolgere per il calcolo della pensione; il sindacalista italoamericano Sam Pizzigatti qui giunto a raccontare della combattività del corpo insegnante statunitense e a denunciare il flagello dell'Aids; la nuvola di fumo che a sera si alza dalle friggitorie; i suoni dei complessi jazz esteuropei che si mescolano con quelli del rock nostrano; la ghenga di Lupo solitario che sta battendo il record mondiale di resistenza davanti alle telecamere (senza dubbio lo spettacolo più seguito), un gruppo di scrittori compagni di strada che disserta sulla crisi dell'editoria; Beppe Grillo che manda la platea in visibilio col suo repertorio sui socialisti ladri (ma c'è anche qualche frecciata per Occhetto); le donne che finalmente hanno l'opportunità di gestire un loro spazio; i giovani che si abbandonano a un non inedito momento di trasgressione guardando i film western col cuore che batte dalla parte degli indiani; verdi e amanti della caccia in pacifica convivenza; vendite a prezzi ridotti d'ogni ben di dio... Tutto questo servirà sicuramente a finanziare il quotidiano comunista e a rincuorare quella base che £ in cerca di certezze. Ma lascia poco o punto spazio a critica e autocritica. Ci sarebbero i dibattiti. Ma sono quasi tutti tra consenzienti o comunque alla disperata ricerca del nummo comune denominatore che accomuna i comunisti con gli invitati (com'è accaduto persino tra Giancarlo. Pajetta e Giovanni Malagodi), evengono disertati dai più per cui nonostante il generoso sforzo degli organizzatori dal palco si assiste regolarmente al desolante spettacolo di una platea dove la maggior parte delle sedie restano vuote. L'altra sera se n'è tenuto uno su un tema che dovrebbe esser caro ai comunisti autonominatisi parte integrante della sinistra europea: i destini del nostro continente. Relatori il leader dei riformisti milanesi, Gianni Cervetti, l'ex sindaco di Milano Carlo Tognoli e un ospite che è ormai di casa in questo genere di manifestazioni: l'autorevole membro del partito socialdemocratico tedesco (questa volta si trattava di tale Ruben Annetter). Tutto è andato secondo copione: Antretter ha riccamente scavalcato a sinistra i suoi interlocutori; Cervetti e Tognoli si sono riempiti di reciproci complimenti. Il pubblico, non folto, assisteva muto con l'eccezione di uno o due che han preso la parola per reclamare una più strenua lotta comune contro il reaganismo e l'offensiva neoconservatrice. L'idillio sarebbe durato fino all'ultimo se l'incauto Tognoli non avesse accennato a una precedente discussione pubblica con Cavetti in cui lo aveva sfidato a togliere falce e martello dal simbolo comunista. Qui, all'improvviso l'uditorio s'è svegliato; accantonata l'Europa, s'è finalmente appassionato al l i di quanto sia utile e significativo tenere in vita lo stemma che fu dei bolscevichi. E lo ha fatto tirando fuori il rospo, vale a dire con qualche non benevola allusione a chi (Craxi) quella falce e martello ha tolto dalle bandiere del proprio partito. Altro che parlar della loro crisi. Le dosi di anestetico somministrate dai dirigenti Stanno provocando'tra i comunisti uno stato di diffuso torpore. Un torpore da cui ci si sveglia saltuariamente col riflesso condizionato dell'anticraxismo. Per poi ripiombare nel lungo sonno postelettorale. Paolo Mieli

Luoghi citati: Bologna, Dozza, Europa, Ferrara, Milano, Minsk, Urss