America felice

America DUE SECOLI DI COSTITUZIONE America Questo mese cade il bicentenario del varo da parte della Convenzione del testo della Costituzione americana. L'avvenimento è di eccezionale importanza, per il ruolo che gli Stati Uniti hanno esercitato nel mondo e per il peso che il loro «esperimento» politico è costituzionale ha avuto e ha. E si pensi al fatto che gli americani giustamente rivendicano di essere l'unico popolo a vivere ancor oggi sotto la stessa Costituzione che si diedero all'origine della loro esistenza politica. . Una Costituzione sopravvissuta, pur con importanti emendamenti e adattamenti, ai più grandi mutamenti: approvata dai «padri fondatori» per una società agraria, oligarchica, liberale, raccolta in se stessa, si dimostra ancora in grado di regolare i rapporti di una federazione immensamente dilatatasi, di una società industriale, democratica, passata dall'isolazionismo alla leadership mondiale. Una simile continuiti costituzionale sembra dimostrare quella «felicità» della rivoluzione americana che era e resta un mito sempre sentito e fatto valere al di là dell'Atlantica L'esempio americano, pur dovendosi tener conto del divario fra la teoria e la pratica costituzionale anche in Ameri' ca, trae oggi agli occhi di molti una maggior forza e maggiori fascino e prestigio dalla caduta, a conclusione di tanti drammi europei, del mito delle due altre grandi rivoluzioni che stanno alla base del mondo contemporaneo: la francese e la russa. Dopo la crisi del mito sovietico, e anche per conseguenza, vi è un coro di voci (anche se non tutte molto intelligenti) che hanno preso a demitizzare la rivoluzione francese in quanto legata alle origini del totalitarismo moderna Quindi da un lato la rivo. luzionc, americana madre di li ! bertà;re .stabilità istituzionale; | dall'altro, le rivoluzioni--europee, madri di dispotismo e di sconvolgimento quasi permanente. A riprendere il discorso, con grande limpidezza, è da noi Nicola Matteucci, con La Rivoluzione americana: una rivoluzione costituzionale (il Mulino), che raccoglie saggi scritti in un ventennio: la riproposta editoriale, in occasione dei duecento anni della Costituzione americana, di una riflessione di lungo periodo. Nella prima parte del libro, Matteucci discute «un secolo di interpretazioni» del significato della rivoluzione e della Costi tuzione; nella seconda parte analizza «le origini coloniali del costituzionalismo americano». Fra i filoni interpretativi che segue (essenzialmente statunitensi) due fanno spicco: da un lato quello espresso dal Mcllwain anzitutto nel saggio The American Revolution: A Consti'tulionoi Interpretation del 1923 e dall'altro quello fissato dal Beard nel celebre saggio An Economie Interpretation of the Constitution of the United States del 1913. Secondo Mcllwain, a cui Matteucci accosta anche Hanna Arendt, la rivoluzione americana è stata anzitutto afrer- , inazione di principi di libertà (costruzione di un riuscito rapporto fra individuo e collettività), e la Costituzione che . ne è derivata ha rappresentato I uno strumento insuperato d'ingegneria istituzionale in grado di assicurare il muta- ; mento sociale e il sistema di rapporti interpersonali sulla base del primato della legge. * * Di qui la conclusione che, a differenza della rivoluzione francese, che fu «permanente» e divoratrice dei suoi1 figli e delle costituzioni che si diedero, quella americana fu una rivoluzione produttrice di stabilità costituzionale e rispettosa dei suoi figli. Per contro, Beard, portavoce della corrente populistica, con chiaro intento demitizzatorc e risultati che Matteucci apertamente contesta, aveva avanzato la tesi che la Costituzione fosse stata espressione non degli interessi del popolo americano, ma di quelli della élite che l'aveva prodotta, e della sua volontà di difendere i propri interessi una Costituzione fatta da una oligarchia per una oligarchia. Potremmo dire che secondo Mdhvain la Costituzione fu l'afférmazione di una idea di interesse pubblico capace di sottomettere durevolmente gli interessi particolaristici con la prevalenza del diritto