OSSERVATORIO

In Libano si arrende l'economia miracolo OSSERVATORIO In Libano si arrende l'economia miracolo Dopo 13 anni di guerra gli abitanti di Beirut hanno detto basta. Quando in migliaia si sono decisi in questi giorni ad uscire dalle case semidiroccate del centro e della periferia, pronti a sfidare i tiri dei cecchini, per manifestare nelle strade della capitale la rabbia e le frustrazioni represse troppo a lungo, qualcuno ha gridato al miracolo. Mai visto nulla di simile, finalmente salta il coperchio della pentola, la gente, stanca delle morti quotidiane, chiederà la fine dell'incubo, ben vengano gli slogan fiammeggianti di condanna ai conflitti incrociati1 che dal 1975 insanguinano il Paese. Invece l'enigma libanese ha riservato l'ennesima sorpresa, dalla folla non è partito nemmeno un appello alla pace, soltanto grida disperate, «Abbiamo fame*, e Abbasso il dollaro». Alla gene di Beirut sembra insomma importare poco la sorte dei 25 ostaggi stranieri nascosti chissà dove fra le rovine della città, non interessa se il governo esistente soltanto sulla carta sia in grado di operare, e tanto meno se l'intervento delle truppe siriane non abbia messo a tacere le bande annate che continuano ad imperversare nel settore musulmano. La gente di Beirut, ecco l'amara verità, è disperata perché l'economia nazionale, finora tenuta miracolosamente in vita contro ogni aspettativa, ha ceduto di schianto e ne stanno scontando le conseguenze i ceti più pove- Due cifre delimitano l'ultimo dramma. Allo scoppio della guerra civile, ormai appannato il ricordo mitico della Svizzera del Medio Oriente, il dollaro valeva due lire libanesi e mezzo. Oggi rastrella 270 lire, e la caduta pare inarrestabile. «Stiamo precipitando verso la catastrofe — ammette il ministro delle Finanze —, per giunta senza paracadute*. Eppure fino al 1983 la moneta aveva tenuto oscillando attorno le cinque lire per dollaro in un'effimera situazione di stallo che accontentava tutto e tutti finché, lo scorso gennaio, la diga ha cominciato a mostrare le prime crepe facendo salire di colpo la quotazione al livello di guardia. Con la parità a 85 lire per dollaro iniziò l'ondata di panico per i cambisti della Hamra, la principale via commerciale di Beirut Ovest, tuttavia nessuno immaginava il tracollo, quel 70 per cento di svalutazione in otto mesi che ha messo in ginocchio le già fragili strutture finanziarie del Libano. E cosi, con le riserve statali andate in rosso, sono state sospese le transazioni, scarseggia il carburante, bisogna razionare l'energia elettrica, sull'orizzonte sempre più cupo si profilano altre misure restrittive, i «tumulti del pane» minacciano di estendersi. Sparisce nell'oblio persino la patetica iniziativa del 20 agosto in cui alcune centinaia di persone vestite di bianco, la mano nella mano, avevano formato una catena di ami¬ cizia lungo la «linea verde», la tragica terra di nessuno a cavallo del confine minato fra i quartieri arabi e la zona cristiana di Beirut Est. Ieri infine la mazzata per bocca del primo ministro ad interim Hoss: il deficit della Banca nazionale ha raggiunto i 130 miliardi di lire libanesi, un passivo da Terzo Mondo che si tenterà di arginare sollevando il problema alla riunione del Fondo monetario della Lega araba in programma a Tunisi il 2 settembre. Servirà a compattare la solidarietà, a salvare il Libano dalla bancarotta? I segnali non sono incoraggianti, a parole gli alleati sono disposti a stendere la mano (c'è la proposta di rilevare il 20 per cento delle riserve per un totale di 800 milioni di dollari), temono però di fare il classico buco nell'acqua, un palliativo temporaneo ad una crisi in effetti insostenibile. Si calcola in proposito che gli imprenditori libanesi espatriati da anni abbiano ammassato all'estero fortune immense, da 30 a 40 miliardi di dollari, circola la voce che il solo Camille Chamoun. l'ex statista scomparso di recente, avrebbe lasciato in eredità oltre 37 miliardi di dollari. Soldi forse sporchi che comunque i proprietari non intendono far rientrare a casa. Come dire: mentre il Libano pareva destinato a soccombere sotto i guasti della guerra, rischia piuttosto di morire dinanzi gli sportelli chiusi delle banche. Piero de Garzarolll

Persone citate: Camille Chamoun, Hamra, Hoss