Giulia, moglie di Gramsci prigioniera della sua follia di Osvaldo Guerrieri

Giulia, moglie di Grams€Ì prigioniera della sua follia Giulia, moglie di Grams€Ì prigioniera della sua follia Da ieri a Bologna la «Foresta d'argento», regista Puggelli BOLOGNA — Quello che Gianna Schelotto definisce «una scommessa, è un copione teatrale forse anomalo, nel quale la storia di un uomo pubblico come Gramsci viene ripercorsa per vie molto trasversali, anzi fingendo quasi di parlar d'altro. Gianna Schelotto è una psicologa genovese nota fra gli specialisti per le sue ricerche sulle malattie psicosomatiche. Un giorno fu presa, dice lei stessa, «da un tardivo innamoramento per Gramsci^. Cominciò a rileggerlo in una chiave femminile, fortemente psicologica e — probabilmente dopo molte esitazioni e ripensamenti — decise di scrivere, con Paola Pitagora, la sua prima commedia, La foresta d'argento, andata in scena ieri sera a Bologna^ nel tendone della MostraÒramsci, con la regia di Alberto Puggelli e l'interpretazione di Paola Pitagora, la Marcomeni, la Fortunato e Ceriani. Foresta d'argento è la traduzione italiana di Serebrianyi Bor, il nome della clinica moscovita dove Gramsci fu ricoverato nel 1922 e dove incontrò per la prima volta le sorelle Schucht, Tatiana e Giulia, che poi diventerà sua moglie. E' un nome che risente di descrittivismo lirico, certo è un nome molto suggestivo, tanto che Puggelli e lo scenografo Roberto Laganà hanno costruito la scena come una selva di tubi argentati, il cui intrico, spiega il regista, «allude alla prigionia di Gramsci e alla follia latente delle donne vissute intorno a lui». Cioè della moglie Giulia, della cognata Tatiana, che certo lo amava d'un amore inconfessato, della madre Giuseppina. Ma è soprattutto la storia di Giulia. «Dalle lettere e dalle biografie — dice la Schelotto — veniva fuori l'immagine della moglie matta, che brillava soprattutto per le sue assenze. Va bene, era matta, dico io, ma non inadempiente: si ritira dalla realtà, ma è vicina a lui, continua ad amarlo, ma chiusa nel suo mondo interiore». E infatti, continua l'autrice, «lei gli scrive; ma, sapendo che le lettere' finiranno fra le mani della madre o del censore del carcere, preferisce tenerle per sé. Scriveva molto e scriveva due tipi di lettera, la lettera-notizia, abbastanza rara, e la lettera-pensiero, che non spedisce e che, nella commedia, è frutto di una nostra interpretazione». Lo spettacolo consiste perciò in queste cuciture epistolari, in quattro personaggi monologanti collegati l'uno all'altro dalle lettere di Gramsci che arrivano attraverso la lettura del censore. «Quindi — conclude la Sche¬ lotto — è la storia di quattro prigionieri che cercano Gramsci e, insieme, la propria identità». «n nesso fra l'uno e l'altro è analogico — aggiunge Puggelli — l'uno risponde all'altro». Una simile tecnica pone certamente qualche problema di stile teatrale. A quale genere appartiene La foresta d'argento? Non al teatro borghese, né a quello intimista, né al teatro cronaca. «E' una cosa a sé — dice il regista — è un pannello con tre ritratti giustapposti». Paola, Pitagora, che interpreta Giulia, aggiunge che esiste uno • straniamelito di base dei personaggi». Come recitarli? Soprattutto, come recitare questa moglie così sfuggente? Dice: «Giulia è un continuo parlare con l'assenza-presenza. Non è naturalismo, eppure è tutto vero, palpabile, quasi uno psicodramma.. Qual è stato il suo rapporto con Giulia? «L'ho molto amata, anche se non è la protagonista. La protagonista è Tatiana. Giulia è un momento poetico, di strazio, Non ha molte sfaccettature gira un po' in tondo. E poi m'incuriosisce una cosa: morto Gramsci, pare che Giulia sia uscita dalla sua psicosi. E' un particolare che pone molti interrogativi. Ma questo non c'è nello spettacolo, è un altro discorso». Osvaldo Guerrieri La Pitagora, coautrice con la psicologa Gianna Schelotto, della «Foresta d'argento»

Luoghi citati: Bologna