Ma non c'è soltanto Madonna.... di Stefania Miretti

Tra un ombelico e un ragno passa inosservato l'arrivo del leggendario Dylan Tra un ombelico e un ragno passa inosservato l'arrivo del leggendario Dylan Ma non c'è soltanto Madonna... La notizia è sembrata quasi piccola, cosi schiacciata tra un'indiscrezione sul reggiseno antiproiettile di Madonna e un'indagine sull'indice di gradimento degli Spandau Ballet in versione balneare. Ma 11 «menestrello di Dio», il cantautore che in venticinque anni di carriera qualche miracolo l'ha compiuto davvero, sta per apparire in Italia. Anche per lui c'è stata battaglia tra gli impresari, tanto che Bob Dylan dirà le sue canzoni a Modena con Franco Mamone (il 12 settembre, alla Festa dell'Unità), per poi tornare probabilmente all'inizio d'ottobre, questa volta con David Zard, a Verona, Roma e Milano. Ma in confronto al «Madonnagate» che ha diviso l'Italia del calcio e degli assessori, degli stilisti e degli impresari,'la guerra per accaparrarsi il mitico Zimmermann (questo il vero cognome) è passata quasi inosservata. Come se Dylan in Italia fosse ordinaria amministrazione. In realtà, il cantautore s'è esibito da noi per la prima volta tre anni fa: era una notte buia e tempestosa fino a qualche Istante prima, ma quando Dylan sali sul palcoscenico dell'Arena di Verona il cielo era stellato. Quarantasei anni, una carriera che ormai si studia a «periodi» nelle tesi di laurea, una nuova virata ideologica e religiosa che lo ha avvicinato alla Bibbia, un'ansia di rinnovarsi che non sempre trova il consenso dei suoi fans, Dylan fa cantare e soffrire, vivere e pensare e discutere in tutto il mondo da un quarto di secolo. Quasi tutti l'hanno imitato, nessuno gli assomiglia davvero. In occasione del Bob Dylan suo tour americano, l'anno scorso, dopo aver constatato 'Stasera devo essere il più vecchio*, aveva detto al pubblico: 'Non so chi siano i vostri eroi. Forse Brace Springsteen, Michael Jackson o Mei Gibson. Io sono qualcos'altro*. Infatti non è piaciuta a Dylan l'ondata di nazio¬ nalismo che ha percorso il rock americano un paio di anni fa (e che oggi, con puntualissimo ritardo, è arrivata da noi). Proprio lui, ebreo russo profondamente americano, forse il più americano di tutti — e per questa ragione mai compreso del tutto nella politicizzata Europa —, ha denunciato l'inganno. Anche Dylan, naturalmente, è entrato da un pezzo a far parte del mondo dello show business. Anche lui vive circondato da un esercito di guardie del corpo, ha una villa a Mallbu, concede poche interviste e perlopiù strampalate, fa concerti benefici e film con Rupert Everett, ed è indicibilmente ricco. Ma altri idoli rock — non lui — son costretti ad ostentare ciò che possiedono, perché è l'immagine che 11 ha fatti grandi: un'immagine che spesso è una specie di chiodo piantato nel vuoto, che non rimanda a nulla se non a se stessa. Dylan, invece, ha sempre invitato ad applaudire qualcos'altro: un «qualcos'altro» talvolta frainteso, e che lui stesso avrebbe difficoltà a spiegare alle nuove generazioni. Ora sta per arrivare in Italia, e il pubblico dei più giovani sembra indifferente; forse le avventure di una generazione che ha percorso le strade di Kerouac e quelle del dubbio risultano oggi generiche e noiose come certe storie della Resistenza. Poi, però, sul finire di un'estate rock che ha ospitato, tra ragni e ombelichi, numerosi «concerti dell'anno», Dylan canterà. E non capita tutti i giorni d'andare allo stadio a conoscere uno che da sempre scrìve canzoni «per non diventare pazzo*. Stefania Miretti

Luoghi citati: Europa, Italia, Milano, Modena, Roma, Verona