Fabbisogno pubblico e compatibilità con la Finanziaria

Fabbisogno pubblico e compatibilità con la Finanziaria Fabbisogno pubblico e compatibilità con la Finanziaria Lo State getta la spugna? Periodicamente, come nei giorni scorsi, torna a suonare l'allarme perché questo nostro Paese consumerebbe più di quanto produce, e per la conseguente necessità di misure di vario genere, ma sempre riconducibili nell'ambito della austerità, per porvi riparo. E così si è fatto. Non dubitiamo che le restrizioni al credito, diretto o indiretto, siano state opportune e tecnicamente ineccepibili, anche se, sulle colonne de «La Stampa», bene hanno fatto Mario Deaglio a gettare acqua sul fuoco delle accuse al consumismo, e Alfredo Recanatesi ad ammonire sui pericoli di frenare gl'investimenti produttivi di posti di lavoro. E' certo, comunque, che le famiglie non possono essere accusate di consumare più di quanto producono, dal momento che all'inizio di quest'anno denunciavano «passività» per 67.224 miliardi, contro «attività finanziarie» per una cifra più di sedici volte superiore, oltre un milione e 114 mila miliardi di lire. Non si vuol dire, con questo, allo «Stato»: lasciaci consumare, e pensa ai tuoi debiti. Però, dal momento che i cittadini italiani spendono parecchio (più di quelli di ogni altro Paese sviluppato, in rapporto al reddito prò capite), per far funzionare — si fa per dire — la macchina dello Stato, possono ben chiedergli, almeno ogni tanto, di far sapere come pensi di far fronte ai suoi debiti. E la domanda sembra tanto più legittima oggi, non solo perché il risparmio privato sostiene il debito pubblico, ma anche perché alla testa del governo, probabilmente per la prima volta nella storia d'Italia, si trova un binomio di esperti di problemi economico-finanziari, qual c quello formato da Giovanni Goria, presidente, e Giuliano Amato, vicepresidente del Consiglio e ministro del Tesoro. Nella scorsa primavera, quand'era ancora ministro del Tesoro, sia pu.e di un governo dimissionario, Giovanni Goria scriveva, nel suo «rapporto» al segretario politico del suo partito, Ciriaco De Mita, sui quattro anni trascorsi nel pa lazzone di via Venti Settembre: «La finanza pubblica, pur restando // nodo più difficile da sciogliere, è oggi più controlla' bile, e sta percorrendo un sentiero di risanamento organizzato nel medio periodo». E citava il fabbisogno annuale pubblico di credito del settore statale, che, dopo aver superato abbondantemente nei primi Anni Ottanta gli obiettivi fissati dalle leggi finanziarie, sì era poi, gradatamente accostato a essi, fino a chiudere il 1986 con mille miliardi in meno del previsto. «L'obiettivo — aggiungeva — è ora di proseguire nella riduzione del fabbisogno fino ad annullare quello al netto della spesa per interessi (del debito pubblico, n.d.r.) alla fine del decennio». Notiamo, di passaggio, che questa spesa è stata di 77.508 miliardi l'anno scorso e che, già alcuni anni prima del «rapporto» di Goria a De Mita, la Banca d'Italia, sia pure indirettamente, raccomandava, tra le altre misure per frenare la crescita del debito pubblico, quella di contenere nel 3 per cento «reale», cioè al netto del tasso d'inflazione, ma meglio ancora nel 2 per cento, l'interesse dei titoli di Stato, che oggi, invece, supera il 5 per cento. Inoltre, sempre in quel suo rapporto, l'allora ministro del Tesoro Giovanni Goria, giustamente sottolineava i risultati raggiunti nello sforzo di prolungare la scadenza media del debito statale, passata da una media di 13 mesi, o poco più all'inizio di questo decennio, a quasi quattro anni nel 1986. «L'obicttivo — concludeva — è, ora, di stabilizzare tale t adenza, per migliorare la gestione del debito e attenuarne i riflessi sulla politica monetaria». Le cifre, effettivamente, davano ragione al ministro Goria. I Bot, i Titoli di Stato a più breve, brevissima scadenza, che a fine 1982 erano giunti a costituire oltre il 38 per cento del debito pubblico, a fine '86 avevano ridotto la loro quota a un 20 per cento scarso. I Cct, Btp e gli altri titoli a medio e a lungo termine sul mercato, nello stesso periodo erano passati da poco più del 22 al 43,3 per cento, e, calcolando anche i debiti verso la Banca d'Italia, dal 40 al 54 per cento circa. Sappiamo tutti, però, che cosa è successo dopo, nella prima metà di quest'anno e in queste prime settimane di Goria presidente del Consiglio. I rendimenti dei Titoli di Stato, anziché scendere, hanno ripreso a salire, assecondando (o stimolando?) le aspettative d'una ripresa dell'inflazione, e si è registrato il «boom» dei Bot a tre mesi. Quanto al fabbisogno statale, e alla sua compatibilità con gli obiettivi della legge finanziaria 1987, sembra che si stia per gettare la spugna, ciò che non favorirebbe certo l'imminente preparazione della finanziaria '88. Un'ultima osservazione. In quel suo «rapporto» di primavera, Goria aveva pure ricordato l'espansione della Borsa, definendola «strepitosa, quanto essenziale per sostenere i progressi del sistema produttivo». Ma, l'ultimo Consiglio dei ministri, prima delle vacanze, non si è occupato del lungo ribasso della Borsa e dei suoi recentissimi crolli, non si è occupato, ostentatamente sottolineandone la scarsa importanza. Del ribasso, o della Borsa? Non si è capito. Mi Sltlli pMario Salvatorelli Spesa pubblica Già si pensa aitagli '88 Giovanni Goria ROMA — Il governo Goria si prepara ad affrontare la messa a punto della legge Finanziaria per il 1988, che dovrà fronteggiare la minaccia di una nuova crisi economica. Già circolano i-i prime ipotesi: stangata fiscale da 7 mila miliardi, ritorno all'assistenza sanitaria indiretta; nuovi ticket sanitari, riproposizione della Tasco (la tassa comunale). (A pag. 2 il servizio)

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