sulla forza; mentre per Beard anche la Costituzione Usa fu il prodotto del primato degli interessi dèi più forti su quelli dei più deboli. Una delle più importanti mplicazioni del primo tipo di concezione è il separate, fino a contrapporre, non solo la rivoluzione americana alla francese, ma anche il corso della storia americana a quello dell'Europa continentale. Da una parte una forte continuità, dall'altra ogni sona di rotture e tragedie. E a questa concezione Matteucci aderisce con convinzione. In effetti, questa tesi, che in sede scientifica insiste sulla contrapposizione fra America e Europa continentale (poiché l'Inghilterra richiede altro, discorso) in termini di «felicità» della prima e di «infelicità» della seconda, non è altro se non la trasposizione in -ambito accademico dei capisaldi del filone dominante dell'autocoscienza politica americana (cui hanno potentemente contribuito insigni intellettuali europei immigrati). ★ * Tale filone ha le sue radici nel Federalist, nelle riflessioni di Adams e di Jefferson vecchio sullVto- della rivoluzione francese e della dittatura napoleonica in contrasto con il cammino della giovane America, nel pensiero di Taylor; si sviluppa passando attraverso Bancrofr, l'immigrato tedesco Lieber, Sumner e arriva a Wilson, Hoovcr, Lippmann, e alla Arendt, Questi nomi, lignificativi per l'ampiezza dell'arco cronologico e la varietà delle posizioni, sono tutti concordi almeno in un punto: l'esaltazione della «diversità» americana; la quale produce o la tendenza alla difesa di sé nell'isolazionismo o la tendenza a costituirsi in modello universale. Soffermiamoci solo su alcuni: Nel corso degli Anni 90 Wilson fissò con grande energia alcuni presupposti: che in America la democrazia si era impiantata su un fondamento «costituzionale», laddove la democrazia europea radicata nella rivoluzione francese aveva generato «rivolta», agendo come «forza distruttiva»; che a differenza della rivoluzione americana quella francese era stata incapace di trasformare l'ideologia democratica in «un nuovo modello amministrativo». Tutto l'antieuropeismo poi di Herbert Hoovcr fu nutrito della convinzione che l'essenza del sistema americano fosse basata sul connubio felice e unico fra l'individualismo economico e lo spirito di libertà: sicché le moderne tirannidi (il socialismo, il comunismo, il fascismo) avevano le radici nella violenza perpetrata in Europa cóntro i buoni principi — gli unici veramente immortali — di cui era depositaria l'America. Per tutti valga ciò che Lippmann scrisse nel libro del 1937 sui fondamenti della «buona società», cioè che tutto il senso della sapienza politica dei fondatori della Repubblica americana stava nella loro capacità di capire la minaccia costituita dall'irresponsabilità popolare strumentalizzata dai demagoghi, tanto che «James Madison non si sarebbe stupito di Hitler». Torniamo al Matteucci. Il dato della diversità americana non è certo un'invenzione: è una realtà storica possente che va analizzata e compresa. Ed è certamente vero, come egli sottolinea, che gli Usa hanno un loro «modello» di modernità sociale e istituzionale da far valere e con cui confrontarsi. Ed è anche vero che un certo senso, un tempo così diffuso, di , «superiorità» delle esperienze storiche europee è privo di ragioni e da superate pienamente. Ma quello che Matteucci chiama «il mistero» del successo costituzionale americano va affrontato cogliendo le radici della diversità fra America e Europa, i loro condizionamenti culturali, sociali e economi ci. Importante, dunque, non è approdare ora alla celebrazione di un nuovo primato politico e ideologico, questa volta americano; bensì comprendere come l'America abbia potuto essere quel che non è stata l'Europa continentale non per minori vizi di spirito e minori inclinazioni alle turbolenze e ai conflitti di classe, ma per quella specificità di condizioni che Matteucci stesso ha ricostruito sotto il profilo istituzionale nella seconda parte del suo libro (e che, più in generale, aveva analizzato l'Hofstadtcr nell'ultimo bel libro L'America coloniale). Massimo L. Salvador!